il libro dei nomi

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Hanna e io eravamo in infermeria quando ormai i miei occhi tornarono al loro colorito naturale.
La ragazza aveva la mano fasciata, ed una ragazza bassa dai capelli castani ci aveva raggiunto appena eravamo entrate.
Con una semplice ampolla d'acqua era riuscita ad disinfettare la ferita e riemarginate i punti più gravi senza usare fili di sutura.
La ragazza aveva detto che sarebbe stato meglio lasciare al tempo ciò che è del tempo, e così le fasciò la mano.
Prima che se ne andasse la ragazza guardò i miei occhi ancora per metà neri, e senza dire una parola sparì dalla stanza.
Ormai eravamo lì da qualche minuto, Hanna si osservava la fasciatura con fare distratto.
-Perché?
Hanna non aveva bisogno di soggetti e spiegazioni per capire la mia domanda.
-Mattia credeva che tu potessi fermare il pugnale. Creda che tu fossi uguale a lui.
-lui?
-lui...
Hanna sussurò quell'ultima parola come per scandirla meglio nel silenzio della stanza.
-tempo fa c'era un lui che aveva dei poteri simili ai tuoi. E con una lunga pratica riuscì a muovere le ombre a suo piacimento, riproduceva le paure più oscure di ognuno di noi con esse poi imparò tecniche mai usate prima. Tecniche che non sarebbero dovute esistere.
Lo sguardo di Hanna era perso in vecchi ricordi.
-Mattia credeva che tu potessi fermare il coltello come faceva lui, perché abbiamo bisogno di guarieri  forti e potenti... Ma lui ha esagerato.
-Mi dispiace che abbia pensato questo, ma io non sono capace di fare queste cose.
Dissi io addolorata.
-bhe, se non sbaglio l'altro ieri non sapevi neanche che fossi una di noi.
La ragazza mi sorrise lasciando perdere le sue preoccupazioni e scendendo agilmente dal lettino.
Si diresse verso l'uscita facendomi segno di seguirla.
Io immitai i suoi gesti un po' più inpacciata e uscì dalla stanza.
-Dove andiamo?
Chiesi notando lo strano silenzio di Hanna.
-Adesso vedrai.
Il silenzio ci accompagnò per tutto il tragitto, in momenti come quelli sembrava il migliore dei compagni.
Hanna mi condusse in quello che credo fosse il salotto, dove si trovava un violoncello  abbandonato vicino ad una delle poltrone.
Hanna continuò a camminare fino a trovarsi di fronte ad una delle vetrate.
-Guarda.
La ragazza mi fecce segna di notare ciò che si celava dietro le vetrate, davanti a me vi si stagliava campi e lavoratori sereni, vedevo bambini correre tra essi e cani inseguirli, donne che vendevano tessuti e uomini che trascinavano carri.
Sembrava un paesino tranquillo fino a quando Hanna non girò la maniglia e tutto cambiò.
I campi erano colpiti dalla cicita,  le case avevano preso fuochi e uomini armati inseguivano donne e bambini mentre gli uomini cercavano di difendersi con forconi.
-No, Hanna, no...
La fiamma che pensavo si fosse spenta riprese ad avampare dentro di me.
Sentì gli occhi diventare neri come la pece, ormai una sensazione conosciuta, e sentivo le emozioni di quelle persone che volevano solo una giornata di pace in più.
Gli uomini armati continuarono a correre tra le case e le persone, portando distruzione e morte.
La fiamma prese il sopravvento e la mia vista vide solo nero.
Non ero svenuta perché sentivo ancora le voci, il terreno sotto i piedi e la fiamma che ardeva in me.
Immaginavo dei cavalieri che andassero a salvare quella povera gente e sentì qualcosa muoversi, prima pensai che fosse solo una sensazione, ma poi sentì un leggero sbuffo alla mia destra e qualcosa che batteva sul pavimento.
Quando la visuale riprese i suoi colori vidi una sagoma nera stagliare dinanzi a me.
Caddi a terra svenuta vedendo il cavallo svanire con me.
Queste furono le ultime cose che ricordai prime di svegliarmi nel letto di quella che avevo imparato a riconoscere come la mia camera.
Il silenzio riempiva quegli spazi vuoti , ed un angoscia profonda riempiva me.
In poco tempo decisi di alzarmi e scappare.
Fecci volare la coperta da qualche parte e in un attimo mi ritrovai davanti alla porta, i piedi scalzi facevano uno strano contrasto con il pavimento freddo ma  invece di fare dietro front spalancai la porta e mi fiondati nel corridoio.
Anch'esso deserto, qualcosa mi diceva di ritornare in camera, proteggersi tra le coperte e restare lì fino a quando qualcuno non sarebbe venuto a soccorrerla. 
Ma la voglia di sfuggire era più forte di quella vocina.
Iniziai a correre senza una metà precisa, per le strade sussuri di gente sconosciuta mi sfioravano per poi sparire nel buio del corridoio, per molto non sentì il dolore ai piedi scalzi sulla dura e fredda roccia.
Continuai a correre fino a quando non mi mancò l'aria e lì mi trovai di fronte ad una porticina.
