Non cadde nel pozzo di un ascensore abbandonato, né trovò alcuno scalino mancante sulla cima di una rampa di scale in disuso, e per quanto lo riguardava ciò si poteva considerare come un successo senza precedenti; avanzò con le braccia protese in avanti, incerto su quanto vasto fosse lo spazio davanti a sé.
“Irene?”
“Sono qui”
“Sei per caso una fumatrice?”
Un fiammifero venne sfregato alle sue spalle, ed accese un cerchio di tabacco dentro una piccola pipa da donna fatta in osso; Lady Byron sbuffò qualche boccata di fumo nell’aria, per poi accenderne un altro e alzarlo sopra la testa.
“Fumatrice occasionale” bofonchiò lei, il volto trasformato in uno scheletro baluginante che tremolava sotto forma di maschera nera e arancione.
“Ho sentito che vendono un ottimo tabacco da pipa giù in città”
“Ti hanno detto la verità”
Gli passò al volo la piccola scatoletta di cartone, così lui poté a sua volta tentare di illuminare ciò che lo circondava; non gli fu facile capire dove si trovassero, ad occhio e croce doveva essere una sorta di salottino privato, l’ombra di una poltrona rossa ricamata dipingeva l’intera parete, e le linee discontinue degli scaffali appesi attorno a loro, completamente ricoperti di oggetti, tratteggiavano i muri; un tavolino da salotto riposava ai suoi piedi, minacciandolo, e bisbigliando a proposito il dolore che gli avrebbe procurato se non avesse avuto la fortuna di fermarsi un passo prima di incontrarlo col proprio piede.
Spense il fiammifero prima di ustionarsi le dita, ne accese un altro girandosi alla propria sinistra.
Saltando fuori dal buio con un balzo statico, la polena di un veliero intagliata nel legno gli si parò davanti minacciosa quanto un gargoyle di pietra, e ugualmente pericolosa; più alta di lui di circa un metro, con la sua stazza e la sua figura spigolosa lo fece arretrare di qualche passo. Raffigurava una sirena, era pregiata. Era antica.
Il legno della base sembrava diverso dal resto della scultura, probabilmente restaurato dopo essere marcito negli anni in seguito all’eccessiva umidità; questa, pensò Bryn, era l’ipotesi migliore, tuttavia vi era un curioso dettaglio che sembrava smentirla: si trattava di un unico blocco compatto senza segni di rottura o incastro. La testa della sirena era crepata, scura e ruvida, mentre la coda risultava lucida, brillante e liscia, seppure si trattasse dello stesso materiale asportato dalla medesima pianta fatta a pezzi chissà quante decadi prima, se non secoli. Il giovane si chinò, sfiorò una delle pinne con le dita, e ne percorse le venature dall’alto verso il basso, arrivando ad un nodo magistralmente camuffato dallo scalpello dell’artista in scaglia di pesce. Lo tastò, e ritrasse incuriosito la mano, per poi osservare il liquido appiccicoso che era andato a depositarsi sui suoi polpastrelli.
Se le ripulì con un fazzoletto, e tenne l’informazione per sé.
Di nuovo il suo sguardo si posò sul volto eternamente sorridente della creatura mitica, notando uno scintillio dove dovevano trovarsi gli occhi; all’interno dei due fori oculari vi erano due pietre rosse come il sangue di cui non gli era chiaro quale fosse il materiale.
“Sono rubini?” domandò la lady.
“No, sembrano cristalli di poco valore, ma da quaggiù è difficile dirlo” rispose Bryn, maledicendosi quasi istantaneamente per non aver tenuto la bocca chiusa.
“Quindi lei ha davvero una certa abilità con la bigiotteria”
“Chiamiamola passione”
“Mi chiedo quando sia nata questa … ‘passione’ …”
Brynmor si avvicinò alla parete, affondò la mano nel buio ed afferrò qualcosa.
“Alcune domande sarebbe meglio rimanessero senza risposta”
“Sono d’accordo”
Il detective sbuffò, ammettendo tra sé e sé di essersi raggirato da solo.
Tirò la leva con tutte le proprie forze, e dal soffitto si sprigionò un debole bagliore proveniente da un lampadario ricoperto da un centinaio di lampadine ad incandescenza quasi tutte bruciate; una sfera luminescente simile ad una gigantesca mora. Sotto la calda luce artificiale appena creatasi i soprammobili dei ripiani divennero, per quanto potesse sembrare paradossale, ancora più inquietanti.
