Ascoltavo con attenzione le parole della Bianchi, la professoressa di italiano. La letteratura non era mai stata la mia materia preferita, ma ci tenevo al mio rendimento scolastico complessivo, per cui cercavo di darmi da fare ovunque.
La mia compagna di banco - nonchè unica amica che avevo - cercava di distrarmi parlandomi del vestito che sua madre le aveva proibito di comprare. Anch'io se fossi stata una madre, probabilmente non avrei mai permesso a mia figlia di indossare un vestito aderente e corto neanche fino a metà coscia. A differenza di me comunque, lei amava mettersi in mostra.
Eravamo al quarto anno. La scuola era ormai iniziata da due settimane. I professori cercavano di far riprendere il ritmo agli alunni, ancora con la testa in spiaggia. La pelle abbronzata cominciava ad essere un lontano ricordo. Le gambe erano ormai coperte da lunghi blue jeans, i piedi racchiusi in delle scarpe da ginnastica che rendevano il caldo di fine settembre ancora più insopportabile. Tutto ció influiva sulla concentrazione degli alunni, che, avevano perduto l'eccitazione dei primi giorni dovuta alla ricongiungimento con gli amici e si erano trasformati in burattini nelle mani dei professori. La maggior parte di loro, come automi eseguivano gli ordini; vi erano poi coloro che avevano spezzato i fili mossi dai loro superiori e si opponevano alle regole.
«De Luca, ripeta per favore!» La mia amica mi lanció occhiate disperate d'aiuto ed io cercai di aiutarla, per quanto fosse possibile. Eravamo disposte nella fila centrale al terzo di quattro banchi. Non doveva essere difficile eppure la professoressa mi richiamó. «Bruno, allontana la mano dalla bocca altrimenti lo prendi tu il due.» Arrossì ed abbassai la testa colpevole e delusa da me stessa. L'imbarazzo e la vergogna poi presero il sopravvento quando la Bianchi fece ripetere me. Fortunatamente ero stata attenta e me la cavai discretamente.
La campanella che determinó l'inizio dell'intervallo fu una liberazione. Presi la merenda - ovvero un panino alla nutella - e mi accostai alla finestra respirando aria pulita. Lavinia, la mia compagna di banco, si era già dileguata e si dirigeva verso il suo ragazzo, Marco. Non avevo altre amiche nella mia classe, tantomeno nelle altre, per cui l'unica cosa che mi restava da fare era mangiare in silenzio. Ero praticamente sola in classe - anche la professoressa se l'era filata - e la cosa inizió a risultare davvero triste. Decisi di prendere il caffè dalla macchinetta, solo per provare l'oblio di uscire da quell'aula soffocante. La fila sembrava interminabile, specie per me che non avevo amici a farmi compagnia.
Mi girai da una parte all'altra osservando la gente sfilare per i corridoi, sembrano tutti cosí felici e spensierati. «Ti muovi?» sentii dire da una voce maleducata che mi ridestó di colpo. «Dici a me?» chiesi io girandomi verso il tipo rude. E che tipo. Capelli corti che tendono al nero, profondi occhi verdi e mascella squadrata. Giacomo Tommasi. Il bad boy della scuola. Solo a dirlo mi veniva da ridere.«Non so se l'hai notato culo di bomba, ma è il tuo turno.» Ma come diavolo si permette? «Come mi hai chiamata?» «Non ci senti?» mi chiese lui con un espressione che se non fossi incazzata nera, mi avrebbe fatto anche paura. Decisi di rispondere e cacciare fuori tutta l'aggressività che pensavo di non essere in grado di utilizzare. «Sì grande stronzo ci sento benissimo. Tu piuttosto ci vedi? Non mi sembra di avere un culo grosso e anche se fosse dovresti farti i cazzi tuoi.» Effettivamente il mio fondoschiena non passava inosservato, non era piccolo, bensí sodo e grande. Non come quello delle Kardashians, ovvio, ma si notava. Scoppió a ridere e questo non fece altro che accrescere la mia rabbia e l'ostilità verso di lui. Vaffanculo il caffè. Vaffanculo lui. Glielo dissi e me ne tornai in classe.
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Ero sui libri da ormai quattro ore quando decisi di averne abbastanza. Andai in cucina a farmi un panino dove incontrai mia madre che mi chiese a che punto fossi con i compiti. Parlavamo solo di quello. «Ho finito.» Il panino era pieno di nutella, come piaceva a me.. «E matematica?» Non era la mia materia preferita ed i voti lo confermavano. «Anche quella» risposi stufata mentre addentavo quella squisitezza. «Andrea ha controllato?» si riferiva a mio fratello, di due anni piú grande. L'argomento scuola era un suo pensiero fisso. «Si!» Mi alzai scocciata e me me andai nella mia stanza, in realtà Andrea non aveva controllato un bel niente. Ma questi erano piccoli dettagli. Mi stesi sul letto, felice di poter dare un po' di pace alla mia povera schiena indolenzita a causa del troppo studio - se si esclude matematica - e mi lasciai cullare dalle parole di Vasco.Sally che cammina per la strada sicura
Senza pensare a niente
Ormai guarda la gente
Con aria indifferente..Ripensai alla giornata quasi volta al termine, in particolare all'incontro spiacevole avuto con quel pallone gonfiato. Se solo avessi potuto, gli avrei tirato un bel pugno su quel faccino odioso che si ritrovava. Fortunatamente, la parte razionale di me, prevalse.
Spazio autrice🐼
Cosa ne pensate del primo capitolo? Vi incuriosisce almeno un pochino?
Ci tengo a questa storia - la seconda che scrivo - perchè ci sono molte caratteristiche della protagonista (Violante) prese dalla mia vita.
Solitamente dei giudizi e del parere degli altri mi importa poco, ma in questo caso mi piacerebbe davvero ricevere le vostre opinioni🙈
Al prossimo capitolo! (Si spera)🐼🐼🐼
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The eyes never lie
Short StoryViolante ha diciassette anni. Non ha amici e la sua vita è l'emblema della monotonia. Finchè non incontra lui. Giacomo ha diciott'anni, frequenta l'ultimo anno del liceo scientico ed è considerato il badboy della scuola. Non ha limiti ed è quello ch...