Capitolo 7

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La fornace gorgogliò e le lingue di fuoco al suo interno divamparono, quasi accogliendo la ragazza che era entrata nella fucina: «Buongiorno, Vooxi» salutò Marinette, alzando una mano e muovendo le dita, salutando così il meccanico-fabbro del castello e domandandosi se poteva vederla o meno.
«Sei di nuovo qua?» le domandò Vooxi, aumentando un poco le sue fiamme e rischiarando così la stanza nella penombra più assoluta: quasi le sembrava che le lingue di fuoco assumessero la forma di una bocca, ogni volta che la fornace parlava.
«Non c’è altro da fare» commentò Marinette, incassando la testa nelle spalle e sorridendo, prima di abbassare lo sguardo sul piano di lavoro e carezzarlo, osservando le sue dita lasciare scie nella polvere: non aveva ancora compreso se Vooxi non gradiva la sua presenza lì perché intrusa nel suo regno indiscusso o, più semplicemente, solo perché donna.
«Non potresti fare come ogni ragazza e pensare a vestiti, trucchi e tutte quelle robe là?»
«Andresti d’accordo con mia madre» dichiarò la ragazza con un sorriso sulle labbra, lasciando andare liberi i pensieri e immaginando la figura piccola e arrotondata della donna mentre si affaccendava nel negozio di famiglia: da quanti giorni era in quel castello? Quattro? Cinque? Senza contare la giornata di viaggio che le era servita per giungere lì.
Come stava sua madre?
Era preoccupata, non vedendo nessuno tornare a casa?
Si fermò, scuotendo il capo e lasciando andare un sospiro: domanda stupida la sua, era certa che la madre si stesse preoccupando in quell’esatto momento, quasi immaginandola nel negozio, mentre alzava il capo ogni volta che un rumore di cavalli giungeva dalla strada o la porta si apriva, con la speranza del ritorno della figlia e del marito.
Avrebbe dovuto mandarle un messaggio?
La tentazione di scriverle alcune righe era forte, sebbene non avesse assolutamente idea di come poter spedire il messaggio poi a Parigi?
Magari da quelle parti c’era un qualcosa che le avrebbe permesso di…
Beh, comunicare con la madre.
Si picchiettò le dita sulle labbra, appuntandosi mentalmente di chiedere a Tikki delucidazioni in merito, mentre lo sguardo vagava per la stanza: il padrone del maniero l’aveva accompagnata lì due giorni prima, mostrandole quel luogo dimenticato da chiunque e presentandole Vooxi.
Marinette aveva notato come, sia padrone che meccanico, fossero entrambi sbuffanti e le ricordassero un motore a vapore: fumanti, rumorosi e borbottanti. La ragazza sorrise a quel pensiero, prendendo i guanti da lavoro e guardandosi nuovamente attorno, indicando di tanto in tanto qualcosa ed elencando mentalmente il lavoro ancora da fare: la fucina era stata lasciata a sé stessa, dando libero sfogo a polvere e ragnatele che avevano conquistato ogni angolo.
Adrien non le aveva detto niente e lei si era sentita era presa la libertà di sistemare e rendere agibile quel luogo: mettendosi subito al lavoro e tornando la sera al maniero sporca di polvere, con i capelli intrisi di ragnatele e alcuni sbaffi di grasso sul volto; ricordava ancora il singulto inorridito di Tikki il primo giorno, mentre l’osservava disfarsi degli abiti e trovare la giusta ricompensa del suo lavoro in un caldo e fumante bagno profumato.
Il giorno successivo era tornata nella fucina, ben decisa a dare un aspetto decente a quel luogo e nuovamente era tornata alle sue camere in condizioni per nulla consone a una giovane fanciulla come era lei, o almeno così diceva Tikki.
Del padrone di quel posto, invece, non aveva che visto l’ombra ogni volta che rientrava al castello.
Il timore per quella strana bestia aveva lasciato il posto a una certa curiosità: non sembrava intenzionato a ucciderla e, se doveva ammettere, sembrava ben deciso a tenerla a distanza e mandarla via il prima possibile, ricordando poi le parole che aveva detto alla sua servitù, il primo giorno del suo soggiorno in quel luogo.
Forse sotto quell’aspetto mostruoso, non c’era una bestia assetata del sangue – del suo sangue – ma semplicemente qualcuno che…
Beh, aveva un’anima umana.
Sapeva che quel luogo era sotto un qualche incantesimo e che la servitù era stata trasformata in un soprammobili e utensili, perché non poteva essere stato lo stesso per il signore di quel maniero?
Perché poi?
Per quale motivo era stata lanciata una magia simile?
Cosa era successo in quel luogo?
Aveva provato a domandarlo, facendo leva sulla lingua lunga di Plagg o sulla gentilezza di Tikki, ma entrambi avevano sviato le sue domande, senza che lei avesse ciò che voleva: risposte, spiegazioni a quello che la circondava.
