«Buongiorno! Non si saluta?» mi riprese mia madre mentre entravo assonnata in cucina. Quella notte non avevo dormito molto perchè le parole di Giacomo mi avevano scossa parecchio. Aveva detto che mi pensava ed io, che ho sempre faticato a fidarmi delle persone, ci ho creduto. La veritá nei suoi occhi era indiscutibile.
Borbottai un ciao e dal frigo presi il mio adorato budino al cioccolato. «Vai a svegliare tuo fratello. Se è necessario, tiralo anche giú dal letto con la forza!» Alzai gli occhi al cielo e oltrepassai mia madre che stava preparando la colazione per Andrea.
Quando giunsi nella sua camera saltai sopra di lui e lo torturai finchè non si decise ad aprire gli occhi. «Che rottura di palle che sei!» «La colazione è pronta patato!» Patato era il soprannome che gli avevo dato quando ero piccola, perchè i suoi grandi occhioni marroni - piuttosto simili ai miei - facevano tenerezza. Per lui invece, ero ciccia. La storia di questo nomignolo è un po piú triste. Ero una bambina cicciottella, che fortunatamente è cresciuta e con il tempo, ha imparato a gestire la quantità di cibo necessaria per mantenersi in forma, o quasi.
Mio fratello aveva un anno in piú di me e frequentava la classe di Giacomo, uno tra i suoi amici piú fidati. Erano cosí diversi caratterialmente che si completavano a vicenda. Il primo era il ragazzo piú estroverso che avessi mai conosciuto, faceva battute in continuazione e amava stare al centro dell'attenzione. Il secondo, che avevo imparato a conoscere grazie alla sua promettente attività da stalker, sembrava avercela con il mondo intero e non sembrava volesse farne parte, ne tantomeno esserne al centro. Tuttavia, falliva nel suo intento. Tutte le ragazze cadevano ai suoi piedi. O meglio, sulle proprie ginocchia.
«Togliti palla di lardo!»
Gli feci il dito medio.
«Mamma! La Viola mi ha fatto il dito medio!»
«Viola!»
Mio fratello era insopportabile quando faceva la spia. Mi ricordava me alle scuole materne.
«Sei uno stronzo ed io non sono una palla di lardo.» mi alzai offesa.
«Continua a crederci.»
«Davvero sono cicciona?»
«No sei la mia ciccia e poi te l'ho detto trecentomila volta che ai ragazzi non piacciono gli stecchini! Noi vogliamo solo le tette e il culo.»
«Dimentichi il cervello.»
«Beh si anche quello.»
Come no.
«Dai scendi che mamma ti ha preparato la colazione.»
Il ponte dei primi di novembre era arrivato. Le scuole erano chiuse e davano l'opportunità agli studenti di portarsi avanti con le materie che di lí a poco gli avrebbero sommersi. Io ero una tra di loro. Rimasi in pigiama e dedicai un po del mio tempo alla matematica, il mio punto debole.Spesso andavo in camera di mio fratello per chiedergli aiuto e lui, controvoglia e sotto minaccia di mia madre, mi spiegava quello che non aveva capito. Praticamente tutto.
Era quasi l'ora di pranzo quando decisi che poteva bastare. Presi il cellulare e notai che vi era un messaggio da parte di uno sconosciuto.
Continuo a pensarti. Alle tre fatti trovare pronta :)
Mi chiesi chi fosse lo sconosciuto che mi pensava.
Ci conosciamo?
Vorresti?
Probabilmente sarebbe piú facile risponderti se sapessi chi sei ;)
Ti dice niente 'culo di bomba'?
Il cuore prese a galoppare. Ebbi la solita strana sensazione che si presentava ogni qualvolta interagivo con lui.
Mi dice che sto parlando di nuovo con uno stronzo. Come hai avuto il mio numero?
È importante?
Sí. Vorrei sapere qual'è il tuo livello di professione
Che?
Di stalker
Ti aspetto alle quattro. Mettiti cose pesanti
Chi ti dice che io voglia venire?
A quel punto non rispose piú. Non riuscivo ad interpretare il mio stato d'animo e mia madre e mio fratello mi furono d'aiuto a tavola. «Che hai Viola? Sembri spaventata.» Paura. «È per quello che ti ho detto prima? Stavo scherzando. Non sei mica cicciona.» «Lo so. Non c' è bisogno che me lo dica tu.» Non potevo vantare un fisico da angelo di Victoria's secret, ma non ero nemmeno da buttare via. E poi non me ne poteva fregar di meno in quel momento.
***
Alle quindici e un quarto circa, mi decisi ad aprire la porta di casa mia e fui sorpresa nel trovare Giacomo ad aspettarmi sulla sua moto. Pensavo che scherzasse o che il mio ritardo l'avesse comprensibilmente portato ad andarsene.
«Ce ne hai messo di tempo.»
«Perchè sei ancora qui?»
«Sapevo che alla fine saresti venuta.»
«Tu non mi conosci nemmeno.»
«Dammi la possibilità di farlo.»
«E io cosa ci guadagno?»
Mi sorrise mettendo così in evidenza quelle fossette senza fine.
«Me.»
«Non mi sembra un grande affare.» Spostai il mio peso da un piede all'altro e incrociai le braccia. Ero ancora sulla soglia di casa mia.
«Cosí mi offendi.»
«Tu l'hai fatto dalla prima volta che abbiamo parlato.»
«Chiedo scusa. Posso rimediare?»
Certo che puoi. «Dipende.. dovrai impegnarti molto. Cos'hai intenzione di fare?»
«Sali e vedrai.»La curiosità mi stava divorando da quando avevo ricevuto il suo messaggio. Ero visibilmente combattuta e mi parve di assistere da spettatrice alla lotta interiore che avveniva dentro di me. Il desiderio combatteva con la razionalità. Alla fine comunque, vinse il primo.
STAI LEGGENDO
The eyes never lie
Short StoryViolante ha diciassette anni. Non ha amici e la sua vita è l'emblema della monotonia. Finchè non incontra lui. Giacomo ha diciott'anni, frequenta l'ultimo anno del liceo scientico ed è considerato il badboy della scuola. Non ha limiti ed è quello ch...