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Le mie orecchie odono solo il filo tangente di lamenti soffocanti che ormai riesco a percepire da un anno a questa parte.
Il mio subconscio smette di dormire nella quiete quando lo scricchiolare del letto sul lato destro viene mosso.  Ed è ancora lui che ritorna il giorno seguente dal suo lavoro.
Un lavoro che vuole nascondere ma che la sottoscritta ormai da svariati mesi conosce. Il mio sonno finto ha sempre la meglio in queste circostanze.

“Perdonami se puoi farlo” sussurra a pochi centimentri dal mio orecchio.

Certo talmente che ho perdonato le sue bravate che tra meno di un’ora salirò su un meraviglioso aereo che mi porterà lontano da questo mondo e lontano da lui.

L’alba fa il suo ingresso nella piccola fessura della finestra e pensare che io sono sveglia prima di essa ma il destino si è svegliato un quarto d’ora prima di me e inizierà a scrivere passo dopo passo il mio nuovo inizio.
Alzarsi dal letto con la consapevolezza che al mio risveglio Marco sarà arrabbiato non trovandomi più nella sua vita non lo accetterà e farà di tutto pur di ritrovarmi, ma non voglio più restare con una persona che omette tutto,  ho concesso a lui i miei migliori anni con la bravata fatta quattro anni fa.
Guardandolo mentre dorme beatamente con i suoi demoni non mi fa pentire di tale scelta compiuta alcuni anni fa,  perché la rifarei altre mille volte ma non avrei mai pensato che qualcosa nella nostra relazione scombussolasse quella, linea sottilissima che appunto per colpa delle sue bugie ha fatto spezzare.
Li accarezzo delicatamente il volto per l’ultima volta: “Soltando Dio può perdonare”.

Avendo sussurrato quelle parole metto un punto deciso a questa storia.






Prendo tutte le mie valige che alcuni giorni prima preparai e lascio quel appartamento che era la fonte della mia felicità per diventare un covo di vie desolate.
Come un po’ la, selva oscura in cui Dante si smarrisce e mi sento un po' come smarrita perché ritornato nel mio paese non so se quella persona sarà felice di vedermi. Sono passati pochi anni ma per me sembra essere passata un’intera vita da, quando ho fatto ciò che il cuore in quel momento voleva, ovvero lasciare i i  miei più cari affetti per seguire il mio amore fino a qui la mia ormai vecchia bueno Aires, col magone che cresce a dismisura chiamo un taxi lasciando l’indirizzo e l’ora in cui dovrà portarmi via da qui.
I minuti non sembrano passare in fretta e ogni tanto adocchio la piccola finestrella ancora oscurata dalla tapparella di un color avorio che si distingue da ogni abitazione possibile ho l’ansia a furia di guardare ogni due per tre l’orologio e quella finestra dell’orrore.
Si perché se Marco si sveglia mi impedirà di fare una nuova bravata ma questa volta giusta, come la prima d’altronde.  Lui non capirebbe il mio comportamento e io non voglio dargli mondo di dirgli di aver scoperto cosa lo trattiene fino alle quattro/cinque del mattino sarebbe troppo perché alla fine ogni minimo particolare dovrà uscire dalla sua bocca e io non voglio più ascoltare.
Persa nei miei pensieri un suono rombante mi fa solbazzare facendo cadere la mia valigia dalla paura.
La macchina è parcheggiata in modo trasandato ma non voglio iniziare con la mia diplomazia su come si parcheggia o quali sono i modi, il mio intento è quello di scappare,  andare via.
Apro la portiera del passeggero mentre, l’autista garbatamente poggia lo valigia nell’apposito abitacolo, guardo un’ultima volta quella casa che ha lasciato un vuoto incolmabile in me,  che chiudendo lo sportello chiudo con tutto.

“Buenos días” farfuglia l’autista

“Buenos días” sussurro per gentilezza, ma la verità è che non ho la minima voglia di parlare ma mi tocca perché la persona qui alla mia sinistra deve avere delle indicazioni su dove portarmi.

“Donde quiere ir, senorita? “

“aeropuerto, por favor”.

Ed è qui che inizia il mio nuovo viaggio, attraverso il finestrino ammiro tutta la bellezza di questa immensa capitale, un posto straordinario.
Immersa, nei miei pensieri l’autista mette fine alla sua corsa per dar inizio alla mia.
Uscendo dall’auto e prendendo il mio bagaglio l’autista mi osserva da capo a piede e la cosa mi infastidisce terribilmente,  per poi sussurrare “buen viaje, senorita” e sfreccia con la sua auto in coda con le altre.
Un piccolo sospiro di sollievo e angoscia fuori esce dalle mie labbra.

I passeggeri sono in continuo movimento,  arrivo al terminale per fare alcuni controlli con il biglietto.
La signorina dietro al bancone ha un aria afflitta di certo sono ore che non dorme,  mentre adocchia il mio biglietto mi sussurra di sbrigarmi perché il mio volo è in partenza.

Prendo con non grazia il biglietto e proseguo la mia dritta via con un fiatone esagerato mentre le hostess mi salutano in continuazione.  Ma non ho tempo di perdermi in chiacchiere devo salire sul quel volo.

I passi accellerano quando la voce dal megafono annuncia che mancano tre minuti per l’imbarco Buenos Aires-Italia corro il più in fretta possibile urtando tutti.

Arrivo all’ultimo controllo e la signorina mi incita a proseguire per l’ultimo tratto,  come vedo quel enorme aereo quel magone che era cresciuto in precedenza divampa peggio di una piena.

Tra le lacrime che hanno sapore di rinascita esce flebilmente dalle mie labbra: “Italia sto arrivando”

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