Capitolo 8

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Era ormai Luglio inoltrato e l'afa era sempre più soffocante e insopportabile. Mi guardai allo specchio. Dopo aver fatto la doccia, mi vestii di tutto punto: camicia bianca e jeans scuro. Ero agitato e nervoso. Stavo per affrontare Gabriele. Avevo tanta voglia di vederlo, di stringerlo a me e di baciarlo. Arrossii violentemente. Poggiai entrambe le mani sul bordo del lavandino ed osservai meglio il mio viso. Guardai le mie guance imporporarsi lentamente, mentre il pensiero del tocco di Gabriele accendeva in me il desiderio. Mi chiedevo come mai Gabriele mi faceva questo effetto, ma proprio non riuscivo a capirlo. Era solo desiderio oppure era un altro tipo di sentimento?

Scrollai via questi pensieri e mi concentrai nel sistemarmi i capelli. Riavviai con un po' di gel i capelli all'indietro, lasciando la riga al lato. Sospirai, cercando di calmare i miei nervi tesi, mentre speravo che Gabriele fosse in casa. Avevo provato a chiamarlo, ma era stato inutile. Non mi aveva mai risposto. Mi allacciai le converse ed uscii di casa.

Non avevo ancora avuto il coraggio di aprire le porte della sala da pranzo. Non volevo stressarmi ulteriormente, ma sapevo che prima o poi avrei dovuto affrontare anche quell'enorme scoglio.

Mi diressi verso la siepe e mi fermai al di sotto della grande quercia, che mi donava, nella sua ombra, un po' di freschezza sotto il sole cocente di quel pomeriggio.

Posai il palmo della mano sul tronco rugoso della quercia. Guardai in direzione della casa di Gabriele, ma non vidi nessuno. Le finestre erano tutte chiuse. Sembrava non esserci alcun segno di vita. Stringendo i pugni mi feci coraggio e aprii il cancello, che separava le nostre due proprietà. Me lo richiusi dietro e continuai a camminare in direzione della porta della sua casa. L'ansia dentro di me cresceva ad ogni passo che compivo. Più mi avvicinavo e più sentivo di non voler proseguire oltre. Non lo vedevo da tanto e non sapevo come avrebbe reagito vedendomi là. In pochi passi fui davanti la sua porta. Sospirai un'ultima volta e mi decisi a suonare il campanello. Restai in attesa, completamente immobile. Sentii poco dopo dei passi avvicinarsi alla porta e poi Gabriele l'aprì con uno scatto energico. Sgranò gli occhi vedendomi lì, dinanzi a lui. Strinse forte la maniglia della porta e non disse nulla. La voce di una donna interruppe quell'assurdo silenzio fra noi, chiedendo chi fosse alla porta.

«Nessuno! Torna in stanza!» gridò Gabriele in direzione della voce. Lo vidi guardarmi ancora una volta. Poi richiuse la porta alle sue spalle. Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni delle chiavi, con cui chiuse la porta. Non capivo cosa stava succedendo e, confuso, indietreggiai di qualche passo. Gabriele si voltò all'improvviso verso di me e, afferrandomi l'avambraccio, mi trascinò verso casa mia. Faticavo a stargli dietro, tanto andava veloce. Guardai un'ultima volta verso le finestre di casa di Gabriele e notai che ora una era aperta. La donna di cui avevo sentito la voce ci guardava andare via. Non riuscii a vederne le fattezze. Con il solito scatto, chiuse la tenda e si celò dietro di essa. Oltrepassammo il cancello e, solo quando fummo arrivati dinanzi all'ingresso della villa, Gabriele lasciò andare la presa dal mio braccio.

«Cos'è successo?» gli chiesi, massaggiandomi lì dove aveva stretto la sua mano e che ora era dolorante.

