Philofobia.

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"Tu insegnami a sognare, non so più come si fa". Erano queste le parole della canzone che stava ascoltando. Lei era una di quelle persone in grado di sentirsi sole anche in mezzo alla gente. Quando tutto intorno prendeva vita, si sentiva vuota e spenta. Dentro il suo corpo cosi esile regnava il silenzio. Tutte le volte che qualcuno le chiedeva "ti manca?", una fitta al cuore la lacerava. Le macerie si facevano strada e non lasciavano spazio ai sentimenti. "Starò meglio in doccia", pensava ogni sera prima di addormentarsi. Non capiva però che le gocce d'acqua hanno il beneficio di alimentare i pensieri. Aveva paura del domani, aveva paura di affezionarsi o forse semplicemente non aveva più paure. Riusciva a mascherare il dolore perfettamente e ciò le impediva di farsi aiutare, di farsi capire e di farsi amare dagli altri. Nessuno si accorgeva dell'uragano che aveva dentro, perciò veniva definita "depressa", "apatica", "solitaria" dai semplici conoscenti. Le era passata la voglia di provare a farsi conoscere per ciò che era. Niente le dava stimoli, sapeva perfettamente di essere condannata ad una vita che non era sua. Lei, così buona. Lei, così solare. Lei, così piena di amore da dare. Lei, così vuota.

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