Capitolo 16

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«Faccio spesso dei sogni strani...» rivelai alla dottoressa in una delle sedute che si erano susseguite in quelle settimane. «Ma non riesco a capire se sono ricordi oppure la mia immaginazione».

La dottoressa Alberighi accavallò le gambe affusolate, rivelate da un tubino corto blu acceso. Aveva tagliato i capelli. Aveva optato per un comodo caschetto sulle spalle.

«Provi a raccontarmene uno... quello di cui ha avuto più paura» mi disse, poggiandosi completamente allo schienale della poltrona. Sospirai nervosamente. Ricordare quei sogni così vividi, era come riviverli ed ogni volta ne avevo sempre più paura. Sistemai la camicia di jeans, ripiegata sulle maniche e mi lisciai i palmi sulle gambe, strofinandoli sul tessuto duro dei jeans chiari che indossavo. Avevo fatto molte sedute con la dottoressa e, ormai, le confidavo qualsiasi cosa. Mi fidavo di lei e del suo giudizio. Ma avevo tralasciato Gabriele da ogni mio racconto. Temevo il giudizio che potesse avere su di lui. Lo amavo. Ogni giorno per me era come una sfida continuare a stargli vicino, perché in ogni mio sogno più spaventoso, lui compariva.

«Ecco...» esitai qualche attimo, ma ripresi subito a parlare. «C'è un sogno che mi inquieta molto. Gabriele...»

«Gabriele? Chi è?» disse afferrando immediatamente il suo block notes e la penna, pronta a scrivere della mia relazione con lui.

«Lui... è una persona importante per me. Stiamo insieme. Mi dispiace non avergliene parlato prima.»

Scrisse qualche appunto sul block notes e sembrò non essere sorpresa della mia rivelazione. Quando ebbe finito di scrivere, mi guardò, come se lo facesse per la prima volta. «Da quanto tempo state insieme?» mi chiese poi infine.

«Da pochi mesi. Anche se sembra che fossimo innamorati già da prima dell'incidente...» raccontai ciò che Gabriele mi aveva raccontato e ad ogni parola che pronunciavo, la mia mente ricreava dei flashback. Gabriele che mi baciava e mi abbracciava sul sentiero degli innamorati. I miei sentimenti, rimasti nascosti come i miei ricordi fino a quel momento, iniziarono a venire a galla. Mi presi il capo fra le mani. Un dolore lancinante alla testa mi fece piegare in due. Respiravo a fatica. La dottoressa si avvicinò a me immediatamente. Afferrò il cellulare con l'intenzione di chiamare un'ambulanza, ma bloccai i suoi movimenti. Deglutii con molta fatica e cercai di rimettermi seduto ed appoggiarmi allo schienale del divano rosso. Feci un profondo respiro e ripensai a quello che avevo appena visto nella mia visione. Ero turbato. La dottoressa se ne accorse e si sedette accanto a me.

«Cosa si è ricordato? Mi racconti...» mi chiese lei apprensiva.

«Eravamo nella sala da pranzo... Gabriele ha colpito mia sorella con un bastone... o qualcosa del genere, poi è venuto da me e ha colpito anche me. Solo che non ero svenuto, ma continuavo a guardarlo. Si è avvicinato a me, si accovacciato su di me e mi ha afferrato il collo. Mi strozzava. Cercavo di divincolarmi, ma ero senza forze» guardai la dottoressa ed il suo viso era pallido come un lenzuolo.«Cosa significa dottoressa? E' la mia immaginazione, vero?» lei mi guardò, senza dire una parola. I suoi occhi erano sgranati, quasi quanto i miei. «E' la mia immaginazione, vero? Dottoressa?» cercai di farla parlare, mentre sentivo le lacrime cominciare a scendere lungo entrambe le guance.

«Credo che debba parlare con la polizia...» mi disse non appena metabolizzò ciò che le avevo detto.

