24. Pasta frolla.

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Capitolo 24.


 

Andare in ospedale era una di quelle cose che odiava fare. Lo odiava perché non sopportava l’odore di alcool che sentiva nell’aria, lo odiava perché il colore bianco non era tra i suoi preferiti e le ricordava, inconsciamente, la seduta di poche settimane prima di Andrew e odiava l’idea di andare lì perché, se fosse stato per lei, non si sarebbe mai trovata in quel posto. Kyle aveva detto sommariamente dove si trovava sua madre, lei lo aveva appuntato nella sua mente ma non aveva la certezza che lui quel giorno non ci sarebbe stato. Voleva evitare di vederlo perché sapeva che, se lui l’avesse vista lì, avrebbe tratto conclusioni affrettate, conclusioni che non esistevano perché per Charlotte il loro rapporto era finito quando lui era uscito da casa sua, pochi giorni prima. Provò a ricordare il numero della stanza e dopo aver girato ogni piano dell’ospedale, riuscì a scorgere il letto della madre di Kyle, Emily. La cosa fondamentale che le dava più fastidio era la depersonalizzazione dell’individuo, stare in ospedale era come essere un numero indistinto, avere una cartella clinica di plastica trasparente come gli altri ed essere un individuo che in quel momento è lì per qualcosa, qualcosa che va curato per liberare un letto, per poi ricominciare il ciclo.
Entrò in stanza, stranamente calma, Emily era da sola; la donna percepì una figura avvicinarsi a lei e si girò a guardare Charlotte.
“Credevo che non saresti più venuta.”
“Lo credevo anche io.”
Emily sorrise e Charlotte provò a ricambiare ma con scarsi risultati. Kyle aveva detto che la madre stava poco bene, che non sapeva per quanto tempo avrebbe vissuto e riuscì a costatarlo con i suoi occhi. Era parecchio dimagrita in faccia, per non parlare delle braccia che erano diventate scheletriche, insieme alla pelle che sembrava semplicemente appoggiata alle ossa. Probabilmente Charlotte aveva indugiato troppo a guardare, tanto che la donna provò a far scendere le maniche del pigiama per evitare che la ragazza vedesse ancora, era evidente che si vergognasse dello stato in cui era. Charlotte non l’aveva mai vista così, nemmeno quando aveva avuto la febbre alta e lei e Kyle erano rimasti tutta la notte a farle compagnia.
“Prendi la sedia, Charlotte. Siediti vicino a me.”
La ragazza annuì e andò a prendere la sedia che si trovava sotto al tavolino, era sicura che la donna mangiasse lì i suoi pasti, poi si soffermò un istante a guardare oltre la finestra. Riusciva a vedere tutta la costa, a immaginare quel pizzico di sollievo che la donna provava nel consumare i pasti lì, Emily poteva guardare il mare e mangiare qualcosa, come amava fare da sempre. Glielo aveva detto lei di andare al mare per rilassarsi e lo aveva detto, pure lei, a Kyle di portare Charlotte a mare per la loro prima volta. Portala lì, Charlotte non riuscirebbe mai a dimenticarlo.
“C’è una bella vista, Emily.”
Lo disse, avvicinando la sedia al suo letto.
“Si è vero. Ho avuto fortuna. Avrei potuto pranzare vicino al bagno o condividere la stanza con un’altra vecchiaccia come me, ma posso ritenermi fortunata.”
Charlotte rise, davvero, sembrava che il ghiaccio di prima si fosse, a un tratto, rotto.
“Cosa mi racconti? Non ti vedo da due anni.”
“Sto bene, sto frequentando l’università di psicologia qui in città. Sono felice in questo momento.”
“Puoi leggermi nella mente? Cosa sto pensando?”
Il solito senso comune che Charlotte sopportava poco ma detto da Emily sembrava la cosa più naturale al mondo.
“Non funziona così.”
Sorrise.
“E poi aspetto la laurea per poter leggere la mano.”
Emily sorrise di gusto, lei e Charlotte era sempre state apparentemente legate tra loro quando, in realtà, non c’era una vera connessione tra loro; tranne Kyle, ovviamente.
“Da quanto tempo vi siete lasciati tu e Kyle?”
Charlotte si pietrificò in volto, non sentì più nemmeno le gambe, doveva sospettare che lei lo sapesse, Kyle non era mai riuscito a nascondere qualcosa a sua madre e lei era troppo risoluta per essersi fatta sfuggire un dettaglio così importante della vita di suo figlio.
