Capitolo 8

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Ero euforica, non vedevo l'ora di raccontare a Matt e a zia Annie, corsi a casa, anche perché si stava facendo buio in fretta; arrivata a casa entrai e salutai ad alta voce per attirare l'attenzione di qualcuno ma non ci fu nessuna risposta, andai in cucina ma non c'era nessuno, feci passare tutte le stanze ma niente, non c'era anima viva in casa, chissà dove sono andati.

Decisi di chiamare Annie, ma il suo telefono era occupato, iniziai a preoccuparmi un po', girai ancora per la casa fino a quando non mi accorsi di una nota sul frigorifero, non c'era scritto molto veramente solo una parola e questa mi faceva abbastanza paura già di per sé, non c'era bisogno di aggiungere altro, diceva solamente "Ospedale".

Non ci pensai due volte, uscii di casa e corsi verso l'ospedale, arrivai con il fiatone e il cuore che batteva a mille, mi avvicinai alla reception e dissi solamente il nome di mio fratello, non so perché ma avevo questa sensazione che fosse successo qualcosa a lui non alla zia, e infatti l'infermiera mi disse un numero di una stanza al terzo piano, non avevo tempo per aspettare l'ascensore e salì i gradini a due a due correndo come una disperata.

Arrivai di fronte alla camera e avevo paura, una paura matta, chiusi gli occhi e aprì la porta, la scena che mi ritrovai davanti non era un delle migliori ma ad essere sincera mi aspettavo di peggio; c'era mia zia seduta su una sedia vicino al letto e mio fratello sdraiato, ma era cosciente, mi avvicinai con cautela e vedendomi mia zia mi corse incontro abbracciandomi, io ricambiai ma mi staccai quasi subito

- che è successo? - dissi con gli occhi fissi sul mio fratellino, anche se fu Annie a rispondermi

- ha avuto una specie di attacco di panico e ha iniziato a distruggere tutto, ha rotto uno specchio in mille pezzi e si è ferito una gamba, quando sono entrata in camera sua era disteso a terra con una gamba ricoperta di sangue, mi sono spaventata -

- come...come mai? -

- non lo so, non lo sanno nemmeno i medici, forse tutto lo stress accumulato, la situazione in cui è finito, può essere stato tutto questo -

- è...è colpa mia -

Da quando tornammo dall'ospedale passai ogni giorno, ogni istante con mio fratello, non lo avrei perso di vista di nuovo e forse grazie anche alla mia presenza ha iniziato a stare meglio. Non permetterò che accada di nuovo una cosa del genere.

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Intanto la mia vita andava avanti, andavo a scuola e al pomeriggio in libreria. Mio padre non lo sentivo più, era come sparito e per mia fortuna non mi capitava mai di incontrarlo per strada o al supermercato, quindi per il momento potrei dire di stare quasi bene, se non fosse sempre per il fatto che mia madre non si è ancora svegliata e tutti i giorni passo a trovarla, a volte con mio fratello e a volte da sola.

Quando vado da lei, porto sempre qualcosa da leggerle, o qualche canzone nuova da farle ascoltare, le parlo, le racconto della mia giornata, dei sogni o degli incubi che faccio, le ho parlato di papà, di Chloe, di zia Annie, e di Matt, che ora si è fatto nuovi amici a scuola e sembra felice con loro.

L'unica cosa di cui non le parlo mai è di me, di come mi sento a doverla andare a trovare in ospedale, di come vorrei che si svegliasse presto, di quanto sto male dentro, anche se da fuori non lo dimostro ma mi sento vuota, come se su quel lettino ci fosse anche una parte di me senza la quale non riuscirei a vivere, non le ho mai detto di quanto mi senta sola, di quella sensazione di solitudine che mi viene quando mi trovo sdraiata a letto la sera prima di dormire, non le ho mai detto nemmeno che non riesco più a dormire e che passo le notti a soffocare il pianto nel cuscino in modo da non svegliare nessuno; non le ho mai detto di come mi senta in colpa per quello che è successo e di come non riesca più a sentire quella canzone, la canzone che ascoltavamo in macchina quando tutto questo è successo.

La sera tornai a casa dall'ospedale, preparai la cena a mio fratello e a mia zia, quando andarono tutti a letto, io presi la giacca e uscì senza fare rumore.

Quella sera non avevo voglia di piangere ancora, non ce l'avrei fatta, quindi   decisi di andare nell'unico posto che mi piaceva di quella città, il pontile.

Arrivata, una forte ventata di aria gelida mi colpì in pieno viso; nascosi il volto nella grande sciarpa e mi incamminai verso la fine di esso.

Attraversai il luna park fino ad arrivare alla fine del pontile, di fronte a me una distesa d'acqua nera, faceva paura, le onde iniziarono ad alzarsi e il vento aumentava, ma questo non mi dava fastidio, anzi forse per la prima volta da tempo riuscì a respirare senza sentirmi rinchiusa. Chiusi gli occhi e feci dei respiri profondi, provai a svuotare la mente. Sentivo il vento spostarmi i capelli in modo disordinato, sentivo gli schizzi d'acqua delle onde arrivarmi dritti in faccia, sentivo il rumore del vento e delle onde come un concerto della natura nel quale ero l'unica spettatrice.

 Sentivo il vento spostarmi i capelli in modo disordinato, sentivo gli schizzi d'acqua delle onde arrivarmi dritti in faccia, sentivo il rumore del vento e delle onde come un concerto della natura nel quale ero l'unica spettatrice

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Non so quanto tempo passò, ma un rumore mi fece aprire gli occhi e rovinare la magia creatasi in quel momento.

Mi voltai ma non vidi nessuno, così mi rigirai verso l'oceano, poi i miei occhi si posero sull'orologio che avevo al polso. Era già mezzanotte. Mi voltai nuovamente e iniziai a dirigermi verso casa.

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