5. Morti

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“Corvo!”
Al richiamo di Lady Byron il gigante si alzò dalla parete e con uno scatto portentoso si diresse verso il camino, ad un lieve movimento delle gambe spiccò il volo, e con un balzo afferrò un fucile per braccio tra i semi automatici agganciati sopra il fuoco, atterrò davanti al focolare con la posa di un ginnasta che aveva appena eseguito un triplo salto mortale, e si girò così verso la propria padrona in attesa di ordini: agli occhi di Brynmor non era più un cocchiere, ma un cowboy steampunk pronto a fendere demoni infernali con proiettili d’argento benedetti; stringeva due winchester in ottimo stato, oliati e ripuliti, che caricò facendoli roteare attorno alle dita meglio di quanto un giocoliere avrebbe fatto con dei birilli. Bryn non riusciva a immaginare a quale scopo il Barone avesse fatto riempire la casa di armi cariche, ma dalla reazione fulminea della giovane e dall’esperta manovra della guardia del corpo cominciava a immaginare che si trattasse di routine, se non di una eventualità prevedibile.
Ancora pensava al Signor Korkof che con così tanta fretta era fuggito dalla tenuta.
Corvo si avvicinò alle finestre, Irene le spalancò per lui e si mise seduta sulla scrivania con lo sguardo in direzione del giardino. Sul manto d’erba al di là del labirinto avanzavano circa dieci uomini armati, stringevano delle doppiette tra le braccia e come cacciatori che seguivano la preda si avvicinavano di soppiatto alla tenuta.
Il cowboy alzò entrambe le armi e le puntò contemporaneamente verso il leader del piccolo plotone d’esecuzione; si preparava a sparare, e a giocare a tiro al bersaglio con le teste degli inattesi visitatori come a bestie selvatiche da scacciare, quando la figura snella di Bryn si posizionò a braccia aperte di fronte a lui, e senza proferire parola gli bloccò la visuale col proprio corpo. Entrambe le bocche da fuoco gli puntavano il cranio e colui che le dirigeva non sembrava intenzionato a smuoverle da lì.
“Si levi Bryn!” sbottò Irene.
“No”
“Bryn, per l’amor del cielo!”
“Irene …” il cecchino non si era mosso e continuava a tenerlo sotto tiro, e lui con lo sguardo di chi sa esattamente cosa sta facendo fissava la giovane donna negli occhi, con una strana pace e tranquillità in corpo; “… ho letteralmente una pistola alla testa  e le mie convinzioni non cambiano”
Lady Byron rimase in silenzio per alcuni secondi, non poteva controbattere in alcun modo, e nel frattempo i secondi passavano e il piccolo esercito si avvicinava progressivamente alla tenuta; alla fine con un cenno fece abbassare le armi al proprio bodyguard, e con una scrollata di spalle guardò dubbiosa il nuovo proprietario della villa.
“La ringrazio” rispose sincero lui; “Ora dobbiamo solo capire chi sono i …” uno sparo percosse l’aria, alle loro spalle uno dei miliziani cadde al suolo nel sonoro schianto con l’erba bagnata, e rimase lì, immobile, forse morto, a farsi ricoprire di pioggia mentre gli altri si disperdevano abbandonandolo al suo destino.
Affacciandosi e lasciandosi inondare dal temporale perenne Brynmor strinse le palpebre nel tentativo di capire chi avesse esploso il colpo; doveva per forza provenire dalla loro direzione, e con lo sguardo andò in cerca di una scura figura sospetta appostata in qualche arrangiata postazione di tiro al di sopra degli altri edifici della tenuta, per poi realizzare che il proiettile non poteva che essere stato sparato dall’edificio principale: gli assassini si sparpagliavano spostandosi da una traiettorie che corrispondeva ad una linea retta proveniente dalla finestra dello studio, si gettavano a destra e a sinistra correndo a zigzag in un disperato tentativo di fuga, come se l’unica cosa veramente importante fosse levarsi di lì. Corvo non aveva sparato, e dal piano inferiore la visuale veniva ostruita dalle alte pareti del labirinto, quindi restava una sola possibilità.
“È sopra di noi, andiamo!”
