Il Maestro

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La mattina mi sono svegliata grazie ad una sveglia che non era la mia; ne ero sicura perché ieri sera l'avevo disattivata, sapendo che mi avrebbe svegliata qualcun'altro. E infatti fu così. Lentamente nella stanza i rumori di vari sacchi a pelo riempirono il silenzio, insieme a lamenti mugulati dai miei compagni che si destavano dal sonno. Compagni e non amici, perché non posso realmente considerarli tali: mi parlano e interagiscono con me, ma è come se si sentissero obbligati a farlo per non esiliarmi. Apro lentamente gli occhi e cerco di riabituarmi a quel camerone dove abbiamo dormito in questi 3 giorni fuori porta. Intanto vedo alcune persone che scendono dalle brandine con la faccia ancora addormentata per le sole 5 ore di sonno. Certo, abbiamo finito gli allenamenti alle 2! Mi metto a sedere e sbadiglio alcune volte, mentre Filippo, il nostro maestro, si sta già vestendo nella sua solita tuta da ginnastica e felpa. Mi chiedo come faccia ad essere così arzillo alle 7 di mattina! Mi faccio forza e lo imito, andando in bagno per lavarmi. Pian piano Filippo va a svegliare gli ultimi dormiglioni e ci mettiamo a sistemare sacchi a pelo, zaini, borsoni e brandine, visto che questa era l'ultima notte che avremmo passato qui.
Scendemmo nella cucina dell'edificio per fare colazione; decisi di stare leggera visto il numero che avrei eseguito quella sera. Non potevo pensarci, già mi saliva l'agitazione.

Ci rechiamo nel teatro scelto per lo spettacolo e dopo un po' di stretching comincio ad allenarmi seriamente nel mio numero. Mi lasciano tutti in pace, e lo apprezzo, ma c'è una persona che vorrei venisse a vedere come va: il maestro. Ho come l'impressione che non voglia parlarmi; e mi dà fastidio perché ho bisogno che lui venga, mi osservi e, grattandosi la sua barbetta, mi dica se sto andando bene o no. Ma non avrò mai il coraggio di andare a chiedergli di controllarmi. A volte mi fermo e lo guardo sorridere a qualcun'altro per la buona riuscita degli allenamenti, quel sorriso timido e sicuro allo stesso tempo che ho bisogno sia rivolto a me.

Manca solo un'ora allo spettacolo, gli ultimi allenamenti sono terminati, ora c'è solo da aspettare l'inizio dello show.
Filippo è in platea, che è già mezza piena, che chiacchiera con alcuni ragazzi, probabilmente suoi coetanei e amici. Sbircio dalla tenda del sipario e mi viene quasi un infarto nel vedere la folla che si sta creando nel teatro; sale l'agitazione. Il battito accelera e le gambe mi tremano leggermente. Provo una verticale per distendere i muscoli e rilassarmi ma non funziona. Il maestro torna dietro le quinte e sistema alcune cose, chiacchierando con gli altri.
Nel giro di 30 minuti la platea è già praticamente piena, immagino che parecchia gente dovrà stare in piedi; sì perché il flusso di spettatori non sembra volersi fermare. E nel frattempo, ogni volta che controllo quanta gente c'è, l'ansia sale ancora di più. So che non dovrei continuare a guardare fuori da quella fottuta tenda, ma aspetto che i miei genitori arrivino; me lo hanno promesso.
Mancano appena dieci minuti, l'agitazione è alle stelle. Vedo che anche gli altri sono leggermente tesi, ma mai quanto me. Apro di poco la tenda e avvisato mio padre entrare, seguito da mia madre. L'occhio poi cade sulla folla; ci saranno almeno 500 persone! Mi tiro indietro velocemente respirando affannosamente. Le gambe cominciano a tremare violentemente, tanto che stento a stare in piedi. Come se non bastasse, la testa mi pulsa in modo irrefrenabile, e amplifica la confusione che proviene dal teatro. Cerco una sedia e mi ci siedo, prendendomi la testa fra le mani e tentando di fare respiri profondi; non funziona. È sempre così quando facciamo gli spettacoli; l'agitazione mi logora e non ho ancora trovato niente che mi possa calmare un po'. Filippo si avvicina a me con sguardo preoccupato. "Stef, tutto bene?" Se non mi sentissi così frastornata, esulterei di gioia dentro di me; non mi aveva mai chiamata Stef. Faccio di no con la testa. Lui mi prende delicatamente la mano e mi tira su in piedi. Mi tira a sé e mi accoglie in un abbraccio; il mio corpo reagisce in maniera inaspettata a quel contatto tanto desiderato con il corpo del ventiseienne. Mi irrigidisco e, lentamente, cerco di staccarmi da lui; ma le sue braccia sono forti, allenate dall'acrobatica e la danza, e mi trattengono dolcemente. Mi sento a disagio perché so che i miei compagni ci staranno fissando, anche se non li vedo perché oscurata dal metro e ottanta di altezza del ragazzo. Non capisco perché non riesca a godermi questo abbraccio che ho desiderato dal primo momento in cui l'ho visto, appena due mesi fa. Filippo china la testa appoggiandola piano sulla mia spalla e, rivolgendo le labbra al mio orecchio, sussurra. "Shh, rilassati". Quelle parole sembrano magia; il suo tono dolce e calmo mi scioglie e riesco a rilassarmi un poco. Appoggio con cautela la testa al suo petto per capire la sua reazione, ma lui non si oppone quindi mi abbandono nelle sue braccia. Porta le mani sulle mie scapole mantenendo l'abbraccio e, un po' titubante, massaggia vari punti della mia schiena, trovando le parti più tese e ammorbidendo i muscoli con delicati movimenti delle dita; al che riesco a rilassarmi del tutto. Finalmente riesco a godermi questo caldo abbraccio; mi sento protetta, l'agitazione si è alleviata e la respirazione è tornata quasi normale. Sento partire un applauso e la voce del presentatore. Filippo mi stacca da sé e mi guarda dritta negli occhi; ricambio lo sguardo. "Sei forte Stef, ce la fai!" mi dice, ed io non posso fare a meno di sorridere. Sento il mio nome ed esco per eseguire il mio numero. Prima di partire lancio uno sguardo dietro le quinte e mi sento smarrita non vedendolo. Poi però il suo viso dolce e i suoi corti riccioli castani appaiono da dietro una tenda e mi fa un ultimo piccolo sorriso di incoraggiamento. Con quell'immagine negli occhi cominciò a danzare leggiadra, meglio di quanto abbia mai fatto nella mia intera vita.





Vani desideri che nascondo dietro semplici parole.

~Lu

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