L' Angelo

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<<E lei chi sarebbe?>> Leon entrò nella stanza di Geniel, che in quel momento era seduto sulla poltrona. Sul letto giaceva una ragazza dormiente. Aveva capelli ramati, lunghi e sciolti, che le incorniciavano il viso che si stava ancora spogliando dei tratti infantili, ma che già appariva bello. La ragazza dormiva placidamente, con la testa posata su un cuscino e una mano fasciata con cura sulla pancia, mentre l' altro braccio era disteso lungo il suo corpo. Aveva dei lividi sul volto e questi le formavano una collana violacea intorno al collo, a parte questo e il polso fasciato doveva stare bene.
<<L' ho trovata qui, sul mio letto>> Rispose Geniel, alzandosi dalla poltrona e guardando ora la ragazza ora Leon <<Ho finalmente l' onore di presentarti Sole De Bellis. In versione 'Bella Addormentata' potrà sembrarti pure una povera sciocca, ti assicuro che da sveglia lo sembrerà leggermente di meno, forse>>.
Leon si avvicinò e osservò il volto addormentato della ragazza, si sedette sul letto e con delicatezza le toccò il collo, proprio nel centro di quella catena di lividi. Fece molto attentamente, perché non voleva svegliarla. La ragazza sussultò per il dolore, ma per fortuna non si svegliò.
<<Chi l' ha portata sicuramente conosce i tuoi poteri...>> Disse Geniel avvicinandosi a Leon e guardandolo con quello sguardo, che gli serviva per farsi obbedire da Leon, sottomettendolo al suo volere, vincendolo con l' amore che Leon nutriva per lui.
Leon capì le sue intenzioni, si oppose sollevando instantaneamente le dita dal collo della ragazza e allontanandosi da lei, quasi spaventato da qualcosa o da se stesso.
<<Ti ricordi bene cosa accade l' altra volta..>> Gli ricordò, mentre la sua voce ormai tremava.
Geniel si avvicinò ancora, gli pose le mani sulle spalle. Leon era molto più alto di lui, perciò si ritrovò a dover osservare quegli occhi argentati, come una persona che guarda un mare bellissimo da una scogliera, spaventato da quella superficie, ma anche terribilmente desideroso di tuffarsi lì dentro.
<<Sai perfettamente che puoi farcela, Leon. L' altra volta fu solamente uno stupidissimo errore... Hai un dono straordinario, devi coltivarlo!>>.
Leon piegò la testa. Sapeva che non poteva fare nulla contro Geniel, che tanto vinceva sempre lui, perché Leon ne era perdutamente innamorato e non poteva in alcun modo ribellarsi a quel sentimento, che palpitava in lui più del cuore che lo teneva in vita.
Guardò la ragazza ed ebbe paura. Le immagini dell' ultima volta lo assalirono e i sensi di colpa irruppero in lui, assalendolo con ferocia. Gli occhi di quella bambina lo avrebbero torturato per tutta la vita... Mentre si avvicinava a Sole, si sentì di nuovo davanti a quel corpicino, in quella casa con i mobili messi tutti sottosopra, pozze di sangue che si estendevano dappertutto, il cadavere della mamma della bambina proteso verso la figlia, come se volesse ancora difendere la sua bambina... A tormentarlo proprio in quel momento riapparvero i dannati suoni, che aveva udito mentre si era inginocchiato sulla bambina: Geniel che lo spronava a provarci, mentre colpiva con la sua spada un vampiro grande e grosso, che emetteva versi gutturali e che trafitto dalla spada al cuore crollò emettendo un sinistro lamento, cadendo a terra in una rovinosa pioggia di polvere nera, fumo denso e sangue raggrumato, che produceva un suono simile a quello del ferro incandescente quando viene attraversato dall' acqua.
Leon posò le mani sul polso di Sole e chiuse gli occhi, cercando anche di cacciare dalla sua mente con gli incoraggiamenti che in quel momento Geniel gli tamburellava all' orecchio. Avrebbe voluto zittirlo e urlargli di tapparsi la bocca, ma non ce l' avrebbe fatta mai. Svuotò la mente con fatica, come se con un piccolo secchiello volesse togliere l' acqua, che riempiva velocemente una barca prossima ad affondare. Sentì quello strano calore irradiarsi dalla mente, avvilupparsi alle braccia e intensificarsi sotto i palmi delle mani. Quello era il momento più delicato, socchiuse ancora di più gli occhi e diresse le mani sul collo. Le forze iniziarono a venirgli meno, non resisteva più e lottare contro quella debolezza, che adesso lo trasformava così violentemente in un essere tremendamente vulnerabile rendeva ogni secondo un traguardo molto faticoso.
Gli occhi della bambina si spalancarono di nuovo nei suoi occhi, rivide il suo volto prendere vita e la speranza accendergli il petto solo per un secondo, perché adesso la bambina si stava librando in aria e rideva istericamente, pronunciando parole e frasi in una lingua sconosciuta. Leon aveva​ tentato di fare qualcosa, ma la bambina aveva spalancato le braccia e si era tuffata sul cadavere della madre, spolpandolo, scavando nella pelle, strappandole il cuore e divorandolo. Leon aveva fissato inerme gli occhi diabolici e vitrei della bambina, che tutta sporca di sangue lo guardava divertita, pronta a nutrirsi anche di lui. Geniel era stato un fulmine e prima che la bambina avesse potuto attaccare Leon, lui l' aveva già trafitta.
Leon cadde a terra, non perse i sensi, ma gli mancò il respiro per lunghi secondi e per quel tratto di tempo non poté fare altro se non guardare il soffitto.