“Lui parla di voi come se ancora steste insieme ma mi rendo conto che non è così. Quando stavate insieme, aveva una luce diversa negli occhi, adesso è solo arrabbiato con il mondo e parla di te in continuazione, solo per convincermi che state insieme.”
“Mi spiace, Emily.”
“Non dispiacerti Charlotte cara, davvero. Lo so che quando era a studiare fuori non rispondeva più alle tue chiamate, so che andava ogni sera a ballare. Ce l’ho aggiunto anche io su Facebook, sotto un nome falso quindi so cosa combina.”
“Nome falso?”
“Sì, se avesse saputo che ero io non mi avrebbe aggiunto né ora né mai. Ho messo le foto di una donna attraente e lui mi ha aggiunta subito.”
Charlotte prese a ridere.
“Bionda, poco coperta e con foto provocanti?”
“Esattamente, come fai a saperlo?”
“Ho provato a capire come la conoscesse per mesi, era troppo bella per averlo aggiunto.”
Emily scoppiò a ridere, Charlotte scorse delle lacrime scenderle giù dagli occhi e poi vide la donna mettersi ritta con la schiena e prendere dei piccoli respiri.
“Amo ridere, è la cosa che più mi piace fare ma adesso devo limitarmi solo a sorridere o avere queste risate a metà, questa malattia mi sta distruggendo.”
Era come se una bomba fosse stata sganciata, così, dal nulla. Per un attimo Charlotte aveva dimenticato il contesto, era come se ci fossero Emily e lei in una stanza, a ridere, a parlare, ma la donna l’aveva fatta ritornare alla realtà. La malattia c’era ed era insieme a loro, per quanto potesse sembrare assurdo era in quella stanza, Charlotte si sentì in colpa e vedendo Emily seduta male si avvicinò per sistemarle il cuscino.
“Charlotte ti auguro di essere felice, mi spiace per mio figlio, lui non riesce a capire le cose importanti e se le lascia scappare sempre. Mi dispiace soprattutto per tutta la sofferenza che ti ha procurato, lo so che lo amavi e so quanto hai potuto soffrire.”
“Grazie. Avrei voluto sapere prima come stavi, me lo ha detto solo un paio di giorni fa e volevo evitare di incontrarlo qui.”
“Hai fatto bene, potrebbe immaginare che ha ancora una chance ma non l’ha più.”
“Cosa te lo fa pensare?”
“Perché so come sei fatta Charlotte, ho sempre ascoltato i tuoi discorsi e so che lo hai aspettato per tanto tempo, lo hai paragonato a qualcuno ogni volta che conoscevi un ragazzo nuovo e adesso è come se non esistesse per te. E poi sono convinta che hai incontrato qualcuno che ti ha stravolto la vita, sarebbe assurdo il contrario.”
“Forse la laurea in psicologia dovresti prenderla tu Emily.”
Vide i suoi occhi sorridere.
“Lascio spazio a te, Charlotte. Ti conviene andare, tra poco arriverà l’infermiera a fare tutte quelle cose che non auguro a nessuno, quindi hai appena il tempo per salutarmi come si deve.”
Charlotte annuì, sistemò la sedia al suo posto, guardando ancora il mare e poi si diresse verso Emily. Si abbassò a darle un bacio sulla fronte ma la donna la abbracciò con quella poca forza che aveva, Charlotte fu presa alla sprovvista ma ricambiò quell’abbraccio.
“Adesso vai su. Avrai di meglio da fare che stare con me.”
La ragazza la guardò per l’ultima volta, mimò un grazie con le labbra e si apprestò a uscire dalla porta.
“Charlotte?”
Sentì la voce di Emily e si girò verso il letto.
“Sì?”
“Il tempo non è mai abbastanza.”
Le fece cenno con la testa e lasciò che quelle parole si depositassero dentro di lei mentre prendeva l’ascensore; sapeva che il tempo fosse tiranno, lo sapeva ogni volta che vedeva sua nonna con un nuovo acciacco o i sentimenti delle persone mutare, ma allora perché non aveva mai fatto qualcosa a riguardo? Pensò ad Eric e a come le cose sarebbero state diverse se lui si fosse presentato prima e poi pensò ad Andrew e al fatto che, se la tutor del tirocinio non le avesse proposto il colloquio, lei non avrebbe mai saputo la verità. Era arrivato il tempo di decidere e si ritrovò a digitare un numero, che ormai aveva stampato a caratteri indelebili nella sua mente.
“Sono io, ho bisogno di vederti.”
 