Lasciò andare un sospiro pesante, stringendo le dita e assicurandosi la presa sui guanti, avvicinandosi al punto dove si era fermata il giorno precedente e iniziando a tirar fuori le casse piene di strumenti e materiali, afferrandone una e tirandola su con una smorfia in volto, serrando meglio la presa sui manici e sentendo i muscoli della braccia lavorare: «Vooxi?» mormorò, sentendo le fiamme della fornace crepitare e scoppiettare rumorose: «Che cosa vi è successo?»
«Intendete dire perché siamo oggetti?» domandò il meccanico, mentre le fiamme si levavano verso l’alto, piccole lingue rossastre che si scontravano con la pietra annerita: «Non è mio compito informarvi, madamoiselle.»
«Vorrei solo sapere…» la ragazza poggiò la cassa sul piano, scuotendo la testa e scostando una ciocca dal volto, che la infastidiva al quanto: «aiutarvi» mormorò, tenendo lo sguardo sugli oggetti e prendendo un martello: era pesante e il metallo scuro era liscio.
Un martello ben fatto, si ritrovò a pensare, mentre lo provava sul banco e ne constatava la forza.
Lo abbatté una seconda volta, ascoltando il rumore del legno e non prestando attenzione a nessun’altro suono: non certo al passo pesante e meccanico che si stava avvicinando alle sue spalle; colpì il tavolo una terza volta, sobbalzando quando sentì qualcosa sulla sua spalla e, spinta da un istinto che nemmeno sapeva di avere, si voltò e colpì con il martello nell’aria, a vuoto, con gli occhi chiusi: «Volete uccidermi per caso?» ringhiò la voce tagliente come una lama del padrone di quel posto, facendola sussultare nuovamente e aprire le palpebre.
La bestia – Adrien – era davanti a lei e la fissava con le labbra ritratte, le zanne in bella mostra e lo sguardo verde pieno di lampi, mentre dalla gola proveniva un ringhio basso, quasi un avvertimento a lei: «Sì» mormorò la ragazza, accorgendosi della sua risposta e portandosi entrambe le mani alle labbra, un gesto che costò l’abbandonò del martello, questo aiutato dalla forza di gravità si abbandonò a terra, colpendo l’ignara zampa di Adrien, la cui unica colpa era stata quella di trovarsi nella sua traiettoria.
Adrien ululò, alzando l’arto leso e tenendoselo con entrambe le mani, saltellando per la stanza e colpendo i tavoli e i mobili pieni di oggetti metallici e potenzialmente pericolosi: «Mi dispiace» pigolò Marinette, allungando le mani e osservandolo mentre si avvicinava alla fucina, poggiando una mano sulla pietra calda, mentre poggiava poco sicuro la zampa per terra: «Non volevo, lo giuro.»
«Voi volete uccidermi» decretò Adrien, voltandosi verso di lei e fissandola in volto, le parole piene di sicurezza verso le mire omicide della fanciulla: «E dopo che mi avete ucciso cosa farete? Diventerete la padrona di questo luogo?»
«Era solo un martello» borbottò Marinette, facendo un passo verso di lui con le mani protese in avanti; richiuse lentamente le dita di quella sinistra, tenendo disteso solo l’indice e puntandolo verso la mano metallica, poggiata sulla fucina: «E se non togliete alla svelta il vostro arto da lì, penso che avrete metallo fuso al posto delle dita» Adrien voltò il capo, osservando la mano incriminata e tirandola via con velocità, voltandosi poi verso la ragazza e accusandola quasi con il solo sguardo: «Non è stata colpa mia» decretò Marinette, sorridendo appena e posando lo sguardo celeste sull’arto di metallo, voltandosi un poco e ascoltando il rumore degli ingranaggi: «Potete muoverlo?»
«Cosa?»
«Il vostro arto. Potete muoverlo?» Adrien inclinò la testa verso destra, osservando la ragazza e sbattendo le palpebre, scuotendo poi il capo e flettendo l’avambraccio, mentre Marinette rimase in silenzio, aprendo un poco le labbra e annuendo poi con la testa: «Avete bisogno di manutenzione.»
«Prego?»
«La giuntura sta cigolando» disse la ragazza, indicando l’arto e facendo un nuovo passo verso di lui, rimanendo poi ferma sul posto e non avvicinandosi oltre: «Se volete posso farlo io. Ho trovato un’oliera e alcuni attrezzi, mentre mettevo in ordine qui» continuò, voltandosi e abbracciando con lo sguardo la stanza, fermandosi poi sulla bestia: l’osservò respirare a fondo, l’ampio petto che si alzava e poi lasciava andare l’aria, annuendo leggermente e sistemandosi sul primo sgabello a disposizione, poggiando poi il braccio sul tavolo di legno.
Marinette gli regalò un sorriso incerto, prendendo gli attrezzi e avvicinandosi lenta a lui, ponendo il tutto sul piano e allungando poi una mano verso l’arto di metallo, fermandosi a mezz’aria: «Non vi farò del male» mormorò, voltandosi verso il volto rovinato e osservando le iridi verdi, prima che lui acconsentisse con un cenno lento del capo.
