capelli rossi e occhi neri

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Quel giorno d'estate avevo preso la mia bici celeste e raggiunto la collina dietro la città.
La collina era verde e solo un melo si trovava in mezzo al vasto prato. Arrivata all'albero mi distesi per osservare le nuvole in silenzio, ascoltai il suono del vento che accarezzava il prato e il mio volto, il canto di qualche uccello e di quello del sasso che rotola.
Non so quanto tempo fosse passato ma dopo un po' recuperai l'ukulele che avevo messo nel mio zaino insieme al quaderno da schizzi e un piccolo astuccio con dentro l'essenziale.
Il telefono era probabilmente spento, per questo non sentii le numerose chiamate di mia madre. Iniziai a strimpellare con il piccolo strumento fino a trovare la melodia giusta e iniziare una canzone che cantavo spesso con le mie amiche, a bassa voce iniziai a cantarla.
Il tempo scorreva in fretta e i miei pensieri arrivavano fino alle nuvole che guardavo poco prime. Non vedevo la città che era dietro di me solo qualche casa di contadini, forse era un bene. Il vento iniziò a soffiare forte scompigliandomi i capelli rossi e ricci che mi trovavo in testa, senza troppi pensieri recuperai una fascia che avevo in zaino e mi legati i capelli che sembravano più controllati di prima, ero sicura che non fosse passato troppo tempo e continuai a suonare l'ukulele.
Il vento non calava ma neanche si alzava, ogni tanto alzavo gli occhi dallo strumento per guardare i giochi di colori nel prato che provocava il vento, ero rimasta incantata. E continuavo a pensare che non fosse passato troppo tempo, continuai a suonare, poi successe una cosa di qui non avevo pensato, una corda si ruppe e per l'impatto mi ferì la guancia. Afflitta rimisi via l'ukulele e mi tastai la ferita, guardandomi la mano vidi qualche goccia di sangue ma non sembrava grave. Alzandomi mi stiracchiato le gambe mi misi lo zaino in spalla e afferrai una mela dall'albero mentre con l'altra mano presi la bicicletta. Scendendo dalla collina in bici usando solo una mano, forse non era stata una grande idea, ma almeno avevo preso tempo.
Andò tutto bene finché non beccai un sasso con la ruota davanti, questa cedette e io caddi malamente su un ginocchio, la mela mi rotolo via in mezzo al erba scomparendo, ma non ci feci caso, alzandomi barcollando constatai che la ferita al ginocchio era più grave di quella sulla guancia, la ferita era ampia per lungo e alcuni sassi erano entrati nella carne viva, non sembrava profonda, pensai non vedendo l'osso del ginocchio, ma facevo un male cane. Sospirando ripresi la bici è zoppicando mi diressi verso la città. Quando tornai a casa ci misi poco a capire che qualcosa non andava.
Il silenzio, era tutto maledettamente silenzioso, di solito i bambini scorrazzavano per la città fino a quando il sole non tramontava e i contadini vendevano il loro lavoro fino a cena. E c'era qualcosa nell'aria, buio e terrore, eppure prima si sentiva ancora l'odore dell'estate, e poi c'era il vento che continuava la sua furia, peggiorando.
Quel tempo non mi piaceva, titubante entrai in casa che sembrava più vuota del normale. -mamma? Leo? - nessuna risposta, non richiamai una seconda volta per paura di sentire ancora l'eco della mia voce. Disperata iniziai a cercare al primo piano, poi al secondo, ma non c'era nessuno. Ripercorsi i miei passi cercando in ogni stanza in magnera ossessiva, ancora zoppicante per la ferita al ginocchio, ma non c'era nessuno. Ritornata in salotto mi guardai in torno -mamma... Leo...- urlai con tutto il fiato che avevo in gola, con la voce roca come se avessi urlato tutto il tempo della ricerca. Ma non c'era nessuno.
Poi ci fu l'attimo in qui anche gli oggetti smisero di fare rumore, e rimasi senza fiato, poi il botto. Un boato così potente da rompere i vetri, mi misi le mani nelle orecchie per non far entrare quel suono assordante. Quando smise, era un miracolo che ci sentissi ancora, oppure era già tutto programmato. Capendo che li non cera nessuno corsi fuori zoppicando e ripresi la bici, ma era messa peggio di quanto riccordassi, abbandonai la bici sul marciapiedi e quando mi guardai in giro notai una cosa sorprendentemente inquietante.

Le persone erano tornate. Non sapevo chi fossero, non erano della città, ma erano li, in piedi e mi guardavano immobili come statue. Il silenzio persisteva.
Quello che successe dopo durò una frazione di secondo. Con la punta del occhio vidi una ragazza comparire in una nuvola nera, una seconda ragazza si smaterializzò accanto a me è una coppia di ragazzi uguali comparve alle mie spalle, e sentì altri rumori simili intorno a me. Non so se fossero buoni o cattivi ma guardavano il gruppo di persone difronte a noi come se fossero pronti a sfidarli appena avessero mosso un dito.
Ma il gruppo rimase impassibile, fino a quando un uomo vestito di rosso e nero fecce un passo in avanti verso di noi, sorrise ai nuovi arrivati e tornò indietro seguito dagli altri, perdendosi nella città.
Poi caddi e tutto si fece buio. Quando mi risvegliai ero sdraiata sotto un albero, su un prato verde e il vento che mi scompigliava i capelli sciolti. Credevo che tutto quello che avevo visto e udito fosse stato un brutto sogno, ma quando mi alzai per recuperare la bici e scendere giù dalla collina, notai che non ero più dove pensavo che fossi. Davanti a me si stendeva un prato, e quando guardai l'albero non era più un melo ma bensì una quercia. La bici non cera e dopo qualche secondo a guardare il prato infinito mi ricordai del mio zaino, velocemente feci un giro del maestoso albero, notando con stupore che la ferita sulla gamba era pulita e fasciata, ritrovai il mio zaino dove mi ero svegliata. Quando lo aprì rimasi scioccata dal fatto di constatare che l'ukulele si era spezzato in tre pezzi e alcune schegge di legno vagavano per lo zaino che avevano infilzato il mio quaderno da schizzi, l'astuccio sembrava quello messo meglio. Quando l'aprì tirai fuori qualche matita che non erano messe bene, la gomma e qualche cianfrusaglia che finiva sempre lì, tra quegli oggetti senza significato ritrovai una piccola collana con la foto di me e mio fratello Leo. Rimasi imbambolata a guardare quella foto dove sembravamo tutti e due così felici, me la misi al collo e continuai a perlustrare le profondità dello zaino, ritrovai la benda con cui credevo di essermi legata i capelli poco prima, e trovai il mio telefono spento, poi trovai una scheggia di uno specchio e vidi il mio riflesso. I capelli erano scompigliati dal vento e il taglio era una sottile strisce rossa sulla guancia pallida e i miei occhi verdi erano del tutto neri. Lo specchio cadde nell' erba e un grido soffocato uscì dalle mie labbra dopo quella visione.

Poi tutto tornò buio.

Non volevo essere un supereroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora