CAPITOLO 13

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(tratto da una storia vera)

Buongiorno, oggi sabato importante. Oggi pomeriggio ho la partita con la prima in classifica, imbattuta da venti partite.

Le quattro sono arrivate in fretta, quindi dopo essermi preparato la borsa, mi dirigo verso il campo.

Il mister oggi è particolarmente silenzioso, io so il perché: E' teso, vuole vincere. Il mister per me è una persona importantissima. E' una persona vera, leale, sincera. Ci tiene a me. Non ho mai avuto un mister che credesse così tanto in me, tanto da affidarmi la fascia di capitano. Penso sia stato uno dei giorni più belli della mia vita, quando il mister, con mio immenso stupore, decise di affidarmi la fascia. Essere capitano è il mestiere più bello del mondo, e non solo perché puoi parlare apertamente con l'arbitro, quello è l'ultimo dei vantaggi, ma soprattutto perché hai il compito di tenere il gruppo unito, fino all'ultimo.

Insomma, dopo qualche minuto il mister ci fa entrare negli spogliatoi, e dopo averci riempito la testa delle sue frasi motivanti e stimolanti, entriamo in campo.

"Oggi deve essere una guerra, capitano mio", mi ha detto in privato. "Si, mister, finché non vedo il sangue io oggi non esco dal campo", gli ho detto, ironicamente." Probabilmente, ho preso troppo alla lettera la parola 'guerra'. Dopo la fine del primo tempo, infatti, terminato 0-0, entro in campo, voglioso di dimostrare a tutti le mie capacità. Passano i minuti, stiamo dominando, il gol è nell'aria. Ma ecco, mi accade qualcosa di strano. Mi ritrovo disteso. Vedo tutto sfocato, come in un sogno. Sento molto male, ho dei dolori forti alle gambe e alle braccia. Ma dove sono? A fatica riesco a scorgere il volto del mio mister, e accanto, quello di mio padre. Ma che ci fa mio padre qua? Boh, starò solo sognando. Mi guardo attorno, un gruppo di ragazzi mi sta accerchiando, e tra questi riconosco qualche faccia, che mi è familiare. Non ricordo però i loro nomi. Strano, molto strano, devo dire. Sento alcune grida, che provengono da fuori. Il mister mi dice qualcosa, mi sembra che mi abbia detto questo: "Capitano mio, stai tranquillo." Certo, mister, ma tanto sto solo sognando, non c'è alcun problema. O forse no?. Non ho forze, non riesco ad alzarmi, sono stremato. A fatica riesco a vedere le luci dell'ambulanza. Ah, si, ho capito, siamo al campo, da calcio. Ma che ci faccio al campo? Non ricordo nulla, i nomi dei miei compagni, quanti anni ho, come mi chiamo, dove mi trovo. Mi gira la testa. Sento un leggero fastidio, sotto il mento. Lentamente tasto il mento, con la mia mano. Ho una ferita, sul polpastrello del mio indice rimangono alcune gocce di sangue. Non riesco a capire nulla. Io, in realtà sto bene. E' questo ammasso di persone, grida, colori, forme e figure non delineate che mi crea un po' di disagio. Dopo qualche minuto vedo arrivare due persone, vestite con un camice arancione, da medico, credo. Aiutati da mio padre e dal mister, mi caricano su una barella, azzurra. Mi portano fuori dal campo, accompagnato dagli applausi del pubblico, e dalle frasi confortanti dei miei compagni, che mi gridano di non mollare. Muovo leggermente la mano, e trovo quella di mio padre. Si, la riconosco. La stringo, forte, come un peluche. "Tranquillo, tesoro, non è nulla", mi dice. Io lo guardo con uno sguardo perso, impaurito. Entro in ambulanza. La guardo bene, non sono mai stato su un'ambulanza, che io mi ricorda. Mi mettono una flebo sul braccio, e l'ambulanza parte. Riesco a sentire la sirena. Ho un po' paura, lo ammetto, soprattutto perché non so cosa ho fatto. Aspetta, adesso ricordo. Stavo giocando, beh si, contro la prima in campionato, pareggiavamo zero a zero, oggi è sabato. Ecco, qualcosa ricordo. Aspetta, ma in che mese siamo? Boh, questo proprio non me lo ricordo. Arrivato in ospedale, riesco a vedere i volti di miei due compagni, che mi lanciano grida di incitamento.

Ancora, a distanza di qualche minuto, non riesco proprio a capire cosa mi sia capitato

Ciao ragazzi, domani il continuo del capitolo!! scusate, ma oggi non ho avuto proprio il tempo di terminarlo!

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