Un nuovo sorriso comparve sulle labbra della ragazza, più deciso del precedente, mentre scostava la stoffa lisa e carezzava con i polpastrelli le linee sinuose del ferro: «E’ bellissimo» bisbigliò, alzando la testa e sorridendo allo sguardo che lui le aveva rivolto: sembrava sorpreso, quasi incredulo che potesse piacerle: «E’ il lavoro meraviglioso di un artigiano.»
«E’ il frutto di una maledizione.»
Marinette accolse quella constatazione, annuendo con la testa e iniziando a lavorare sulle giunture, oliandole e aggiustandone la presa: «Maledizione. Tutti qua ne parlate, ma nessuno vuole spiegarmi» mormorò, alzando la testa e sorridendo appena: «In vero, fino a che non sono giunta qua non sapevo neppure che esistessero le maledizioni.»
«E’ stato per colpa mia. Mia e della mia arroganza» Adrien ringhiò quasi quelle parole, stringendo la zampa e tenendo lo sguardo su questa: «Gli altri non sono altro che semplici vittime, costretti a questa vita per un mio errore.»
«Tutti sbagliamo» decretò Marinette, sorridendo appena: «Ma questo non significa che bisogna essere maledetti. Prima di venire qua avevo costruito una macchina e…» si fermò, storcendo le labbra al ricordo di ciò che aveva combinato al negozio di Theo: «…diciamo che ho quasi distrutto il negozio di un mio amico barbiere.»
«Avete la distruzione nel sangue.»
«No, sono umana e quindi tendo a sbagliare. Come tutti. Come voi.»
«Se sbagli con un essere magico non c’è perdono» Adrien socchiuse gli occhi, muovendo le dita della mano metallica e sentendo la ragazza fare forza contro il suo palmo, costringendolo a riaprire le palpebre: «Chiedo venia» mormorò, piegando le labbra in un sorriso incerto di fronte allo sguardo che lei gli aveva appena rivolto: i lampi di rabbia che vi aveva scorto avrebbero incenerito anche Plagg, n’era certo.
«Mi rendete difficile il lavoro» decretò Marinette, scuotendo la testa e tornando la lavoro, senza rialzare la testa finché non ebbe terminato il lavoro: «Ecco fatto» disse trillante, allontanandosi di un passo e osservando Adrien chiudere e riaprire le dita della mano metallica: non c’era più quell’orribile suono cigolante, ma le semplici fusa degli ingranaggi che si muovevano: «Dovreste tenerla ben pulita, sapete? Un bell’arto così, tenuto in quel modo orribile…»
«Non sono molto avvezzo alla meccanica e a tutto il resto» mormorò Adrien, sorridendo e muovendo le dita, come se fossero la prima volta che le vedeva: «Cosa che non si può dire di voi.»
«Finché sarò qui mi occuperò della manutenzione del vostro arto» dichiarò Marinette, alzando lo sguardo e sgranandolo, quando si accorse delle iridi verdi che erano fisse su di lei: «Co-come rin-grossamento…volevo dire ringraziamento per quello che avete fatto.»
«Ringhiarvi contro?»
Le labbra della ragazza si aprirono in un sorriso luminoso, mentre inclinava la testa e una ciocca di capelli le sfiorava la gola scoperta: «E-ra una battuta?» domandò, vedendo l’altro scrollare le spalle e guardarsi interessato attorno: «Grazie per avermi permesso di restare e per quello che fate per mio padre.»
«Mh. Sì» la voce di Adrien le arrivò come un ringhio basso, mentre l’osservava alzarsi e scuotere il capo, le orecchie sulla sommità che si muovevano a scatti e la lunga coda nera che sferzava l’aria: «Posso chiedervi l’onore di cenare con me, stasera? Come ringraziamento per il vostro ringraziamento.»
«Ce-certo» mormorò Marinette, annuendo con la testa e sorridendo appena: «Sarò onorata.»
«Vi assicuro che non vi mangerò.»
«E-ra un’altra battuta?»
«Ho appena scoperto che mi vengono bene, non è vero?»

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Eccoci qua un nuovo aggiornamento de La bella e la bestia (vi ricordo che il prossimo sarà il 9 agosto) e, come al solito, non è che ci sia molto da dire ma anzi, e quindi vi lascio ai ringraziamenti. Ma ovviamente, prima le dovute informazioni di servizio!
Come sempre vi ricordo lei, la pagina facebook, dove potrete restare sempre aggiornati, avere piccole anteprime e leggere i miei deliri.
Vi ricordo che domani ci sarà un nuovo capitolo di Laki Maika'i, venerdì invece sarà il turno del secondo aggiornamento di Miraculous Heroes 3 e sabato toccherà a Scene, con Per la mia famiglia.
Detto questo, come sempre, ci tengo tantissimo a ringraziare tutti voi che leggete, commentate e inserite le mie storie nelle vostre liste.
Grazie di tutto cuore!

La bella e la bestia || Miraculous Fanfiction {Completata}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora