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I giorni passarono veloci. Le stesse giornate si ripetevano in un flusso temporale continuo. La monotonia che aveva invaso la mia vita era asfissiante, come se mi stesse soffocando, lentamente. Ogni mattina uscivo per andare al lavoro, per tornare poi il pomeriggio tardi. In ufficio facevo sempre le stesse cose. Carte, carte, carte. La cosa più noioso che potesse mai esistere sulla faccia della terra. Non ero una persona che amava svagarsi e divertirsi ogni momento della giornata, o almeno una volta lo ero. Ma persino per a me, la mia vita risultava insignificante. Soprattutto senza di lui.

James era partito qualche giorni dopo l'intervista alla Tv.  Prima di salire sull'aereo che l'avrebbe portato negli Stati Uniti, era passato a salutarci. Nel momento in cui aveva pronunciato la parola " parto " il mio cuore era sprofondato in una mare immenso di tristezza. Subito aveva pensato " Ecco se ne va anche lui ". Ma come sempre mi sbagliavo.  Le sue mani, calde e dalla carnagione morbida, aveva accarezzato la mia guancia. Sentivo ancora lungo il corpo il brivido che avevo provato al suo tocco, alla sua mano sulla mia.  " Starò via solo pochi giorni. Quando tornerò faremo quella cena che ho mancato ". Aveva detto così. La sua voce bassa, tranquilla, scandiva in modo chiaro e conciso ogni singola parola. I suoi occhi, magnetici come sempre, aveva preso il controllo del mio sguardo, impedendomi di guardare qualsiasi altra cosa. Era impossibile non guardare i suoi occhi, impossibile per tutti. Prima di andarsene riuscì a strapparmi un sorriso dalle labbra, rubandolo e portandoselo con se. Senza che io me ne rendessi conto le sue labbra, carnose, si poggiarono sulla mia fronte stampandomi un delicato bacio sulla pelle. Sentivo che la pelle bruciava, scottava a contatto con lui. Ogni sua azione, ogni parola, ogni gesto aveva riscaldato tutto il mio animo, facendo evapora quella tristezza che in un secondo mi aveva buttato giù, deprimendomi. Lui l'aveva affrontata e combattuta per me, salvandomi nuovamente da momenti tristi e bui. Dopo che si era chiuso la porta alle spalle, io avevo chiuso gli occhi immaginando quel bacio nella mia mente. Ancora ed ancora. Continuavo a farlo ogni mattina, ogni sera prima di addormentarmi. In quel modo lo sentivo vicino a me, sempre. Mi dava la carica ogni mattina per alzarmi dal letto e mi addolciva la notte scacciando gli incubi da me, proteggendomi con la sua luce ed il suo calore.

Era passata già una settimana. Ogni volta che tornavo a casa, aspettano che Alice tornasse, mi sedevo alla finestra osservando il vialetto. Immaginavo il nostro incontro e speravo sempre di vederlo arrivare con le valigie alla mano, pronto a disfare i bagagli e ritornare a casa sua. Ma non accadeva mia, almeno da sette giorni. Il tempo in cui era partito. 7 giorni, 17 ore e 40 minuti. Tenevo il conto del tempo passato distanti l'uno dall'altro. Io non smettevo di pensare a lui, non ci riuscivo nemmeno volendo. Il desiderio irrefrenabile di stargli accanto era troppo acceso da poterlo sopprimere. Dentro di me pensavo spesso se lui stesse provando le stesse cose, se stesse pensando a me, a noi. A quello che eravamo. Come tutti gli altri giorni, aveva iniziato a gocciolare. La casa era fredda, silenziosa. Non c'era niente da fare, anche quelle si prospettava una giornata monotona, in ogni sua parte. Sospirai verso la finestra, condensando per un breve istante quella parte colpita dal calore della mi bocca. Appannando il vetro della finestra. Passai la mano sulla superficie vitrea, gelida, ripulendola dalla condensa. Guizzai la vista e notai l'arrivo di una limousine dai vetri oscurati. Non era necessario guardare dentro perché sapevo già chi vi fosse al suo interno. Balzai in piedi appoggiando i palmi alla panca e schiacciando la fronte contro la finestra. In attesa di vederlo uscire dai sedili posteriori dell'auto. Il mio cuore palpitante batteva contro il petto, poggiai una mano sullo sterno cercando di rimanere calma e tranquilla, non dovevo farmi prendere dal panico. Ogni cosa appariva rallentata, il cadere delle foglie, il movimento del vento, ogni cosa aveva perso velocità. Lo sportello nero della macchina si aprì e poco dopo, un passo dopo l'altro, la sagoma di un uomo si stagliò sul cielo grigio di Londra. James. 