«Perché? Non è stato è Gabriele... non può essere stato lui!» Quasi urlai e mi misi in piedi, anche se le gambe non mi reggevano. Stavo tremando e ciò che più temevo, l'avevo ricordato in quell'istante. «La polizia mi ha detto che è stato un corto circuito a provocare l'incendio...» mi rimisi a sedere. Poggiai i gomiti sulle ginocchia ed intrecciai le mani, quasi come se stessi pregando. Poggiai la fronte, imperlata di sudore, sulle mani giunte e socchiusi gli occhi. Vidi ancora mia sorella bruciare fra le fiamme, accanto a lei i miei genitori, svenuti e avvolti dal fumo e dalle fiamme. Cosa stava succedendo?

«Lei però non è mai entrato nella sala da pranzo dopo l'incendio, perciò forse la verità è proprio in quella stanza...»

*   *   *

Ritornai a casa in sella alla mia moto. Le giornate stavano facendosi via via sempre più corte. Era ormai settembre e, anche se continuava a far caldo durante il giorno, la sera era piacevolmente fresca. Attraverso il casco integrale, riuscivo a sentire quella piacevole brezza fresca. Il sole stava ormai tramontando quando arrivai alla villa. Parcheggiai la moto all'interno del garage, che chiusi a chiave. Mi diressi verso l'ingresso della villa e, ad attendermi sulla porta, c'era Gabriele. Mi sorrise e mi salutò con la mano. Bloccai i miei passi, non appena lo vidi. Lui se ne accorse e pian piano il sorriso si spense sul suo volto. Mi venne incontro ed io lo guardavo avanzare in silenzio verso di me.

«Daniele... è successo qualcosa?» mi chiese, quando finalmente mi fu di fronte. Rimasi a guardarlo in silenzio. Ne studiai i lineamenti: guardai i suoi occhi dorati riflettere la luce del tramonto alle mie spalle. Le sue labbra dolci, leggermente dischiuse, pretendevano un bacio, che non avrei mai potuto rifiutare. La camicia bianca ripiegata sulle maniche e leggermente aperta sul collo. Quel collo, che avevo baciato tante volte. Le sue mani: nella mia visione mi strozzavano, nei giorni scorsi, invece, mi avevano accarezzato, facendomi provare così tanto piacere, così tanto amore per lui. Il mio cuore batteva all'impazzata. Ero agitato e nervoso. Non potevo credere che avesse fatto una cosa del genere. Aveva appiccato lui l'incendio? Mi stavo sbagliando?

«Daniele! Cos'hai?» mi chiese ancora Gabriele, distogliendomi dai pensieri, che vorticavano nella mia testa. Sollevò una mano, per posarla sulla mia spalla, ma io mi ritrassi, facendo un passo indietro. Gabriele rimase spiazzato dal mio comportamento, ma ero così incerto se credere davvero alle mie visioni.

«Scusami, ho avuto una brutta giornata. Ci vediamo domani, ti spiace?» mi sforzai di sorridere, ma ne uscì una smorfia, che non assomigliava affatto ad un sorriso.

Gabriele scattò in avanti e mi afferrò entrambe le spalle. Per la sorpresa feci cadere in terra il casco della moto, che produsse un suono sordo e fastidioso.

«Che cosa è successo Daniele?» mi chiese ancora, ma voltai lo sguardo, non riuscendo a sostenere i suoi occhi fissi su di me.

«Lasciami andare!» urlai, divincolandomi dalle sue mani. Mi lasciò andare e lasciò che le sue mani ricadessero lungo i suoi fianchi. Sgranò gli occhi per la sorpresa. «Ci vediamo domani!» gli dissi, correndo verso l'ingresso.

Gabriele, però, mi rincorse e fatti pochi passi, mi raggiunse. Afferrò la mia mano e mi bloccò. Mi voltai indietro e lo guardai, terrorizzato che potesse farmi ciò che aveva fatto nella mia visione. Invece, il suo volto, era spaventato quanto il mio. «Cosa sta succedendo? Spiegami, Daniele...» mi chiese lui, ancora una volta.

Non sapevo se raccontargli la verità sarebbe stata la cosa migliore da fare, ma rischiai.

«Sei stato tu, vero? Sei stato tu ad appiccare l'incendio in casa mia?» gli chiesi, quasi in un sussurro.

Lui sgranò gli occhi e strinse ancora di più la presa sul mio braccio.

«Che cosa ti ricordi?»

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