Capitolo 1

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Camminai lentamente lungo il vialetto che conduceva all'ingresso della villa di famiglia. Il sole filtrava attraverso le foglie degli enormi alberi, che costeggiavano la dritta stradina di pietra. L'erbaccia era cresciuta prepotentemente tra una pietra e l'altra. Non potei fare a meno di calpestarla, creando quel rumore fastidioso di fibre schiacciate. All'improvviso una folata di vento sollevò le foglie cadute e il terriccio, che vorticosamente, rimase sospeso in aria. Tossii piano e ripresi a camminare. Osservai con attenzione tutto ciò che mi circondava, alla ricerca di un qualche particolare famigliare. Per ora tutto ciò su cui posavo gli occhi era, stranamente, una novità. Continuai a camminare e, questa volta, accelerai il passo. L'ingresso si erse davanti a me. Mi soffermai qualche minuto, osservando la facciata della casa in pietra bianca, ormai quasi coperta dall'edera, che si era arrampicata fin sul tetto. Qualche persiana era rimasta aperta, rendendo così possibile intravedere il soffitto bianco. Spostai il mio sguardo su una piccola fontana, poco distante da me e la raggiunsi. L'acqua all'interno era verdastra e scura. Mi comparve sul volto una piccola smorfia involontaria. Mi specchiai all'interno e notai che i miei capelli castani erano completamente spettinati. La folata di vento di poco fa, pensai. Cercai di riavviarli indietro. Avevo un taglio piuttosto comodo: cortissimi sui lati e più lunghi sopra. Era pratico per me. Il suono del cellulare mi distolse da quei pensieri. L'afferrai dal taschino del giubbotto in pelle nera che indossavo e risposi subito dopo.

«Claudia!» esclamai sorridendo involontariamente.

«Daniele... pronto?! Non ti sento bene...»

Incominciai a spostarmi per il campo circostante, in cerca di un posto dove il cellulare potesse prendere perfettamente. Ripetei più volte il suo nome, finchè mi disse che finalmente mi sentiva bene.

«Credo non ci sia abbastanza campo qui...» commentai, appoggiando la schiena sul tronco ruvido di una grossa quercia.

«Sei arrivato alla villa?» mi chiese curiosa come al solito.

«Si poco fa. E' messa parecchio male all'esterno. L'interno non l'ho ancora visto, ma penso non sia messo meglio...»

«Beh... è da molto che manchi. Due anni, giusto?»

«Credo di si...» commentai perplesso, riavviando all'indietro il ciuffo castano, che prepotentemente mi cascava in avanti.

«Hai... ricordato qualcosa?» mi chiese Claudia con molta cautela. Il suo tono di voce era cambiato. Ora sembrava preoccupata.

«No... ricordo solo le foto che mi hai mostrato all'ospedale... nient'altro» dissi, volgendo lo sguardo sulla facciata della casa. Mi soffermai sulla parte annerita dal fumo dell'incendio di quella notte.

Non ricordavo molto di quell'incidente. La polizia disse che si trattò di un corto circuito. Ricordavo solamente piccoli flash. Ricordavo il bagliore accecante delle fiamme, talmente alte da arrivare al soffitto. Ricordavo le urla di una ragazza, forse mia sorella. Il forte odore di bruciato e poi tutto iniziava a svanire. Ero stato in coma quasi sei mesi e avevo perso la memoria nell'incidente. Claudia, la mia migliore amica, mi è stata vicina e mi ha aiutato molto. Mi ha portato le foto dei miei genitori e di mia sorella quando ero all'ospedale. Mi ha raccontato che uno scaffale mi era caduto addosso, procurandomi una frattura al braccio destro ed una commozione celebrale, di cui portavo la cicatrice sul capo, ormai semi coperta dai capelli. Sono morti tutti nell'incendio, mi disse Claudia quasi mettendosi a piangere, dopo che io le avevo chiesto dove fossero i miei genitori e mia sorella. Soltanto io ero sopravvissuto. L'incendio ha distrutto metà della villa davanti cui mi trovavo. Ne portava ancora i segni. Il grigiore di parte della facciata e le finestre completamente distrutte dal fuoco, mi ricordavano quella terribile tragedia. Abbassai lo sguardo verso l'erba incolta del giardino e continuai a conversare con Claudia.

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