Sembrava la porta di una casetta di montagna, non aveva nulla di speciale e solo allora ascoltai la vocina che mi diceva di entrare. 
La porta scricchiolò sopra il mio peso come se potesse rompersi a momenti, ma una stanza più grnde si stagliò di fronte a me.
Rimasi abbagliata quando notai che ogni angolo era ricoperto di libri.
Qualcuno aveva creato una scala a chiocciola di quel materiale così fragile che nessuno avrebbe più potuto prendere, almeno che non volesse far crollare la piccola creazione.
Sopra alla torre di libri ve ne trovava un altro appoggiato sopra ad un leggio dorato e argenteo.
Titubante iniziai a salire i gradini di carta sentendo le pagine piegarsi sotto il mio peso e parlare con parole di polvere. Arrivata in cima  capii quanti libri c'erano realmente in quella stanza.
Il tetto, leggermente a spioventi, ne conteneva anch'esso e il pavimento era coperto di parole e schizzi incisi con qualcosa di scuro.
La mia attenzione si buttò sul libro di fronte a me, con l'indice percorsi le venature e le pietre che vi si trovavano incastonati nella copertina.
Poi perdendo tutta la paura aprì curiosa il vecchio volume, non un briciolo di polvere fecci volare mentre sfogliavo quelle vecchie pagine ingiallite.
Ogni titolo e capitolo era scritto con una caligrafia elegante e sottile. In alcune di esse trovai disegni, ma ogni pagina aveva qualcosa in comune. Ogni persona vecchia o giovane che fosse passata per quelle mure, era stata segnata e scritta in quelle pagine.
Uno strano sentimento prese possesso di me ed iniziai a sfogliare le pagine affamata di curiosità.
Trovai ragazzi che erano passati decenni prima per quella strada, ed altri che erano appena segnati, trovai Hanna e una descrizione leggera vicina al disegno del suo viso, passai oltre e trovai Mattia poi Amy e infine il piccolo Charlie.
L'ultima pagina era leggermente sbiadita ma riuscì comunque a leggere il mio nome, piccole parole si stavo formando dando vita ad una descrizione dettagliata della mia vita e del mio potere. Avida di sapere iniziai a leggere ma le pagine iniziarono a sfogliarsi da sole guidate da un vento ignoto.
Quando le pagine cessarono rimasero apperte tra due visi sconosciuti, ma la cosa che mi sorprese era la pagina strappata al centro.
-Non dovresti essere qui.
Una voce distrasse i miei pensieri e quando alzai lo sguardo notai Albert che mi osservava dal basso di fronte alla porta aperta.
Quando chinai lo sguardo il libro si era chiuso.
-Scusa...-
Provai a dire mentre il ragazzo mi raggiunse.
-non ti scusare, la curiosità è umana, ma avvolte pericolosa-
Il ragazzo mostrò un sorriso mentre una mano affondava più velocemente nella tasca come a nascondere qualcosa.
-Ho sentito quello che è successo, Mattia ragiona sempre d'impulso.
Disse lui ormai guardandomi dall'altro.
-Non è successo niente di grave.
 Risposi io dando un'ultima occhiata al suo sguardo attento.
-Ma poteva succedere. Ed preferirei che non succedesse.
Qualcosa si mosse in me quando disse quella frase, e quando lui si avvicinò io mi allontanai tintinnando.
-Perchè ce una pagina strappata?
Dissi indicando il libro ormai sigillato.
-Ci sono cose molto oscure in quel libro, si vede che qualcuno ha preferito nasconderle, il male si cela anche in semplici parole d'inchiostro.
Continuai a fissare i suoi occhi azzurri che mutavano in tempesta a cielo sereno mentre dentro di me si formavano nuove domande.
-Sarà meglio scendere, non so quanto possa resistere sta struttura.
Il ragazzo mi fece segno di precederlo nella discesa ed io acconsenti.
-Come facevi a sapere che ero qui?
Chiesi sentendo il pavimento solido sotto i piedi nudi.
-Non ti avevo trovato in camera e cercandoti ho trovato questa porta aperta, ho solo pensato.
Varcammo la porta che si chiuse dolcemente donandomi un'ultimo sguardo al libro dei nomi.
-non dovrai più entrarci.
Albert si era posto davanti a me ed ora mi guardava con sguardo severo, uno sguardo malefico che non avevo mai visto prima.
-O...Ok.
Continuò a guardarmi con i suoi occhi penetranti ed i miei non persero nessun suo movimento.
La mano uscì dalla tasca e la posò sulla mia spalla.
Il suo sguardo era tornato quello del calmo e dolce Albert che avevo conosciuto così poco.
-È stata una giornata faticosa.
Sarà meglio andare in camera. Che dici?
-Si, forse hai ragione.
Un sonno pesante iniziò a farsi strada su di me e quando Albert mi portò alle nostre stanze, spingendomi con il braccio intorno alle spalle, i miei occhi pesanti notarono un piccolo triangolino di carta uscire dalla sua tasca.
E quando sprofondammo, ognuno nel proprio letto, il mio sguardo riccade su di lui e su quello che mi nascondeva.
Per poi cadere entrambi in un sogno senza sogni.

Non volevo essere un supereroeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora