Capitolo 14

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Si lasciò cadere sulla chaise longue, socchiudendo gli occhi e inspirando profondamente, aprendo poi le labbra e lasciando andare l'aria: «Sabrina, preparami una cioccolata calda» ordinò, muovendo con pigrizia una mano nell'aria e non dando peso alla sequela di parole incerte che seguirono.
Il viaggio l'aveva distrutta mente e corpo, facendole sentire il bisogno di tornare nella sua cara Parigi, storcendo le labbra mentre ripensava al fallimento della sua ricerca: aveva fatto la strada fra Parigi e Toulouse almeno due volte, ma di Marinette Dupain-Cheng non c'era nessuna traccia e sembrava che la ragazza fosse scomparsa come per magia.
Dove era?
Dove si era nascosta?
Poggiò la nuca contro la spalliera della poltroncina, inspirando profondamente e lasciando i pensieri liberi: non ricordava il momento esatto in cui aveva iniziato a odiare la meccanica, semplicemente era successo e renderle la vita un inferno era diventato il suo chiodo fisso.
Mise le mani sulla pancia, cominciando a giocherellare con il merletto che decorava il corsetto e ascoltando il rumore delle persone che stavano lavorando nella sua stanza: due valletti erano impegnati a portare dentro i bauli, mentre le cameriere stavano riponendo gli abiti che si era portata dietro quella fallimentare missione.
Era rilassante, quasi confortante, ascoltarli: un sospiro le sfuggì dalle labbra, mentre si sistemava meglio sulla chaise longue e lasciandosi ammaliare dalla promessa del riposo; voltò la tesa di lato, passandosi la lingua sulle labbra e scivolando con velocità fra le braccia accoglienti del sonno.
«Chloé! Chloé! Chloé!»
La voce persistente di Sabrina la strappò quasi immediatamente da dormiveglia, facendole aprire gli occhi e fissare contrariata l'altra: «Che c'è?» domandò con stizza, osservando le mani vuote della ragazza e poi il volto: «Spero che tu abbia una buona ragione per avermi disturbato.»
Sabrina annuì con il capo, talmente vigorosamente che gli occhiali tondi le scivolarono sul naso e quasi le caddero per terra: «Allora?» domandò Chloé, mettendosi seduta e rimanendo in attesa, portandosi una mano al capo e controllando che l'acconciatura fosse ancora in ordine.
«Ho appena saputo da una delle cuoche che la figlia di Sabine è tornata a casa.»
«La figlia di Sabine?»
«Marinette Dupain-Cheng.»
Chloé sbatté le palpebre, scuotendo appena il capo e facendo schioccare le labbra: «Mi stai dicendo che, mentre io ero a giro per il mondo, la meccanica era tornata a Parigi?»
Sabrina annuì per la seconda volta con la testa, osservando l'altra alzarsi e pestare con forza un piede per terra: «Che vuoi fare, Chloé?» domandò, tirandosi su anche lei e osservando l'altra marciare verso la porta della camera, ignorando uno dei valletti che stava portando un baule dentro e costringendolo a retrocedere.
«Che domande? Vado in quel buco di negozio. Fai preparare la carrozza.»
«Sì, Chloé.»

