Capitolo 3

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Riaprii lentamente gli occhi. Dapprima tutto mi apparve sfocato. Pian piano riuscii a mettere a fuoco il viso di Simone, che chino su di me mi guardava preoccupato. Mi portai una mano alla testa. Sentii ancora una fitta di dolore e strizzai gli occhi, come potessi scacciarla.

«Daniele come ti senti?» mi chiese sopraffatto dalla preoccupazione, mentre mi aiutava a rimettermi seduto.

«Mi...fa male...» riuscii a farfugliare, mentre mi poggiavo al braccio che Simone mi porse.

«Chiamate un ambulanza!» gridò lui al ragazzo in piedi vicino a lui.

«No!» quasi urlai e, aggrappandomi a lui, riuscii a mettermi in piedi «Vi prego, non voglio... sto bene...»

Simone mi circondò la vita e le spalle con entrambe le braccia. Per qualche attimo tutto prese a girare vorticosamente ed un forte senso di nausea mi assalii subito dopo. Istintivamente, mi coprii la bocca con la mano, mentre l'altra mano cercò disperatamente un appiglio sulla camicia a scacchi di Simone.

«Non stai bene per niente Dani...» mi disse stringendomi a lui. Mi faceva uno strano effetto sentirmi chiamare con un nomignolo. Sollevai il viso verso il suo, incrociando i suoi occhi verdi, fissi nei miei. I nostri volti erano vicini, tanto che le nostre guance potevano benissimo sfiorarsi. Sentii il suo corpo irrigidirsi e le sue gote tingersi di un color rosso accesso. «Ce la fai a camminare? Ti porto dentro casa...» disse, poi voltando lo sguardo.

Annuii lentamente ed incominciai a camminare, sorretto dalle forti braccia di Simone. Le gambe cedettero un paio di volte, per cui dovetti fermarmi, per poi riprendere subito a camminare. Entrai in cucina e mi sedetti sulla prima sedia disponibile. Poggiai stancamente le braccia sul tavolo di legno, coperto da uno spesso strato di polvere. Uno dei ragazzi della squadra mi porse un bicchier d'acqua e, piano, ne sorseggiai alcune gocce. Sentii il liquido fresco scendere per tutta la gola infiammata e sembrò darmi sollievo. Appoggiai il bicchiere davanti a me e abbandonai il capo sulle braccia.

«Cosa ti ha fatto?» mi chiese all'improvviso Simone, rimasto da solo con me nella stanza.

«Chi?» chiesi stancamente, socchiudendo piano gli occhi.

«Quel tizio... quello che è venuto prima dalla casa vicina.»

Aprii gli occhi di scatto e, sollevando il capo, guardai Simone perplesso. «Cosa intendi dire?» per un momento pensai che ci avesse visti, mentre ci baciavamo.

«Dopo che se ne è andato, ti ho visto svenuto sul terreno... Ti ha fatto qualcosa?» la sua faccia era sempre più contrariata, come se parlare di Gabriele fosse per lui solo un fastidio.

«Non mi ha fatto proprio nulla.» dissi per poi spostare il mio sguardo dalla parte opposta della stanza, nascondendo il mio evidente rossore agli occhi di Simone. «Gli ho medicato la ferita, abbiamo parlato un po' e poi è andato via. Nient'altro...» omisi volontariamente il bacio e più ci pensavo e più sentivo il viso infiammarsi fin alle punte delle orecchie.

«Va bene» disse avvicinandosi a me e dandomi una pacca sulla spalla «Torno dagli altri. Tu invece dovresti tornare in hotel. Riposati...»

«No, dobbiamo continuare i lavori...»

«Ci pensiamo noi. Torna in hotel, non vorrei che svenissi ancora una volta. Dirò a Gianni di portarti con il furgone. La tua moto la metterò nel garage.»

Annuii silenzioso. Mentre Simone usciva dalla stanza ripensai ancora a Gabriele e subito mi tornarono in mente quelle immagini che avevo visto prima di svenire. Un bacio, un abbraccio, non ricordavo altro. Cosa potevano significare?

*   *   *

L'acqua calda della doccia scivolava sul mio corpo nudo. Sollevai di scatto il viso, esponendolo al debole getto dell'acqua. Lasciai che mi spostasse con delicatezza i capelli dal viso, pettinandomeli all'indietro in una dolce carezza. Immaginai che fosse la mano di Gabriele a toccarmi il capo, come aveva fatto quella mattina. Il suo bacio non riuscivo a dimenticarlo. Era ormai un'ossessione. Non mi sembrava nulla di strano, nonostante fossimo entrambi uomini. Lui mi conosceva, ma io non sapevo nulla di lui. Per quanto mi sforzassi, non riuscii a ricordare nulla di lui. Nemmeno compresi il significato di quelle immagini improvvise, che, man mano passava il tempo, mi sembrarono sempre più sfocate e lontane.

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