«Niente... mia madre è malata. E' meglio se non vieni più a casa mia...» sospirò, poi continuò a parlare «Perché sei venuto?» fissò i suoi occhi dorati nei miei e, come se avessero un qualche potere incantatore. Mi fermai a fissarli silenzioso. Tutto il coraggio per parlargli e per chiedergli finalmente la verità sembravano svaniti nel nulla.

«Ti mancavo, forse?» il suo tono questa volta era basso e sensuale. Fece pochi passi verso di me, ma bastarono per raggiungermi. «Mi dispiace averti fatto male Daniele» mi afferrò nuovamente il braccio, ma questa volta fu più gentile «Sai a mia madre non piacciono le visite degli sconosciuti. Si agita e s'innervosisce, perciò ti ho portato via...» mi spiegò, prendendo ad accarezzarmi la parte dolorante sull'avambraccio.

Annuii silenzioso e lo lasciai fare. Sentire il suo tocco gentile sulla mia pelle mi fece sentire bene. Il dolore lasciò il posto ad un formicolio piacevole che si estendeva per tutto il braccio. Sbattei più volte le palpebre per riuscire a concentrarmi, ma mi fu davvero molto difficile.

«Gabriele» esordii con voce tremante «mi hai salvato la vita. L'ho saputo da una mia cara amica...»

«Da Claudia...» m'interruppe lui, continuando ad accarezzarmi l'avambraccio, risalendo sempre più su, fino alla spalla. Potevo sentire il tocco delle sue dita attraverso il tessuto della camicia.

«La conosci?» gli chiesi, mentre le dita di Gabriele risalirono su per il mio collo. Lo accarezzò delicatamente e questo bastò a farmi arrossire.

«L'ho conosciuta il giorno dell'incidente» mi disse e passò a toccarmi la guancia arrossata e calda, mentre l'altra mano era impegnata a farsi strada sulla mia schiena. «L'ho chiamata più volte in questi mesi. Volevo sapere se ti eri rimesso.»

«Ah...» dissi soltanto, sgranando gli occhi e rendendomi conto di quante cose non sapevo. «Claudia non mi ha detto nulla...»

«Lo so, non c'era motivo che tu lo sapessi.» Si avvicinò a me e mi abbracciò piano. Sentivo tutto il suo calore invadere ogni parte del mio corpo.

«Perché? Io voglio sapere tutto invece...» gli dissi, mentre posava la sua guancia contro la mia.

«Cosa vuoi sapere?» mi sussurrò all'orecchio. Sentii il suo caldo respiro contro il mio orecchio. Lo stomaco si contorse dal piacere. Quasi gemevo fra le sue braccia. Mi era mancato. Mi era mancato tutto di lui. Sentirlo vicino a me, la sua voce, i suoi sussurri, il suo tocco forte ma delicato.

«La verità...» non ebbi modo di continuare a parlare, poiché le mie parole sfumarono sulle sue labbra. Mi baciò con passione, affondando la sua lingua nella mia bocca, assaggiandone ogni sapore. Mossi velocemente la mia mano, che si posò fra i suoi capelli, fermandosi sulla sua nuca. Volevo sentirlo mio, sempre e solo mio. Volevo che mi dicesse tutto di lui, ma al contempo quel suo alone di mistero mi stuzzicava. La nostra eccitazione era ormai evidente, mentre ci stringevamo l'uno all'altro sempre con più forza.

«Dimentica...» mi sussurrò all'orecchio, prima di mordicchiarlo, facendomi gemere dal piacere « Se solo potessi dimenticare Daniele...»

Non badai a quello che disse, tanta era la voglia di fare l'amore con lui. Respiravo a fatica e gemevo, per il forte piacere che provavo. Mi chiesi come poteva attrarmi fino al punto di aver bisogno di lui, delle sue carezze, dei suoi baci.

Gabriele mi sfiorò le labbra con la lingua «Dimentica...» mi disse ancora una volta, prima di baciarmi ancora e ancora, fino a farmi perdere completamente la ragione. 

DimenticaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora