Seconda lettera.

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Figlia mia, sono in lacrime nel mio letto, è passata una settimana da quel tragico giorno. Subito dopo aver scritto la lettera per la tua nascita ho avuto delle perdite di sangue, di contrazioni neanche l'ombra. Ho raggiunto l'ospedale da sola, tuo padre era a lavoro. Quando sono arrivata i medici mi hanno trasportata in sala parto, subito dopo mi è stata iniettata una sostanza per stimolarmi e non ne volevi sapere di venire al mondo. Poi mi ha raggiunta Joel, ha iniziato a litigare con i dottori, fino a quando mi è stato eseguito un taglio cesareo. La mia bimba era nel mio grembo, morta da due giorni, ed io non ne sapevo nulla.

Eri cosí bella, amore, il visino grassottello con le labbra rosse e carnose semiaperte, sembrava che stessi dormendo. Abbiamo preso fra le mani il tuo corpo, leggero come una piuma, il corpicino che sarebbe dovuto diventare quello di una donna, di una moglie, di una madre, di una nonna.

Il corpo che non sarebbe mai più diventato.

Credevo fossi stanca di scalciare, Gioia.

Credevo di tornare dall'ospedale con te, pronta a rallegrare le nostre notti, trasformandole in notti insonni.

Credevo, credevo troppo, ed ora mi son rimasti solo i propositi.

Avrei tanto desiderato morire io e dar la vita a te, farti vedere la luce, farti assaporare il dolce e l'amaro della vita, riempirti dell'amore che mi è tanto mancato da parte dei miei veri genitori, in Africa.

Joel tenta di farmi reagire, ma sono inerte. Lui sta passando l'inferno, ma finge di essere forte per sostenere me.

Giugno, 1998.

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