Lui chiuse gli occhi ed espirò. Non si sentiva ancora sfinito e voleva esserlo prima di coricarsi a letto. Non voleva avere altri incubi, non voleva vedere ancora suo padre.
Con uno sforzo enorme, sollevò quel peso dal duecento chili. I muscoli stavano gridando dal dolore, ma lui non voleva fermarsi.
Le gocce di sudore stavano percorrendo le sue tempie fino ad arrivare al suo mento.
La stanza era scura, c'era solo una luce accesa sul soffitto.
Inspirò tutto d'un fiato, trattenne l'ossigeno per qualche secondo all'interno dei suoi polmoni e appoggiò il peso sul suo apposito sostegno. Infine espirò.
Rimase steso sul lettino per qualche secondo con gli occhi puntati sul soffitto. I puntini neri intasavano la sua vista, tanto da ricordargli che aveva raggiunto il picco massimo di sforzo. Se avesse continuato, di sicuro, avrebbe perso i sensi come l'ultima volta.
Il silenzio regnava sovrano in quella palestra, che era stato lui stesso ad allestirla, finché uno scatto della maniglia non lo ruppe.
Una luce entrò dentro facendogli chiudere gli occhi.
"Ares" la sua voce.
Lui scosse la testa, era da quando si era risvegliato in quella stanza completamente bianca, insieme ad Asclepio che aveva cercato di evitarla. Non voleva parlarle, non voleva sentire i discorsi troppo melensi che si era preparata. Se la immaginava chiusa nella sua stanza, con un foglio tra le dita, scritto da lei, la testa sollevata a guardare il soffitto carico di lampadari. Si ripeteva a voce alta il discorso già scritto e ogni volta che sbagliava o dimenticava una parola si malediceva e lanciava a terra i fogli con i pugni pronti a colpire qualunque cosa.
Il dio si sollevò dal lettino mentre sua madre chiudeva la porta ed accendeva tutte le luci.
L'intera stanza si illuminò e la stanza prese forma. Le varie attrezzature comprate da Ares di colore nero, erano in contrapposizione con le piastrelle completamente bianche. Quel luogo non era mai usato da nessun dio, escludendo suo figlio, in quanto gli dèi non dovevano preoccuparsi del loro aspetto fisico.
"Non capisco perché ti rintani al buio, ti ricordo che non sei un pipistrello" mormorò lei guardandolo.
Ares afferrò il suo asciugamano bianco dal tapis roulant, dov'è l'aveva appoggiato appena entrato. se lo mise intorno al collo.
"Asclepio mi ha detto che non devi sforzarti troppo e te l'ha detto pure a te" la dea si accuccia a terra ed iniziò a raccogliere i vestiti sporchi che il dio della guerra era solito lasciare in giro.
Lui in risposta, afferrò una bottiglietta di acqua e la aprì.
Non aveva voglia di discutere e sperava che Era ci rinunciasse e lo lasciasse in pace.
"Ares, non provare ad ignorarmi" mormorò la dea avvicinandosi con passo spedito a lui e afferrandogli un braccio.
"Non. Provare. Ad. Ignorarmi." disse scandendo bene le parole, era stufa del tuo comportamento da bambino. Più lei cercava di parlargli, più lui scappava e si rifugiava in se stesso.
Ares bevve l'ultimo sorso prima di rivolgerle la parola dopo tantissimo tempo: "Se una persona ignora un'altra persona, ci sarà un motivo per cui lo fa" e strinse la bottiglietta fino ad appiattirla completamente.
"Sono tua madre! Non puoi ignorarmi!" strinse i denti guardandolo negli occhi.
"Io ignoro chi voglio" e fece cadere a terra la bottiglietta.
Era si accucciò e la raccolse aggiungendola alle vesti sporche che teneva tra le braccia.
"Ares, sono tua madre" esclamò ancora lei. Continuava a ripeterlo, continuava a lanciare la stessa pietra contro la testa del dio, sperando che lo scalfisse. Ma una pietra non poteva scalfire un diamante.
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La Madre Dell'Olimpo
Fantezie¡La continuazione de "La Figlia Degli Inferi"¡ Non tutto quello in cui credi è giusto. Ecco una frase che Glaphyra conosce bene e che non riesce a togliersi dalla testa. Probabilmente perché se ne fosse stata a conoscenza prima, niente di tutto ciò...