 
Non era stato facile convincerlo ma alla fine avevano concordato di vedersi in quel parco, lei era andata a comprare dei biscotti di pasta frolla nel panificio di fronte e aveva iniziato a mangiare. Pensava che così ogni tipo di crampo allo stomaco le sarebbe passato ma non era così, avrebbe preferito una bottiglia di Vodka piuttosto che quei biscotti ma non le sembrava consono. Non riusciva ad accostare lucidamente due pensieri, appena si chiedeva se quella fosse la scelta la giusta, la risposta non sembrava giusta, così il suo cuore le diceva di aspettare che lui arrivasse, se sarebbe arrivato. Aveva comprato biscotti tutti a forma di cuore e aspettava che lui venisse per offrirgliene uno, per intavolargli il discorso così e fargli capire più facilmente cosa provava ma rigirandosi quel cuore tra le dita, le sembrò una cosa stupida, di essere tornata alle scuole elementari. Si sedette sulla panchina, era verde come il colore degli occhi di Charlotte, e sospirò con quella busta piena di biscotti a forma di cuore sulle gambe; lo aveva aspettato così a lungo che le sembrò insignificante aspettare qualche momento in più.


Non credeva che Charlotte alla fine lo avrebbe chiamato, toccava a lui chiamarla ma come al solito lei era diversa e mentre percorreva la strada per quel parco, si chiedeva perché proprio quel giorno. Sentiva il cuore battergli all’impazzata, voleva capire perché lo aveva chiamato, perché sentiva il bisogno di vederlo e si fermò di colpo quando vide Charlotte seduta sulla panchina. Sentì il fiato mancargli, il cuore perdere un battito e poi un altro e si rese conto che alla luce era ancora più bella. Fino a quel momento si erano sempre visti alle feste o quella volta in campagna, quando lui l’aveva guardata di sfuggita per evitare di parlarle. I suoi capelli erano belli, sottili e con delle sfumature rosse che lo facevano impazzire, i suoi occhi erano vivaci e verdi come dei fili di erba e il suo viso era ancora più dolce, con quelle labbra in cui avrebbe voluto perdersi. Nelle ultime sedute con la psicologa avevano fatto molti progressi e avevano parlato molto di Charlotte, la donna era convinta che Charlotte sarebbe riuscita a riportarlo alla parte inconscia che riguardava la sua infanzia. Scosse la testa, sarebbe andato da lei, avrebbe percorso quello spazio che li divideva e nel frattempo avrebbe provato a non farsi scoppiare le tempie per la tensione.


Lo vide avvicinarsi a poco a poco, lentamente, e non seppe cosa fare, alzarsi e andargli incontro o rimanere lì seduta, facendo finta di non averlo visto. Si limitò solo a guardare nella sua direzione e scrutarlo dalla testa ai piedi, non lo credeva possibile. Non pensava che sarebbe riuscito a venire, pensava che l’avrebbe lasciata lì a morire di freddo e ad aspettarlo invano. Alla luce era diverso, lo aveva già visto in campagna ma adesso riusciva a vederlo meglio, lui era Andrew, lo stesso Andrew che aveva voluto bene da piccola e lo stesso Andrew che le aveva stravolto la vita con una maschera e un bacio.
“Alla luce è più difficile, vero?”
Charlotte decise di rompere il ghiaccio così e lui le sorrise, annuendo.
“Non conosco bene questa zona quindi mi ci è voluto un po’, mi spiace.”
“Non preoccuparti.”
Charlotte si era alzata per andargli incontro, con la busta dei biscotti in mano.
“Ne vuoi uno? Li ho appena comprati.”
Gli porse il sacchetto, lo aprì appena e lui affondò la mano per prendere uno di quei dolcini di pasta frolla. Indugiò un attimo sulla forma e sorrise a Charlotte.
“Carini.”
La ragazza arrossì.
“Sono anche buoni.”
Vide Andrew mangiarli con gusto.
“E’ vero, solo che io preferisco quelli ricoperti di cioccolato per metà.”
“Anche io ma non c’erano.”
Si sorrisero, ancora.

Andrew, se senti qualcosa e vuoi dirlo alle persone, digliela. Aiuta il nostro lavoro e ti aiuta nel rapporto con gli altri.

Andrew si fece d’un tratto serio e guardò Charlotte.
“Posso baciarti?”
La ragazza si irrigidì, non era una domanda che qualcuno le aveva mai fatto, non riuscì a dire niente se non fare un gesto meccanico con la testa per dire di sì, che voleva, anche se era stupido ridurre tutto a un semplice cenno. Si avvicinò a lui, lo guardò dritto negli occhi e poi appoggiò la propria fronte su quella del ragazzo; i loro nasi si sfiorarono, Charlotte chiuse gli occhi per sentirlo più vicino, per inspirare ancora di più il suo odore e quando riaprì gli occhi si perse nelle sue iridi azzurre. Troppo familiari, come aveva potuto non riconoscerli quella sera?
Dentro a quelle pozze vide tutto il suo mondo, Andrew e lei che si tengono per mano, loro due che corrono per la campagna, loro due che si baciano al buio e con una maschera e poi Andrew chiuse gli occhi. Spostò la sua testa verso destra e andò a baciare le labbra di Charlotte, quel bacio aveva il sapore della pasta frolla, era esigente, come se avesse bisogno di quel paio di labbra per sopravvivere e ad ogni respiro, sentiva le mani di Andrew muoversi su tutto il suo corpo. Avevano entrambi aspettato a lungo quel momento per diversi motivi, Charlotte che voleva baciarlo alla luce del sole, essendo consapevole di chi avesse davanti e Andrew che voleva stare con lei, senza aver paura e dando a lei tutto ciò che teneva dentro, tutto quell’affetto che si era permesso di donare solo a sua madre. Ripresero fiato perché l’aria era poca, i respiri troppo affannati, non era consono baciarsi in quel modo in pubblico e Andrew voleva parlargli di tutto ma soprattutto voleva parlare con Charlotte. Aveva tante cose da dirle.

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