CAPITOLO 13. VIENI QUI SCIMMIONE!

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Scesi al piano inferiore per vedere se i miei genitori fossero tornati dalla festa, ma constatai che a casa non c'era nessuno...ero sola! Iniziavo a sentire l'inferno che si radicava dall'interno del mio corpo. Un dolore forte al cuore, la gola serrata tanto da non permettermi più di respirare...avrei voluto solo urlare...AIUTO!
Corsi al piano di sopra, in quello che era stato il mio rifugio per anni, afferrai il telefono e senza neanche pensarci un po' su, composi il suo numero...Non ne conoscevo ancora il motivo, ma quel ragazzo era l'unico che poteva capire come mi sentivo.
Due squilli dovetti aspettare, prima che rispondesse. Allora era vero, lui avrebbe subito risposto ad ogni mia chiamata.

"Pronto, Bubble! Auguri! Come stai..." Non saprei spiegarvi bene come riuscì a capire che c'era qualcosa che non andava, dato che non avevo ancora parlato, ma c'era riuscito. Di sicuro immaginava che la mia risposta fosse "male".

"Meg...che cosa è successo..?".

Era preoccupato e lo percepivo. Nonostante fossi stata io a chiamarlo, dimenticando completamente che fosse il giorno di Natale, potevo benissimo sentire che si trovava ad una festa. Naturalmente mi ero subito pentita del gesto istintivo che avevo avuto. Non avrei mai voluto rovinargli l'umore.

"Non...a-avrei d-dovuto...m-ma sto male. V-va t-tutto male...!"

Le parole non riuscivano ad uscirmi. I singhiozzi erano talmente forti, che balbettavo a malapena qualcosa di comprensibile. Potevo sembrargli davvero pietosa, ma sapevo che se non avessi parlato con qualcuno mi sarei abbandonata a quei demoni.

"Dove sei?"

"A casa...n-nel letto..."

"Allora rimani lì, cerca di riposare. Qualunque cosa sia successa, nelle tue condizioni attuali, non riusciresti comunque a raccontarmela. Io adesso non ti sento molto bene, c'è troppo chiasso qui. Ti richiamo appena posso, hai capito?".

Gettai con forza il telefono sul letto, non appena riagganciò. Ero talmente nervosa in quel momento che pensai che anche lui, proprio come i miei genitori, fosse troppo impegnato per potermi dedicare un po' del suo tempo. Nessuno aveva voglia di ascoltarmi! Nessuno...
Feci comunque come disse lui. Mi riaddormentai e questa volta sprofondai in un sonno senza sogni.
Durante la nottata, mi ero svegliata più volte. La prima, quando avevo sentito i miei genitori tornare a casa. Probabilmente, durante la giornata, avevano saputo il vero motivo del mio malessere. Di sicuro, i genitori di Lucy avevano chiamato ai miei, per sapere come mi sentivo, dopo quello che era accaduto al cimitero. La seconda, quando il mio stomaco iniziava a reclamare cibo. Nonappena pensai di alzarmi per andare a prendere qualcosa di commestibile in cucina, la bile iniziò a risalirmi, spingendomi a raggiungere, il più veloce possibile, i servizi.
Due ore! Ecco quanto tempo ero rimasta chiusa nel bagno in compagnia di mia madre, intenta a trattenere i miei lunghi capelli, per non farli sporcare. Nonostante il mio malessere, continuavo a pensare che in tutte quelle ore, Josh non mi aveva più richiamata. Infondo, cosa mi aspettavo? Era un periodo festivo e di sicuro era andato da qualche parte insieme alla sua famiglia "perfetta".
Quanto potevo essere orribile in quel momento? Essere gelosa della felicità altrui! Mi compativo da sola.
La notte era trascorsa, nel peggiore dei modi. Finalmente, intravedevo i primi raggi del sole irrompere nella mia stanza e sentivo Rosario, scendere le scale e dirigersi in cucina. Dovevano essere di sicuro le sei, minuto più, minuto meno. Ogni giorno, a quell'ora, lei era solita preparare la colazione. Che brava che era. Non si era mai lamentata del fatto che doveva necessariamente dormire con noi, in quanto, la dependance che occupava, necessitava di un riscaldamento nuovo. Purtroppo per lei, quegl'incoscienti dei miei genitori, ancora non avevano provveduto a farlo riparare.
A parte i rumori culinari, in tutta la casa regnava il silenzio, anche se sapevo che a momenti si sarebbe alzata anche mia madre. Lei era una habitué della sveglia mattutina.
Ad un tratto sentii bussare il campanello della porta principale. Chi era il cafone che alle sei e un quarto del mattino, aveva il coraggio di recarsi a casa delle comuni persone che preferivano dormire?
Mia madre anticipò il suo risveglio e scese al piano inferiore per aprire il nostro ospite. Nonostante la loro discrezione nel non urlare, sentivo voci molto fievoli, scambiarsi alcune domande.

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