-Courtney-
Era lì. In piedi davanti a me. Il manico del coltello ancora conficcato nella sua schiena. Mi stava guardando, i suoi occhi scuri come l'ebano fissi nei miei. Quel senso di sicurezza che aveva sempre emanato era sparito, rimpiazzato dal gelo. Si avvicinò a passi lenti ma sicuri, finché non sentii il suo respiro sul mio volto. Allungò una mano e la strinse intorno al mio collo. Il panico mi assalì, tentai di combattere tirandogli pugni ovunque io potessi, ma era come colpire una statua di marmo. Le mie forze mi stavano abbandonando, dovevo resistere. Piccoli puntini neri mi appannarono la vista, aprii la bocca per urlare. Non uscì altro che un verso strozzato. Chiudi gli occhi.
-"È colpa tua."-
Mi svegliai di soprassalto, Colin dormiva ancora al mio fianco. L'incubo era svanito, tuttavia il senso di disagio era ancora presente. Non avrei ripreso sonno, tanto valeva alzarsi. L'orologio segnava le 3:37. Uscii in corridoio per tornare nella mia stanza, tutto era buio, proprio come i suoi occhi. Mi mancava, Evan era stata la mia vera famiglia per quasi tre anni. Con lui ero a mio agio, potevo dire qualsiasi cosa mi passasse per la mente senza alcun ripensamento. Mi capiva. Avevo passato anni a rinchiudermi in me stessa, mandano a puttane amicizie ben più durature della nostra relazione. "Sto bene così" mi ripetevo, una specie di mantra da ripetere come consolazione. Iniziai a non crederci più neanch'io. Ero immersa nei miei pensieri, a rivivere i mei spettri del passato, tanto che non mi accorsi del vociferare in lontananza. Parole incomprensibili poiché coperte dal rumore di una barella. Corsi fino a raggiungere il termine del corridoio, sporsi in fuori per vedere ciò che stava accadendo. Due inservienti stavano spingendo una barella, su di essa vi era adagiato un corpo coperto da un lenzuolo bianco macchiato di sangue. Il cuore mi iniziò a battere ad un ritmo frenetico. Non ci pensai due volte e mi misi a seguirli. Svoltai l'angolo ma era sparita. Rimasi in silenzio in mezzo al nulla e poi sentii di nuovo dei passi. Avevano varcato una porta a due battenti azzurrina, tipiche degli ospedali. La bloccai con un piede prima che si chiudesse per poterci sbirciare dentro, non entrai. La prima cosa che notai fu la somiglianza ad una sala operatoria. Pareti bianche e scarsi mobili in acciaio, due sgabelli, un tavolo ed una lampada fissata al soffitto sopra di esso.
La seconda: le urla. Capii che la stanza era insonorizzata, per questo al di fuori era impossibile sentire le grida dell'uomo legato al tavolo operatorio al suo interno. Gli inservienti posizionarono la barella nell'angolo a destra, si avvicinarono poi al paziente infilandosi dei guanti in lattice. Uno dei due si mise a rovistare tra gli strumenti in mobiletto basso lì vicino e ne estrasse un trapano, che passò all'altro. Il suo ronzio meccanico era appena percettibile sotto le urla dell'uomo che si dimenava inutilmente al punto tale che i suoi polsi iniziarono a grondare sangue. Ero inchiodata, combattuta tra l'idea di tentare di salvarlo facendomi uccidere o scappare il più lontano possibile. Mi conficcai le unghie nei palmi per poter pensare lucidamente. E corsi, corsi come non ebbi mai fatto, appena la punta del trapano toccò la fronte della vittima.Continuai a rigirarmi nel mio letto. Quella lugubre scena ancora impressa nella mia mente. Le lenzuola erano ormai un groviglio ai miei piedi, la luce del lampione in giardino penetrava dalla mia finestra. Decisi di affacciarmici. Le nuvole dense e nere nascondevano le stelle e la luna, che formava un piccolo alone luminoso dietro di esse. Seduto sulla panchina c'era lui, l'unico a cui avrei potuto chiedere aiuto. L'uomo che si è dimostrato mio amico sin dal mio arrivo. Stava fissando il nulla con lo sguardo perso nel vuoto e le spalle piegate in avanti. Lo chiamai un paio di volte prima che riuscisse a sentirmi ed infine si girò. Gli occhi di Matt erano leggermente gonfi e arrossati, gli feci cenno di raggiungermi, lanciò uno sguardo confuso ma poi salì in camera mia.
-"Courtney, è successo qualcosa?"-
-"Io... stavo camminando. Ho visto una barella... lo so che non dovevo, ma l'ho seguita...-" e raccontai tutto ciò che avevo visto. Lacrime calde solcarono il mio viso, incontrollabili. Diedi sfogo a tutte le mie paure, ai sentimenti repressi. Volevo andarmene, non potevo restare in quel posto un secondo di più. Matt mi abbracciò, accarezzandomi i capelli.
-"Non ti preoccupare, vado a denunciare tutto alla polizia. Adesso. Starete al sicuro. Te lo giuro"-
Mi strinse più forte, poi mi lasciò andare.
-"Grazie"- sussurrai.
E se ne andò.
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L'urlo del silenzio
HororUrlavo. Urlavo a squarcia gola. Nessuno riusciva a sentirmi. Ero sola, di nuovo.