La parete nord attirò istantaneamente la loro attenzione: vi era un’intera fila di coltelli in piedi uno di fianco all’altro, infilzati nel legno, inseriti nei loro foderi o agganciati a dei piedistalli dedicati, e sopra di essi delle punte di freccia pendevano dal soffitto come perle, legate allo stesso lunghissimo spago e ricadendo sulle loro teste come liane, una mortale tenda artigianale che tintinnava al loro passaggio.
Agganciate al muro ancora più in alto diverse lance nere apparivano tanto minacciose da far sfigurare la serie di lame sopra menzionata, si trattava di armi dotate di una punta irregolare lunga una trentina di centimetri, con annodate nel punto di fusione tra metallo e legno delle piume multicolore.
- Il barone era un tipo eccentrico, non c’è che dire -
“Suo padre amava viaggiare?”
“A dire il vero non ha mai abbandonato la valle, ma tra i nostri antenati vi erano degli esploratori. Forse appartenevano a loro, devono essere molto antiche”
“Può darsi” si avvicinò ai coltelli e ne afferrò uno a caso, sollevandolo dal suo piedistallo; “Questi sono arabi” le lame erano rinchiuse in dei foderi metallici dalla punta arricciata. Erano ricoperte di pietre e iscrizioni non troppo diverse da quelle che aveva visto nei suoi viaggi in oriente, ma a differenza dei pezzi che era riuscito ad analizzare in passato questi si trovavano in uno stato a dir poco impeccabile, e il laccio ornamentale era nuovo. Aveva già visto quel genere di armi, per lo più si trattava di pezzi da esposizione, ma si era sempre dovuto accontentare di riproduzioni poco fedeli e raramente aveva stretto tra le mani qualcosa di valido, se non in qualche caso più unico che raro; in quel momento, tuttavia, nel luogo più improbabile del mondo, poteva apprezzare l’opera di un artigiano esperto che superava tutte quelle precedentemente incontrate.
E aveva meno di un paio di anni di vita.
“Suo padre era un collezionista di buon gusto”
“Onestamente non immaginavo nemmeno collezionasse oggettistica araba”
- Oggettistica … qui a Neferendis metà dell’oggettistica può ucciderti -
“Infatti, non si tratta unicamente di … oggettistica araba …” posò il suo sguardo sulla lama successiva; “Questa è giapponese. È una wakizashi, una spada corta utilizzata per il suicidio. Quella invece è una katana, utilizzata per il combattimento” afferrò la spada lunga, poggiava su due pezzi di legno biforcuti che ne esponevano il fodero sotto e la lama sopra. Un cartellino appeso ad essa riportava una parola scritta a mano dalla calligrafia che riconobbe essere quella del Barone.
“Koto” lesse Brynmor.
“Che significa?”
“Significa che è stata realizzata con le antiche tecniche di fabbricazione andate perdute in seguito al periodo Kamakura. Le spade successive non vennero mai considerate altrettanto pregiate”
“Lei è pieno di sorprese Mr. Brynmor”
“Non sempre positive, purtroppo” il detective alzò lo sguardo; “Quelle lance invece sono …” alle sue spalle la modesta mazza di legno riprese a colpire la pelle tesa del tamburo rituale, ma solo lui ne percepì la musica. Gli si gelò il sangue nelle vene, e il cuore smise di battere per un istante; “Quelle sono africane”
Dietro di lui l’invisibile strumento a percussione continuava a suonare come se un’intera tribù stesse preparandosi alla caccia, il volume cresceva e il ritmo aumentava di intensità, e una spiacevole serie di ricordi che aveva tentato di cancellare tornò a perseguitarlo.
‘Brynmor’
- Silenzio –
‘Mr. Brynmor? Che nome ridicolo. Certo non mi potevo aspettare altro da un orfano senza famiglia’
- Basta!-
Non osava voltarsi, non osava guardare.
‘Vediamo il tuo coraggio!’
- Smettila di perseguitarmi! -
“Mr. Bryn”
“Si?”
“Si sente bene?”
