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The Rise And Fall Of Juniper Rigby

Rimasi pietrificata, come lo sapeva? Avevo tentato di nasconderlo

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Rimasi pietrificata, come lo sapeva? Avevo tentato di nasconderlo.
«Come...» prima che potessi finire, lui mi interruppe «Come lo so?» rise
«Sai, non è la prima volta che qualcuno immigra clandestinamente negli Stati Uniti, Juniper» mi sentii morire, da quando ero arrivata avevo sperato con tutta me stessa che nessuno si fosse accorto di nulla, ma a quanto pare lui era troppo sveglio per i miei stupidi trucchetti.
«Cosa ha intenzione di fare?»
Domandai sconfitta, con il viso ormai bagnato. Sentivo come una strana sensazione di vuoto allo stomaco, e non mi piaceva affatto.
Mark mi passò una mano sulla guancia, per asciugarmi le lacrime e  rispose
«Vieni con me» dirigendosi verso un tronco «Dimmi la verità» continuò.
Voleva solamente sapere chi fossi io in realtà, voleva conoscere Charlotte.
Gli raccontai di me, del mio vero nome, di mio padre e poi di mia madre, di come ero arrivata negli Stati Uniti, degli autostop e di tutto il resto. «Questo è un bel casino» disse l'uomo strofinandosi la fronte.
«Lo so» fu la mia risposta «Se non vuole avermi in casa sua lo capisco, me ne andrò, ma per favore non dica niente di me in giro» aggiunsi preoccupata.
«No Juniper, puoi restare»
Mi rassicurò Mark, con il sorriso più gentile che avessi mai visto.
Voleva tenermi in casa sua nonostante le mie bugie, nonostante fosse illegale e pericoloso, lui non aveva intenzione di ributtarmi in strada.

Le settimane passarono in fretta ed io iniziavo a sentirmi sempre più a mio agio.
Grace e Lana erano partite per il campo estivo da qualche tempo ormai ed io e Mark ce la intendevamo alla grande. Cucinavamo, sbrigavamo le faccende domestiche e la sera giacevamo stanchi sul divano davanti alla TV.
Mark era molto gentile, tutte le mattine mi preparava la colazione prima di andare al lavoro, e ogni mercoledì trovavo dei pancakes caldi sul bancone della cucina.
Io cercavo sempre di rendergli il gesto, ma tutte le volte che provavo a cucinare qualcosa combinavo un macello e finivamo per ordinare del cibo cinese o indiano.
Quando calava la notte e arrivava il momento di guardare la televisione, era sempre la stessa storia: lui voleva guardare incontri di boxe ed io... io in realtà volevo solo dargli fastidio, non m'interessava cosa si guardasse; mi divertivo a rubargli il telecomando per cambiare sul canale delle televendite.
Spesso ci svegliavamo a tarda notte ancora sul divano, Mark disteso ed io rannicchiata sopra di lui, e qualche volta per non svegliarmi mi portava fino al letto al piano di sopra.

D'un tratto qualcosa cambiò, anche se non saprei ben dire se dentro di me oppure nell'ambiente.
Una sera, Mark tornò a casa con alcuni dei suoi colleghi di lavoro per una cena semi formale durante la quale decisi di rimanere in camera.
Saranno state le quattro, io non riuscivo a dormire, mi rigiravo nel letto cercando di prendere sonno quando sentii dei rumori provenire dalla stanza di Mark, proprio affianco alla mia.
Era come un ansimare, come quando hai il ciclo e i crampi sono talmente forti da farti lamentare in continuazione.
Mi avvicinai silenziosamente alla porta, lentamente abbassai la maniglia e la aprii, facendola sbattere contro il muro.
«Juniper cosa stai facendo?!» domandò seccato il signor Morrow sollevatosi di scatto dal letto, coprendosi con le coperte.
«Pensavo stesse male! Volevo solo controllare!» Lui si vestì, si alzò e mi accompagnò furioso al piano di sotto.
Non eravamo soliti litigare, ma quella volta, non so come mai, lo facemmo.
Io gridavo, lui mi gridava di non gridare, io gridavo ancora di più e via discorrendo, per intenderci. Continuammo così per una manciata abbondante di minuti, fin quando qualcuno ci interruppe scendendo i gradini.
«Mark tutto bene?» l'uomo si zittì e mi guardò con gli occhi sbarrati.
«Sì Michelle, ti chiedo scusa per questo spiacevole incidente».
Alla sola vista di quella donna, il mio cuore si fermò e le mani iniziarono a tremare.
Mi sentii come attraversata da una potente scarica elettrica, mi sentii quasi iperattiva.
«Michelle? E tu chi saresti?» domandai, squadrando la donna dalla testa ai piedi con le braccia conserte e lo sguardo schifato.
Lei alzò un sopracciglio
«Chi sono io? Chi sei TU?!»
Mark fece per allontanarsi con Michelle, come per troncare questa conversazione ed evitare un disastro, ma fu uno sforzo vano.
Gli afferrai con forza la maglietta facendolo girare, gli saltai in braccio e prendendo la sua grossa testa tra le mani gli diedi un bacio.
Il tempo in quel preciso istante sembrò fermarsi: lui era lì, io ero lì, Michelle ci guardava furiosa e non potevo sentirmi più soddisfatta del mio operato.

«Stai scherzando Mark?! Una baby squillo che potrebbe essere tua figlia?!»
Mark si allontanò di scatto da me, e mi fece scendere delicatamente, si voltò e si diresse verso la donna con aria dispiaciuta, quando di colpo il suo sguardo da triste divenne furioso.
«Non chiamarla mai più in quel modo, e ora esci da casa mia».

Oh, avevo fatto un casino... un bel casino.
Il signor Morrow non mi rivolse la parola per due settimane.

Il signor Morrow non mi rivolse la parola per due settimane

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