Capitolo 2🖇

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Stavo pensando che una volta ero felice. Ma felice davvero, non del tipo che ti chiedono "come stai?" e rispondi con la prima cosa che ti viene in mente "sto bene." Io stavo davvero bene. Magari avevo dalla mia parte la spensieratezza di una bambina, una grande famiglia che mi voleva bene e un grande amico. Io non ho ricordi tristi delle gite a Cordoba, delle notti umide ma afose, del cielo stellato dell'Argentina, delle serate trascorse in giardino tutti insieme a ridere, a scherzare, a litigare, a piangere di gioia, a rincorrere i gatti del quartiere. Io non ho ricordi tristi. Non mi sentivo giú neanche quando nel bel mezzo della notte, iniziavano a suonare quelle maledette sirene, tutti quegli allarmi; quando mamma e papà ci buttavano letteralmente giù dal letto e correvamo tutti al vecchio rifugio del paese, quella grotta scavata sottoterra. A otto anni cosa potevo capire? Ero semplicemente felice di vedere Ryan e tutte le altre persone del paese e stare insieme con loro. Una bambina non può mettersi a guardare gli occhi terrorizzati della gente, le mani intrecciate per farsi forza di tutte le madri e di tutti i padri che si sentono impotenti, perché alla fine non potevano fare niente per i loro figli, per garantirgli un futuro migliore; o anche solo un futuro. Mi ricordo che io e Ryan ce ne stavamo in un angolo a giocare. Ormai avevamo deciso: lui portava le carte, io il mio set di barbie a cui potevamo staccare la testa. Ora che mi viene in mente, soltanto le nostre risate riempivano quel silenzio. Magari facevamo star bene tutti, magari abbiamo fatto qualcosa di buono per gli altri nella nostra incoscienza. Mi ricordo che quando le sirene risuonavano, tutti si guardavano con le lacrime agli occhi e si lasciavano andare in un grande sospiro di sollievo, non accorgendosi neanche di aver trattenuto il fiato per tutto quel tempo. Gli unici tristi eravamo io e il mio migliore amico, perché sapevamo che sentir suonare le sirene, voleva dire che potevamo tornare a casa nei nostri letti. Pensandoci bene abbiamo sempre odiato quei rumori insistenti. Forse è per questo che quella notte non c'è stato nessun avviso, nessuna sirena. Solo il buio.
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Quanto sono stupida? Pensavo davvero che non mi avesse già rimpiazzata con un'altra? Dopo tutto quello che abbiamo passato? Dopo tutte quelle promesse? Io mi ricordo tutto. Perché alla fine io sono così. Ricordo a memoria i compleanni di tutti, mi sbatto il pomeriggio prima per comprare regali e scrivere dediche che alla fine invio alle 23.59 o alle 00.01 perché mi metto a rileggere tutto troppo presto o troppo tardi. Perché ormai lo sanno tutti quanto poco sia sicura di quello che faccio. Ricordo a memoria tutti gli onomastici, anche quello non scritti sul calendario. Mi ricordo i vestiti che i miei compagni indossavano il primo giorno di scuola, mi ricordo tutto quello che mi viene detto. Mi ricordo delle promesse mai mantenute, di quei 'io ci sarò' che sapevano così tanto di eternità e speranza. Mi ricordo dei giuramenti, dei segreti imprigionati nella mia testa perché da lì non sono mai usciti e mai usciranno. Mi ricordo che colore aveva il cielo quel giorno, quel maledettissimo giorno. Era grigio, sembrava quasi volesse piangere e disperarsi come ho fatto io. Come continuo a fare io. Ricordo la prima volta che l'ho guardato. Quando mi è passato davanti con i suoi capelli disordinati, quel sorriso da bambino e quegli occhi così semplici ma allo stesso tempo così particolari che, per un attimo, hanno avuto il potere di accendere l'azzurro profondo dei miei, spento già da tempo. Mi ricordo anche che giorno era. Era il 3 ottobre dell'anno scorso. È passato quasi un anno e io sono ancora qui, persa nei ricordi indelebili, scolpiti nella mia testa ma soprattutto nel mio cuore. Un cuore ferito, graffiato, che aspetta solo di smettere di battere per non soffrire ancora, per non essere nuovamente maltrattato, magari anche per non assistere più a scene pietose come questa. Maya e Simone che si baciano. Proprio davanti ai miei occhi. Se non sentissi le mie guance bagnate penserei fosse soltanto uno dei miei tanti incubi. Ma non è così per mia sfortuna. Sono entrambi qui, sulla porta di quella che sarà la mia nuova 'casa' per quest'anno. Bel modo di merda per cominciare. Non ce la faccio più a stare qui a guardare; supero Emma e torno ai nostri posti. L'avevo promesso a me stessa che non avrei più pianto per lui. E invece è bastato vederlo con la lingua in bocca a Maya per farmi esplodere. Brava, Annabelle. Bel modo di controllarti, hai fatto dei grandi passi in avanti. Mi riprende la mia coscienza. Come se non lo sapessi già. Il tempo di sistemarmi che mi raggiunge la mia migliore amica. Non parla, non mi abbraccia non fa nulla. Lo sa che la apprezzo così in queste situazioni. Perché si, non è la prima volta che mi vede esplodere. Emma c'è stata sempre, ogni volta che piangevo per la mia vita reale o per i miei incubi la notte. Nel tempo ha capito che, quando succede, ho bisogno dei miei spazi per riprendermi e l'ha accettato. Dopo pochi minuti di silenzio, sentiamo suonare nuovamente la campanella e ci ritroviamo tutti in classe. Sono tutti abbronzati, più alti e indossano vestiti colorati che fanno capire di essere ancora in estate. Osservando meglio solo io indosso una maglia lunga e larga nera a maniche corte dell'adidas, un paio di jeans strappati sulle ginocchia e le mie vans nere, compagne di mille avventure. Non noto molti cambiamenti nei miei compagni, pur non vedendoli da tre mesi e mezzo. L'ultima che entra in classe è Maya, con un sorriso stampato su quella faccia truccatissima e con un andamento abbastanza precario, perché ancora non ha imparato a camminare con i tacchi. Oca. A riscuotermi dalle mie osservazioni è l'entrata ad effetto di Marco, il mio migliore amico, che entra correndo con la maglia blu tutta sudata e una faccia a dir poco stravolta. "Hai fatto allenamento addirittura prima di venire a scuola?" Lo derido riferendomi alla sua maglietta che, adesso, ha assunto un colore più scuro a causa del sudore. "Molto simpatica Anna, ma sai meglio di me cosa significa 'arrivare tardi', in tutti i sensi" mi risponde prontamente riferendosi ai miei comportamenti passati. Per tutta risposta gli lancio addosso il mio fantastico quaderno a righe rosso, colpendolo in testa. Con un sorriso vittorioso penso che sia riuscita ad affinare anche la mia precisione in questi mesi. Dopo aver abbracciato me ed Emma, si siede accanto alla mia migliore amica e fa la sua entrata la nostra nuova professoressa di latino. Davvero insopportabile.
Alla fine le ore passano velocemente, tra presentazioni, racconti di avventure estive e abbracci tra compagni. Mi ritrovo sul marciapiede di fronte la scuola ad aspettare insieme con Emma e Marco, la mamma di quest'ultimo per poter finalmente tornare a casa. Mentre parlo con i miei migliori amici penso che mi sono mancati tanto, penso che questo cambiamento mi abbia fatto bene e che, in fin dei conti, questo sarà l'anno di liceo migliore di tutti.

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