Capitolo I

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Cinque e quarantacinque.

Uno squillo secco e penetrante mi scuote come un pesce abboccato all'amo. Cerco di sottrarmi alle dolci morse del sonno e, ancora intorpidita, allungo il braccio verso il comodino per spegnere la sveglia. Mi giro su un fianco, poggiando il viso sulla federa fresca e ruvida. Lenzuola morbide mi cullano nella dormiveglia, formando un piccolo giaciglio. Controvoglia, mi alzo lentamente, lasciando che il mio corpo si abitui all'aria pungente della stanza. Un brivido percorre la mia schiena nel momento in cui appoggio i piedi nudi sul freddo parquet ricoperto da un sottile strato di polvere. I miei occhi si abituano lentamente alla luce del sole che filtra dalla finestra, mentre con movimenti meccanici apro le ante dell'armadio e indosso la mia uniforme.

Mi trascino verso il bagno stropicciandomi gli occhi, la bocca impastata di saliva. Uno schiaffo di acqua gelida in pieno viso mi sveglia completamente, la luce sul soffitto sfarfalla dandomi fastidio agli occhi, illumina il mio riflesso nello specchio. Occhi stanchi, contornati da residui di mascara e matita nera, labbra sottili e screpolate. Un velo di capelli castani mi contorna il viso ricadendomi sulle spalle.

Scruto attentamente la mia immagine, come se da un giorno all'altro potessi in qualche modo notare qualcosa di diverso in me. Eppure, negli ultimi tre anni nulla è cambiato: stesse occhiaie, stesso incarnato pallido. Sospiro creando un lieve alone sullo specchio, mentre fisso le lancette dell'orologio al mio polso spostarsi. Sei e venticinque. Sento la sveglia della mia coinquilina proveniente dalla stanza accanto. Mi lego i capelli in una coda alta e afferro al volo borsa e giubbotto.

Uscendo di casa, un soffio ghiacciato penetra nei miei vestiti come spilli e condensa il mio respiro in leggere nuvolette di vapore. Scruto lo scenario che ho di fronte: un groviglio di asfalto, luci e cemento illuminato da una tenue luce mattutina. La città si sta svegliando, piccoli gruppi di persone aspettano l'autobus, pronti ad affrontare una nuova giornata. Mi mangiucchio un'unghia e mi incammino sul marciapiede, mentre osservo la mia immagine riflessa nelle vetrine dei negozi alla mia destra. L'uniforme che devo indossare mi fa sembrare un enorme cupcake: un orrendo grembiule a righe bianche e gialle e dei pantaloni marrone sbiadito. Accendo una sigaretta, le dita intorpidite dal freddo. Una giornata come tante, in un autunno freddo e privo di avvenimenti. Semplicemente un'altra giornata di lavoro, nel grande formicaio di persone che è questa città.

Wendy mi ucciderà, penso. È la settima volta che arrivo con più di dieci minuti di ritardo e lei non lo sopporta. Lei è il mio capo, in poche parole la donna che rende ogni mia giornata un inferno.

Come previsto, appena arrivo in negozio lei è già lì ad aspettarmi. L'aria è calda e impregnata dell'odore di biscotti e caffè. Lavoro in questa odiosa caffetteria da quasi due anni e solo per miracolo non sono stata ancora licenziata. Una figura tozza e ansimante si affaccia dal bancone con uno sguardo compiaciuto.

"Non mi dire, Christina è in ritardo. Di nuovo." lo sguardo fisso su di me, la fronte corrucciata.

Non rispondo, la scruto con sguardo di sfida. Capelli biondo cenere e occhi azzurri, il viso sciupato dal tempo e dal duro lavoro.

"Muoviti, non voglio sentire una parola da te. E che non succeda mai più, sono stata chiara?" alza gli occhi al cielo e si dilegua dietro al bancone. Sospiro e mi dirigo alla mia postazione.

La giornata passa in fretta, sei ore intense con un paio di dovute pause per una sigaretta. L'unico aspetto del mio lavoro che trovo sopportabile è il continuo contatto con persone diverse. è incredibile quante anime ci siano in una città. Quante vite intrecciate tra loro, che si spostano ogni giorno come laboriose formiche, ognuna con il proprio lavoro. Quanti ricordi, custoditi nelle menti di migliaia di abitanti, un bene prezioso e inestimabile.

Io, nonostante viva qui da tre anni, non ho ancora creato dei legami in questa città. Sono un pezzo di puzzle difettoso, che non riesce a combaciare con nessun altro tassello. Forse perchè non mi sento pronta ad avere dei legami, forse perchè non ci ho mai veramente provato. Tutto ciò che faccio è essere gentile con le persone che ho attorno e creare una calma e pacifica convivenza, nulla di più.

Le mie gambe deboli tremano nel tragitto verso casa, un vento freddo si impossessa dei miei vestiti e li fa danzare sul mio corpo. Arrivo nel mio quartiere, una massa di case fatiscenti piene di malviventi e di chi, come me, non può permettersi di meglio.

Un odore di muffa mi riempie le narici mentre apro la porta di casa. Butto le chiavi sul divano e mi tolgo il giubbotto ormai gelido.

Marta se n'è andata. Mia coinquilina da tre mesi, mi ha abbandonato con un bigliettino attaccato alla porta di camera sua. "Torno a vivere dai miei genitori", si legge in rosso. Tipico di chi viene a vivere qui, penso. ho avuto numerose coinquiline nel corso degli anni. Tutte dopo qualche mese hanno deciso di andarsene, perchè questo quartiere non fa per tutti, per la muffa sulle pareti, per gli spifferi di aria fredda che si infiltrano tra le lenzuola la notte, per la poca cura che ho del mio appartamento. Avverto un lieve senso di malinconia, forse perchè con Marta avevo un rapporto "speciale". Non si faceva gli affari miei, era silenziosa, non portava mai ragazzi in casa e non si lamentava troppo della polvere che copre il pavimento. Mi mancherà? Forse. L'unica cosa a cui penso è che ora dovrò fare un altro annuncio per cercare una nuova coinquilina, visto che l'affitto non riesco certo a pagarlo da sola, con il minimo stipendio che ho.

Decido che è meglio non pensarci, l'ultima cosa che voglio fare è avere ansia per la scadenza delle bollette. Ordino una pizza a domicilio e mi butto sul divano, accendendo la televisione. Dopo aver cenato posso finalmente farmi strada tra le coperte del mio letto, poggiare la testa sul cuscino e chiudere gli occhi. Dalla finestra filtrano luci e suoni, la città che vive anche di notte. Il buio mi rassicura, i pensieri si fanno più leggeri, fino a quando Morfeo mi prende tra le sue dolci braccia.

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