Capitolo 15

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Cap. 15. Adrenalina.

Come Albert aveva temuto i due avevano preparato una trappola. Durante la loro assenza era salito sul trattore per spostarlo, ma non riuscendovi aveva tentato e ritentato tantissime volte finché i due erano tornati e ora, lo tenevano in scacco. Aveva capito che non avevano armi da fuoco, ma non se la sentiva di scendere dal grosso trattore sparando all'impazzata.

Ancora non aveva sparato un solo colpo, ma sperava che avessero visto l'arma e temendola non si avvicinassero. Spesso si sporgeva oltre il bordo del trattore, cercando d'apparire più truce di quanto non sembrasse. "Spero che non mi costringano a sparare", poi aveva continuato:  "Accidenti, non hanno forse ucciso mia figlia e riempito di botte mia moglie, perché ho questi ripensamenti?".

Albert non capiva ma era certo che se avesse dovuto, avrebbe sparato. Gli tornarono alla mente gli ultimi momenti di Lori e le sofferenze di Angela e bastarono a rinverdire in lui il desiderio di vendetta. "Spero di riuscire a ucciderli entrambi".

Nel riflettere aveva abbassato la guardia, permettendo a Tony di inerpicarsi su un lato del trattore. Costui, con il grosso martello già usato per colpire il vetro del finestrino, era ormai a qualche metro da lui e si accingeva a sferrare il colpo. Locosh, che fino a quel momento si era sporto spasmodicamente da un lato e dall'altro per seguire i movimenti dei due, ora, inspiegabilmente, era intento a controllare un solo lato e anche se fuori da ogni logica, continuava a farlo. Chissà che gli passò per la mente, perché si abbassò, mentre Tony sferrava la martellata. Lo indusse a voltarsi il rumore del metallo colpito con violenza e pensò di sottrarsi a un altro eventuale colpo, allontanandosi dall'uomo, ma cadde sul ventre avvertendo una fitta all'altezza del fegato. Mugolò ma capiva che se non si fosse allontanato alla svelta, l'uomo gli avrebbe procurato maggiori sofferenze. Girò su se stesso dando le spalle alla lamiera e lo vide avvicinarsi deciso a colpirlo. Non aveva lasciato l'arma e sparò su Tony, che rotolò fino a cadere di sotto. Cercò di alzarsi, ma il dolore non glielo permise, allora strisciando si sporse per controllare se quell'assassino fosse vivo per parargli ancora. Di sotto non c'era. Strisciò sull'altro lato e controllò che non salisse anche l'altro: ora, era finalmente certo che avrebbe sparato fin quando non li avesse uccisi entrambi. La consapevolezza d'aver raggiunto un compromesso con se stesso, lo calmò e fu allora che avvertì più forte il dolore all'altezza del fegato, toccò il punto per appurare l'entità del male e ritirando la mano, la vide sporca di sangue. "Accidenti, ancora un po' e mi sarei ucciso da me". Cercò con lo sguardo che cosa gli avesse procurato quella ferita e notò un uncino per le balle di fieno, sporco di sangue. "Con un po' d'attenzione lo avrei evitato". Tolse la camicia e strappata una manica pensò a tamponare  la ferita.  "Non so come finirà questa giornata, spero solo d'essere ancora vivo stasera". Poi dopo essersi guardato ancora una volta intorno, continuò: "In macchina non ci torno, perché non voglio finire come un topo". Non si spiegò perché aveva pensato all'auto come a una trappola per topi, ma oramai se n'era convinto. Spinse il rotolo di stoffa sulla ferita e costatò che il dolore si attenuava. "Accidenti, da qualche parte ho sentito dire che quando non si avverte più dolore, vuol dire che si sta per morire, però mi sento bene, anzi riesco anche ad alzarmi". E lo fece.

Frattanto Tony, riparato in casa, per la caduta  dal grosso trattore si era slogato una caviglia e cercava di tamponare il sangue che usciva dalla ferita alla spalla.

"Fa male?", chiese Eric, non togliendo lo sguardo dal trattore.

"Un po', ma fa attenzione se ti vede, ti spara".

"Lo so ma non preoccuparti, piuttosto reggi il dolore?".

"Un aiuto mi farebbe comodo". Eric estrasse una bustina dalla giubba e rovesciato il contenuto sul tavolo, lo divise in cinque piccole strisce.

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