<<Ce l' hai fatta!>> Esclamò meravigliato Geniel, studiando raggiante Sole, che non presentava più alcun livido e che non aveva più bisogno di quella fascia attorno al polso e alla mano.
Geniel offrì la sua mano a Leon aiutandolo a rimettersi in piedi e poi facendolo sedere comodamente sulla poltrona.
<<Chi l' ha lasciata qui forse è ancora nei paraggi e noi dobbiamo scoprirlo, perciò adesso andrò a dargli la caccia. Tu testa con lei, dovrebbe svegliarsi a momenti>> Si raccomandò e aprendo l' armadio estrasse una lunga ed elegante spada d' argento, offrendola a Leon, dicendogli <<Se non dovesse avere un dolce risveglio, sai cosa fare>>.
Leon respirava a fatica. Avrebbe voluto che Geniel fosse rimasto con lui, anche solo per poter fermare quella ragazza, nel caso in cui l' incantesimo fosse andato di nuovo male. Geniel non ascoltò affatto quella richiesta muta, che Leon avrebbe voluto che il cuore di Geniel avesse sentito, perciò senza aggiungere nulla, andò via dopo aver baciato Leon, che per quel bacio furtivo e rapido lo perdonò.
Passarono alcuni​ minuti, ma il respiro di Leon diventava sempre più martellante e accelerato, la vista prese a confondersi in una contorta cortina di nebbia fumosa, che gli rendeva opaco, deformato e irraggiungibile ogni oggetto in quella stanza. La testa gli ruotava vertiginosamente, una sostanza vischiosa fermenteva dentro di lui. I sensi erano sempre più deboli.
Sole si alzò di colpo, come se avesse fatto un bruttissimo incubo. Si ritrovò su un letto, che non conosceva; in una camera che non aveva mai visto in vita sua; le ultime cose che la sua mente era riuscita a conservare erano uno schiaffo, una ragazzina pallida illuminata dalla luce bianca della luna e il contorno di una testa proprio sopra di lei.
<<Aiutami, ti prego..>> La implorò un ragazzo. Era seduto su una poltrona rossa, posta in un angolo di fronte al letto. Scivolava verso di più verso il basso e le sue dita sfioravano l' elsa argentata di una spada. Sole si sollevò in fretta e si avvicinò al ragazzo, che stava via via perdendo i sensi, tremava vistosamente e si lasciava sfuggire dalle labbra socchiuse gemiti di dolore.
Sole si sentì smarrita. Cosa doveva fare? Chi era quel ragazzo? Lei cosa ci faceva lì? Come poteva aiutarlo?
<<C' è un telefono in questa casa?>> Gli chiese pensando di chiamare un' ambulanza. Il ragazzo a fatica scosse la testa e poi facendo uno sforzo immane per cercare di spiccicare parola, disse <<Geniel... Cerca Geniel, è fuori..>>.
Geniel... Sole forse riuscì a capire qualcosa: era stato Geniel a salvarla da quella vampira e a portarla lì. Ora doveva assolutamente trovarlo. Uscì dalla stanza, si ritrovò in un piccolo soggiorno circolare scavato nel tufo, vi erano scaffali pieni di libri e un piccolo tavolo rettangolare con delle sedie di plastica. Sole identificò la porta d' ingresso e si fiondò correndo verso di essa, la spalancò e si ritrovò nei Sassi. Davanti a lei dominava la Murgia, immensa, schiarita dalla luna e silente.
<<GENIEL!>> Gridò con tutta se stessa. Non le rispose nessuno, perciò prese a correre, a dirigersi senza nessuna meta qui e là, salendo gradini a caso e scendendoli un secondo dopo. Urlò il nome di Geniel più volte e mentre si affaticava salendo altre scale scivolò e si ritrovò a terra. In quel momento un braccio la afferrò per la vita e la issò in piedi. Era Geniel, la guardava con uno sguardo teso e si fece ancora più preoccupato non appena Sole ebbe pronunciato con il respiro mozzato il nome di Leon.
Geniel si mise a correre così rapidamente, che Sole lo perse di vista, ma quando ritornò in quella camera, lo trovò lì.
Aveva sdraiato Leon sul letto, accucciato vicino a lui e prese a sussurrargli delle parole all' orecchio, mentre gli accarezzava in viso. Il respiro di Leon si stava regolarizzando, aveva gli occhi chiusi e si stava placando a vista d' occhio anche il suo tremore.
Andava tutto bene adesso, perciò rasserenata Sole si lasciò andare contro il muro.
<<Ora vorrai delle spiegazioni, vero?>> Le domandò Geniel, accarezzando un' ultima volta Leon e mettendosi a sedere sulla sponda del letto.
Sole sentì sulle sue spalle il mondo crollarle addosso, il peso di tutti quei giorni schiacciarla con un tonfo, che la fece scoppiare in un grosso pianto, dove ogni lacrima era una piccola goccia di quel dolore, che le scorreva dentro.
<<Forse sarebbe meglio un' altra volta..>> Mormorò con un filo di voce Leon sul letto.
<<Avevamo detto che l' avresti avvicinata tu, ma forse è giusto che le cose vanno così!>> Osservò Geniel con un' espressione penetrante rivolta verso Sole.
<<Voglio sapere tutto. Ora..>> Sole cercò di tornare in sé, asciugandosi le lacrime e guardando Geniel con sicurezza.
Lui annuì. Si alzò in piedi, prese la spada, la fece vorticare attorno a sé e poi impugnandola con la punta rivolta verso il pavimento disse <<Io sono l' Angelo>>.

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