Era lui, era tornato. Senti il respiro mancare ed il mio cuore bloccarsi per un solo istante. Mi alzai di scatto raggiungendo la maniglia della porta. L'afferrai saldamente, stringendola tra le mie esili mani, pallide e fredde. Volevo aprirla ma non ci riuscì, il mio corpo era paralizzato. Tremavo all'idea di rivederlo, avevo aspettato per tutti quei giorni, ma che cosa gli avrei detto? Come andata il viaggio? Mi sei mancato? No, non potevo dire quelle cosa, non ancora. Rinunciai lasciando scivolare la mano lungo il fianco ed abbandonando il mio corpo contro il legno ruvido della porta. Chinai la testa verso il basso. Sospirai. Era la cosa giusta, non poteva piombare su di lui, non era da me. Anche se ogni fibra del mio corpo era attratta da lui, dovevo frenare i miei istinti. Lui non era come gli altri, era una persona importante, non potevo piombare tra le sue braccia. Non sapevo nemmeno che cosa fosse giusto o sbagliato. La mia mente era un ciclone di pensieri, confusi e mescolati tra loro. Si muovevano nervosamente nel mio cervello, riempiendo il silenzio in quella casa, assordandomi. Non riuscivo ad allontanarli, erano troppi, e non riuscivo nemmeno a separare quelli che avevano una logica da quelli che erano puri istinti sentimentali. Il suono delle nocche che battevano sulla porte bloccò quel flusso di coscienza continua. Alzai la testa, girandomi verso la porta. Con il cuore in gola e tremante afferrai nuovamente la maniglia. Che fosse lui? Dovevo prendere coraggio ed aprire, scoprire che sarebbe successo. Lui avrebbe movimento la mia giornata, o sarebbe rimasta uguale? Inspirai profondamente, espirando tutta l'aria dai polmoni, per poi riempirli nuovamente. Con decisione aprii la porta, spalancandola verso di me. 

James era proprio di fronte a me. La mano alzata pronta a battere nuovamente sul legno della porta. I suoi occhi blu come il cielo si stagliarono sul grigio del cielo alle sue spalle. Elegante come sempre, con quel suo completo scuro. I lineamenti delicati del viso e i capelli leggermente accorciai ad ambo i lati, quasi rasati vicino alle orecchie. I gel, brillante, che impiastricciava le chiome scure. La parte destra del labbro alzato, con il quale abbozzò un sorriso. Non potevo vedere la mi espressione, ma sapevo che ero rimasta pietrificata di fronte a lui. Alla sua bellezza. Non me la ricordavo così travolgente, così eterna ed immutabile. Le mie labbra si muovevano, leggermente su e giù. Cercavo di dire qualcosa, di salutarlo anche solo di accennare un mugugno, ma niente. Mutismo totale. I miei occhi oscillavano tra i suoi occhi ed il suo intero corpo, dalla forma perfetta. I suoi movimenti, rallentati alla mia vista, sembravano formare una danza all'unisono con gli spostamenti del vento intorno a lui. Le sue parole non mi arrivavano, percepivo solo me e lui. I nostri sguardi, i movimenti dei nostri corpi. Lo spazio che ci divideva. Il suo profumo catturò il mio olfatto, estraniandomi da quella strada. Chiamava il mio nome, ma in quello stato di trans non percepivo niente se non la nostra versa essenza, il suo calore. 

- Elise .. - persa nella fantasia, nell'illusione che niente mi avrebbe portato via da lui, che le nostre anime ed il nostro legame sarebbe durato per sempre. - Elise ... -  mi sentivo felice come non mai, se qualcuno mi avesse chiesto come dovrebbe essere il paradiso avrei risposto come mi sentivo con James, perché era lui il mio paradiso - Elise ... - la sua mano mi raggiunse scuotendomi, svegliandomi dal mio sogno e riportandomi alla realtà - Ehi, ciao .. - presi coscienza di quello che era accaduto e mi ricomposi in un solo istante - Tutto bene, sembravi persa nei tuoi pensieri. C'è qualcosa che non va? - mi domandò con voce soave.

- No .. no non c'è niente che non va, va tutto alla grande - le parole mi uscivano alla rinfusa, come se avessi dimenticato come si parlava ad un amico. Amico. Già, solo dopo averlo perso ero riuscita ad ammettere a me stessa che lui ed io eravamo amici. -  .. ehm ... tu piuttosto .. com'è andato il viaggio ... ti sei divertito? - non sapevo nemmeno che cosa stessi dicendo. Lanciavo parole così gusto per formulare delle frasi, che magari non avevano nemmeno un senso compiuto. Lui sorrise, divertito da quel mio comportamento strano. Magari ci aveva fatto l'abitudine con tutte le fan delle varie parti del mondo, con cui aveva a che fare.

-Si, è andato tutto bene, grazie per averlo chiesto. -  i suoi occhi assottigliati mi fecero scogliere come un cubetto di ghiaccio nel bicchiere di wishy. - Sono appena arrivato, sono passato solo un per saluto oggi pomeriggio ho un impegno e purtroppo non posso trattenermi a lungo. - forse era meglio così, se fosse rimasto avrei aumento le mi chance di mettermi in ridicolo di fronte a lui. Avevo bisogno di tempo per riabituarmi a parlare con lui. Una settimana fa sembrava coì facile, così semplice rimanere distacca nei suoi confronti. - Allora vado ... ci vediamo sicuramente in questi giorni .... ciao Elise - si avvicinò a me baciandomi dolcemente la guancia. Poi si voltò verso la limousine e vi salì sopra. Lasciando nuovamente quella viale.

Appoggiai una mano sulla guancia, arrossata.  Un suo semplice bacio provocava quell'effetto. Guardavo di fronte a me, imbambolata. mi sentivo strana, il petto bruciava, anzi ogni parte di me stava andando a fuoco. Quando ci eravamo saluti una settimana fa, in sua presenza, non mi sentivo in quel modo. Che cosa era cambiato? Lui. No, lui era sempre lo stesso. Magari ero io, forse avevo ammesso a me stessa ciò che realmente erano quelle sensazioni, la pelle d'oca, il battito, il respiro rallentato. Non potevo più ignorarle come avevo sempre fatto, non potevo far finta di niente. Quello che provavo era vero, reale. Non era un illusione. Dovevo solo aver il coraggio di ammetterlo, di dire a voce alta che io lo amavo. 

Io lo amavo. 

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⏰ Ultimo aggiornamento: Apr 18, 2017 ⏰

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