“… non capisco perché suo padre ci tenesse così tanto a tenere nascosta questa stanza” continuava a tenere lo sguardo fisso di fronte a sé, e a qualunque cosa stesse dando le spalle sperava non fosse in grado di avvicinarsi.
Ringraziò di essere completamente zuppo, o la giovane donna avrebbe notato il sudore che cominciava a bagnargli la fronte.
“Chi può dirlo, forse non voleva che armeggiassi con i suoi gingilli” rispose Lady Byron.
“Già, sembrava essere molto geloso delle sue cose, basti guardare la sua biblioteca personale. Non le ha mai permesso di accedervi, vero?”
“Riteneva che solo una persona come lui potesse apprezzarne la bellezza”
“Curioso, non trova?”
“In effetti si, come lui sono sempre stata un’amante della letteratura, anche ai miei occhi quelle opere rappresentavano …”
“Curioso che una persona tanto gelosa dei suoi possedimenti abbia lasciato ad uno sconosciuto l’intero suo patrimonio” Irene sorrise.
“Gliel’ho già detto, era una persona imperscrutabile”
“Me ne rendo conto”
- Finora ho ricevuto due diverse immagini di suo padre, da una parte c’è la facciata dell’uomo nobile, gentile, estremamente cordiale. Dall’altra, quella del capo di una nobiltà crudele, famelica, quella di un padre con un rapporto inesistente con la propria figlia, quella di un uomo amante di armi esotiche e di fucili d’epoca. Sicuramente si trattava di una persona degna di nota, ma ancora non saprei dire se lo fosse per delle capacità positive o negative –
Abbandonò l’impresa e tornò ad analizzare la stanza.
Fu in quel momento che Bryn si voltò.
Un’ombra scura dalla stazza pari a quella della polena se ne stava immobile di fianco la scultura, alle spalle di Irene, e lo fissava con due enormi occhi bianchi.
Il detective venne scosso da un brivido che gli percorse tutto il corpo, e si gettò all’indietro gridando, inciampando andò a sbattere contro il muro e con la schiena colpì in pieno la leva che collegava il circuito del lampadario alla corrente.
Calò l’oscurità, e in preda al panico il meglio che il giovane seppe fare fu chiamare in proprio soccorso un essere tanto spaventoso quanto quello appena visto.
Corvo accese un fiammifero nel buio, la sua figura troneggiava nel mezzo del salottino, si guardò attorno più volte per poi lasciar cadere al suolo il bastoncino in fiamme, spegnerlo camminandoci sopra, e afferrare alla cieca lo sproporzionato interruttore; quando la luce tornò, erano solo loro tre.
“Mr. Brynmor, cosa le ha preso?”
“Io …”
Osservò senza capire i volti dei presenti, e alle loro spalle andò in cerca della stessa figura che lo aveva terrorizzato a morte; si bloccò, i suoi occhi rimasero fissi a puntare il minuscolo oggetto fonte delle sue paure. Una volta ritrovata la lingua in fondo alla propria gola, Bryn si alzò di scatto e lasciò la stanza, disse in velocità giusto qualche parola di scusa per congedarsi e si fece indicare la posizione della camera da letto del Barone. Scomparve alla vista, correndo a perdifiato fino al proprio nuovo nascondiglio.
Lady Irene rimase all’interno del salotto, ancora incerta su cosa fosse appena accaduto.
Non poté trattenere la curiosità e andò in cerca di ciò che aveva scatenato quella reazione nel nuovo padrone di casa. Di fianco la polena, come unico oggetto dotato di un piedistallo tanto grande tra i vari tesori della collezione, una minuscola statuina intagliata nel legno se ne rimaneva immobile a fissare chiunque mettesse piede nella saletta; due occhi dipinti di nero la seguivano ovunque si muovesse, ma si trattava di una semplice impressione.
Un cartellino davanti ad essa ne riportava il nome, e la donna lo afferrò senza perdere ulteriore tempo.
“Statuetta Boguai. Africa Centrale"
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Il Caso Maghnet
Misterio / SuspensoPrimo libro della saga 'Il Cacciatore di Tempeste'. Un giovane investigatore inglese privo di denaro e dalla dimora non fissa viene assunto da un uomo benestante perchè indaghi sulla sua stessa morte; condotto in terra straniera, in una misteriosa c...