Il detective afferrò fulmineo la chiave ramata che ancora riposava sul piano in noce, e dopo averla posta nuovamente all’interno dell’orologio ed averlo sigillato se lo infilò in tasca e corse fuori dalla stanza, i due nuovi compagni d’avventura alle sue spalle lo seguivano senza capire, e per quanto nemmeno lui fosse del tutto certo di ciò che stava facendo qualcosa lo portava a pensare che trovato chi aveva sparato il primo colpo avrebbe trovato un indizio in più, forse utile per la soluzione del caso.
Le indagini erano aperto.
Facendosi guidare da Lady Byron e incitandola ad affrettare il passo raggiunse la stanza al di sopra dell’ufficio, un piccolo salotto completo di piano bar e angolo musicale, dove un giradischi acceso suonava indifferente un’opera lirica, e un gruppo di  camerieri dalla giacca rossa, i bottoni d’argento e delle maschere bianche se ne stavano in piedi di fronte alla finestra, immobili a fissare l’esterno.
“Ehi, voi! Avete per caso …” un secondo sparo, stavolta era chiaro che provenisse dall’alto, e alimentato da una convinzione maggiore della precedente Brynmor si gettò nuovamente nei corridoi, alla ricerca dell’ennesima rampa di scale capace di portarlo più su.
Per altri due piani la scena si ripeté, spalancava la porta, i servitori si affacciavano alla finestra, e lui usciva nuovamente. Alla fine capì che doveva trovarsi sul tetto.
“Come raggiungiamo la cima dell’edificio?”
“Le scale della servitù, da quella parte!”
Si ritrovò a salire una stretta scaletta a chiocciola in ferro, in un pozzo di quattro piani che collegava magistralmente tutti i livelli dell’abitazione, una strettoia tra le mura della tenuta che permetteva ai camerieri e ai domestici di adempire ai loro doveri in fretta e scomparire con altrettanta rapidità, senza intralciare gli eventuali ospiti.
Arrivato all’ultimo gradino trovò la propria strada sbarrata, sfondò con una spallata una porticina di legno antica chiusa da un grosso lucchetto arrugginito, piombando così su una passerella di vecchie mattonelle nere e lucide localizzata sul vertice dello spiovente tetto di tegole bluastre; si rialzò, guardandosi attorno riusciva a vedere solo un ammasso d’acqua torrenziale che batteva nonstop contro la sua nuova casa, sembrava arrivare infervorata e decisa a spazzarla via dalla faccia della terra, per poi tuttavia arrendersi di fronte all’evidenza e, a pochi metri da lui, precipitare nel vuoto in una cascata artificiale.
- Dove si trova? –
Cominciò a correre pericolosamente sull’instabile sentiero di fronte a sé, fece diversi metri senza capire se stesse per raggiungere il luogo che cercava o se stesse per gettarsi inavvertitamente oltre lo strapiombo.
Poi, li vide.
Due uomini vestiti da camerieri, le maschere coprivano loro i volti; si trovavano al di sotto di una minuscola tettoia costruita in corrispondenza di una stretta sporgenza del tetto, sembrava costruita appositamente per permettere loro di giocare al tiro al piattello con la testa di eventuali visitatori poco graditi, e non appena la voce di Byron fu sufficientemente forte da sovrastare lo scroscio della pioggia e raggiungerli, si voltarono contemporaneamente a fissarlo. Uno dei due stringeva un fucile a ricarica manuale e lo puntava indifferente verso il giardino posteriore, l’altro ne teneva un secondo tra le mani e lo ricaricava approfittando del riparo dalla pioggia e della possibilità di maneggiare polvere da sparo asciutta.
“Chi diavolo siete?”
I due misteriosi individui si girarono e cominciarono a correre.
- E ti pareva –
Brynmor li seguì, il contorno delle loro figure sfocate diventava sempre più difficile da localizzare nel bel mezzo della tempesta, e da un momento all’altro fu certo di averli persi.
Quando cominciò a chiedersi se non si fossero smaterializzati, il suo piede trovò al posto del suolo il vuoto più totale, e come un sasso lanciato al di là di un dirupo Bryn continuò la sua corsa oltre il bordo del tetto privo di parapetto, e sì, fu certo che la sua ora fosse finalmente arrivata; una grossa e muscolosa mano lo afferrò per la collottola e lo richiamò a sé brutalmente, riportandolo al mondo dei vivi con inaspettata gentilezza. Sebbene si trattasse di una maniera alquanto brutale per farlo.
