Capitolo II - Risveglio nell'Incubo -

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"In ognuno di noi c'è un altro essere che non conosciamo

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"In ognuno di noi c'è un altro essere che non conosciamo.

Egli ci parla attraverso i sogni e ci fa sapere che vede le cose

in modo ben diverso da ciò che crediamo di essere"

Carl Gustav Jung 1875-1961

Alex si svegliò inquieto di soprassalto gridando, mettendosi di scatto seduto sul letto in un bagno di sudore angosciato.

La camera era tutta in ordine, e parzialmente immersa nella buia quiete notturna. Mentre dalla finestra chiusa ai piedi del letto, si sentiva il continuo scrosciare soffuso della pioggia incessante all'esterno. Era notte inoltrata, e di fuori stava ancora decisamente piovendo. 

Constatò confuso e frastornato Alex, subito dopo quel brusco e improvviso sgradevole risveglio notturno. Dopo un'assorto e breve disorientamento cognitivo, guardandosi poi lentamente intorno a lui. Alex ancora decisamente agitato emotivamente, emise rilassandosi e socchiudendo gli occhi un lungo sospiro liberatorio di tenue sollievo. 

< E' stato solo un fottuto incubo allora! >, si disse assorto a bassa voce. 

< Un brutto e incomprensibile cazzo di sogno assurdo per fortuna! Niente di reale e di concreto, assolutamente nulla di cui dover avere razionalmente paura >, proseguendo così il suo soliloquio a mente.

Allora si alzò deciso dal letto ancora però in parte intimorito nell'animo, e titubante si avvicinò lentamente alla finestra. Aprì i vetri della portafinestra in alluminio, ma come toccò leggermente le persiane chiuse. 

Esse inspiegabilmente si aprirono da sole di scatto, turbandolo nel profondo della sua psiche. Sospinte violentemente contro le pareti esterne, dall'irruento vento di burrasca che stava ancora imperversando vorticosamente, sull'arroccato borgo medievale Maranese.

La pioggia scrosciava incontrastata nell'oscurità, semi illuminata dalla flebile luce giallastra dei lampioni in ferro battuto di Piazza Castejo. Mentre gli spettrali fulmini lucenti nel tetro cielo, si diramavano tra loro alti e potenti sopra il lungo tetto scosceso dell'Abbazia. 

Alex totalmente disorientato e spiazzato uscì inquieto sul balcone, coprendosi con l'avambraccio destro il volto per ripararsi dalla pungente fredda pioggia. Mentre il borioso vento fischiava acuto nell'aria, con sferzanti e possenti raffiche continue per tutta l'ampia vallata.

Il vetusto portale in castagno dell'Abbazia era stranamente tutto spalancato, e vi uscivano intermittenti dalla soglia degli inquietanti bagliori verdastri lucenti. Faceva un intirizzente gran freddo e l'ampia vista panoramica tutt'intorno la piazza, era oscurata completamente da dense fitte tenebre misteriose. 

Alex udì all'improvviso come un distorto tipico verso ovino, nelle sue immediate limitrofe vicinanze. Ed abbassando di scatto così il suo smarrito sguardo, scorse un peloso capro dal vello nero che attraversava forastico la piazza, correndo velocemente da un capo all'altro di essa. Seguito da un sinistro crepitio di zoccoli, sbattuti sul duro selciato del raccolto piazzale di fronte all'Abbazia. Sparendo arcanamente poi nella notte subito dopo, sotto il grande e buio arco nel muro laterale di casa sua.

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