2. Una busta color panna.

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Capitolo 2.

“Fammi capire un attimo.”

Lo disse soffocando le risate.

“Tu sei così inferocita perché un ragazzo, carino da come lo hai descritto.” - continuò ammiccando - “Ti ha sorriso?”

“Non era solo il sorriso, era tutto il contesto.”

Rispose con fermezza Charlotte.

“E poi mi è venuto addosso.”

Si massaggiò il braccio.

“Fa ancora male.”

“Non ti capirò mai Charlotte! Proprio mai.”

La guardò un' ultima volta, prima di chiudere gli occhi e buttarsi sul prato.

La sede della facoltà in cui andavano Charlotte e Violet non era altro che un vecchio monastero, le figure religiose se ne erano andate ormai da anni ma le mura erano ancora lì. Non potevano dirsi solide e rigide, ma quando la città non ha soldi e i palazzi sono tutti occupati, i monasteri o i vecchi conventi risultano perfetti come sede per l’università. Certo, le aule con solo 50 posti, posizionate in posti ambigui, dove non prende il cellulare e la puzza di piedi aleggia nell’aria, erano gli effetti collaterali di quella situazione; era così anche quando i loro genitori andavano all’università, ma nessuno si era preso la briga di sistemare la situazione.

Charlotte seguì l’amica in quel gesto e chiuse gli occhi anche lei, per prendere un po’ di sole. Quei raggi, seppur deboli, risultavano parecchio confortanti in quelle giornate così fredde, quando il tuo unico desiderio sarebbe quello di stare sotto due piumoni piuttosto che uscire e affrontare il mondo. D'un tratto quel silenzio, così piacevole, fu interrotto da uno scatto veloce di Violet.

“Me ne ero totalmente dimenticata!” 

Charlotte aprì un attimo gli occhi e poi li richiuse, quell’espressione che l’amica aveva in viso non le piaceva per niente.

“Stasera c’è una festa in un palazzo antico, poco lontano dal centro. Noi dobbiamo andarci.”

Sottolineò quell’ultima frase facendo capire che non avevano scelta, quella sera dovevano essere lì.

“Non credo proprio.”

Rispose Charlotte, con gli occhi ancora chiusi per via del sole che le riscaldava il viso.

“Dai, dai, dai.”

Iniziò a strattonare l’amica.

“Daaaai! La scorsa volta avevi promesso.”

Come una nuvola, Violet si mise davanti Charlotte: la ragazza sentì che qualcosa si era interposta tra lei e quel calore e aprì gli occhi, forzata.

“Che c’è?”

“Daaaai!”

Iniziò a sbattere i piedi come i bambini piccoli, quando la mamma non compra loro il gelato.

“Violet, la scorsa volta eri stata tu a promettere qualcosa, non io. La cazzata l’hai fatta tu, non io.”

Charlotte chiuse di nuovo gli occhi e continuò a bearsi di quel calore, l’amica si ammutolì a quelle parole, era palese che Charlotte non l’aveva ancora perdonata dopo più di sei mesi. I minuti che seguirono furono parecchi imbarazzanti, in quanto nessuna delle due sembrava proferire parola, Violet era visibilmente ferita e Charlotte aveva ancora gli occhi chiusi nonostante sapesse che c’era andata pesante.

L’ultima volta, lei l’aveva persa di vista per un attimo ma se l’era presa comoda e aveva continuato a parlare con Claire. Si era detta che Violet era responsabile di se stessa, che non aveva motivo di seguirla e di essere la sua ombra. Si lasciavano tutti dopo tanti anni di fidanzamento ed era sicura che la sua migliore amica stava bene. Era la prima volta che uscivano dopomesi e quel locale era parecchio tranquillo.

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