Tossendo Bryn alzò lo sguardo e inquadrò, illuminato da un lampo, il gigantesco corpo di Corvo.
“Grazie amico mio”
Un cenno di risposta.
- Piccoli passi, Brynmor, piccoli passi –
Annaspando il detective alzò gli occhi e guardandosi attorno notò alla propria destra dei movimenti sospetti, asciugandosi il volto alla buona e tendendo lo sguardo ulteriormente notò due figure che fuggivano in quella direzione.
“Andiamo!” si rialzò barcollante e nuovamente si rigettò all’inseguimento.
Dopo una ventina di metri le ombre dei due fuggitivi si fermarono; non gli fu chiaro il motivo.
Poi, d’un tratto, il primo dei due spiccò un salto, e scomparve al di là del buio, oltre il limite del tetto.
- Vogliono raggiungere l’edificio della servitù! –
Il secondo si preparò a scattare, quando Bryn richiamò a sé la sua attenzione con un poderoso urlo.
“Fermati!”
L’uomo misterioso si fermò, si girò a guardarlo, e la sua maschera si piegò di lato avvicinandosi alla spalla, in un’incuriosita posa interrogativa; Bryn si avvicinava piano, le mani alte sopra la testa in segno di resa, lo sguardo disperato che sembrava domandare una tregua.
“Non voglio farti del male, dimmi chi sei”
L’uomo rimase immobile, il ragazzo cominciava a credere di potersi avvicinare a sufficienza per potergli parlare; al resto avrebbe pensato poi. Tuttavia, una pistola fu abbassata di fianco al suo volto all’altezza del suo orecchio destro, e Corvo premette il grilletto.
“No!” con una spallata Bryn deviò la traiettoria del colpo, che centrò in pieno la scapola dell’intruso facendolo barcollare all’indietro. Questi si fermo con il piede che in parte toccava il suolo e in parte tastava già il nulla alle sue spalle; l’investigatore scattò, le braccia protese in avanti.
L’uomo guardò dietro di sé, poi tornò a guardare i suoi inseguitori, e come se non temesse niente al di fuori dell’essere catturato fece un passo nel buio, e si lasciò cadere con la schiena che puntava il pavimento venti metri più in basso.
“Fermo!” le dita di Brynmor sfiorarono quelle dello sconosciuto, le sentì chiaramente scivolare via come un fazzoletto di seta bagnato.
Dopo pochi secondi, fissava in basso il corpo senza vita di un uomo ignoto che giaceva pancia all’aria nella pioggia.
“…”
***
Rimase immobilizzato, ipnotizzato dal cadavere; ci vollero dei minuti perché si riscuotesse.
Guardandosi attorno sembrò ricordarsi dove si trovava e cosa fosse appena successo, e la consapevolezza di non aver ancora concluso lo fece ristabilire; doveva andare avanti, c’era ancora qualcuno da salvare.
“L’uomo nel campo”
Si girò e di nuovo si mise a correre per tornare da dove era venuto; rientrato all’interno della villa percorse a ritroso i pochi corridoi che era riuscito a memorizzare, raggiunta la hall spalancò gli enormi battenti in legno e tornò all’aperto, le sue membra venivano nuovamente sferzate dalla gelida doccia naturale che la valle aveva da offrirgli, e senza perdere ulteriore tempo si precipitò sul retro della proprietà facendo il giro dell’intero palazzo. Seguì un sentiero coperto da una tettoia metallica, passò di fianco al labirinto e sbucò sul prato che anticipava la palude; il corpo era sparito. Corse nel punto in cui ricordava averlo visto stramazzare al suolo, e vi trovò qualche rimasuglio rosso che andava sparendo nell’erba, lavato dall’acqua e destinato a scomparire come se mai fosse esistito.
Tornò da dove era venuto, fece nuovamente il giro dell’abitazione stavolta diretto nel punto in cui il cadavere del suicida doveva teoricamente trovarsi, incastonato nella pietra dove si era schiantato con terribile forza. Raggiunta la posizione non trovò nulla, nemmeno un rivolo di sangue.
Semplicemente nulla.
Corse a perdifiato tre volte attorno alla villa, ricalcando i propri passi e segnando col fango il perimetro dell’enorme casa, ma non ci fu nulla da fare: si erano volatilizzati.
“Dannazione!”

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