Plagg osservò la stanza immersa nel buio, ringraziando la sorte che lo aveva trasformato in un candelabro, colpì i propri bracci e accese gli stoppini delle candele che aveva al posto delle mani, saltellando all'interno e osservando il giovane sdraiato sul letto.
Adrien sembrava aver perso ogni forza e, forse perché collegato al giovane, anche il castello sembrava risentirne: non c'era più quella luce che aveva dominato nelle stanze mentre madamoiselle Marinette era lì, scacciata dalle tenebre che sembravano diventare più fitte ogni giorno che passava.
Cinque giorni.
Questo era il tempo trascorso da quando la ragazza, quella giusta, quella che avrebbe rotto quell'incantesimo nefasto, se n'era andata: «Padrone…» mormorò, avvicinandosi al letto e osservando la coperta logora, ricordando com'era un tempo: prezioso broccato rosso, ricamato d'oro che riprendeva le tende del baldacchino e quelle delle finestre.
Era sempre stata una camera bellissima, sontuosa, il rifugio di quel bambino cresciuto nella bambagia, mentre ora era la tana di una bestia ferita, con il cuore in mille pezzi.
«Lasciami stare, Plagg.»
«Padrone, io…» il candelabro si fermò, cercando le parole e non trovando assolutamente niente da dire: «…è stata colpa nostra, padrone. Avremmo dovuto dire fin da subito la verità…»
«Io sono vostro complice. Nemmeno io le ho detto qualcosa e ho lasciato che vivesse qui, preoccupandosi senza motivo e…»
«Ma padrone…»
«E ora l'ho persa. Per sempre» Adrien si girò nel letto, voltandosi verso il candelabro e fissandolo: «Mi dispiace solo che in questa maledizione siate coinvolti anche voi: io diventerò la bestia che sono, ma voi…»
Plagg inspirò, osservando la rosa che dominava una parte della camera, stranamente rilucente e con ancora pochi petali attaccati allo stelo: ancora tre petali e poi tutto sarebbe finito, la maledizione sarebbe diventata eterna e avrebbe trasformato tutti loro in mobili, perdendo ogni forma di vita.
Sarebbero stati ciò in cui erano stati trasformati e nulla più, esattamente come il loro padrone.
«Padrone, voi l'amate e lei vi ama.»
«A quanto pare no, perché come vedi, sono ancora in questo fantastico aspetto: in fondo il metallo e la carne è una combinazione di moda quest'anno, no? Mettici un po' di…boh, qualsiasi cosa sono questi affari che ho in faccia, aggiungi un po' di piaghe e potrei tranquillamente essere il modello di quest'anno.»
«La vostra lingua, in questi casi, è veramente fuori luogo.»
«Chissà da chi ho imparato.»
«La rosa non ha perso ancora tutti i petali…»
«Ma presto accadrà.»
Plagg inspirò, avvicinandosi a una delle colonnine del letto e sfruttandola per scalare la struttura e raggiungere così il ragazzo; balzò sul materasso, avvicinandosi al volto del giovane e fissandolo: «C'è sempre speranza, padrone. Sempre. Fino all'ultimo secondo. Soprattutto in qualcosa di così delicato, effimero e imprevisto come l'amore: voi l'amate, lo vedo da come vi siete ridotto dopo che Marinette se n'è andata; e anche lei prova i vostri stessi sentimenti, l'ho visto nei suoi occhi, nel suo sguardo, ogni volta che si posavano su di voi. Solo un cieco o un idiota non avrebbe compreso ciò, e propendo per il fatto che voi appartenente alla seconda categoria» si fermò, osservando lo sguardo verde del giovane e indicando con uno dei bracci la rosa: «Ci sono ancora tre petali, c'è ancora una speranza. Non abbattetevi, vi prego. Lottate. Fatelo per Marinette: volete veramente farle perdere l'amore della sua vita?»
«Ora mi ricordo perché eri tu quello che dirigeva questa casa, prima di tutto questo…» mormorò Adrien, piegando appena le labbra in un sorriso: «La tua parlantina è sempre stata così dannatamente…»
«Sublime. Non è vero?»
«Fastidiosa.»
«Padrone, sono solo un povero candelabro, nonché voce della verità.»
«Tu sei una spina nel fianco, venuto al mondo apposta per farmi ammattire.»
«Vorrei ricordarvi, padrone, che voi siete nato dopo di me, perciò posso tranquillamente dire che voi siete venuto al mondo per far ammattire me e visto le vostre inclinazioni da piccolo…beh, sì. Eravate decisamente insopportabile: dio solo sa quante volte Tikki mi ha fermato, mentre cercavo di affogarvi nel lago che si trovava nel cortile posteriore.»
Adrien sospirò, scuotendo la testa e afferrando il candelabro, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla rosa, notando come le tenebre si erano un poco dissolte rispetto a prima: «Grazie, Plagg» mormorò, tenendo lo sguardo sul fiore: «Hai cercato di scuotermi e ci sei riuscito…»
«So come trattare i miei polli. E vi prego di lasciarmi andare, sono capace di muovermi da solo.»
«Lei mi ama. Ne sei certo?»
«Ma la maledizione vi ha reso anche cieco? No, perché è l'unico modo per capire la vostra ignoranza: se le chiedevate di sposarla, prima che succedesse quella cosetta della bugia sul padre, sono certo che vi rispondeva sì e, a quest'ora, eravate a rotol…Padrone. Ho una curiosità.»
«Cosa?»
«E' un quesito curioso che mi sono sempre domandato in tutti questi anni.»
«Ovvero?»
«Ma là sotto siete di carne o di metallo?»
«Io ti fondo. Fosse l'ultima cosa che faccio in vita mia!»

La bella e la bestia || Miraculous Fanfiction {Completata}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora