Prologo

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Correre. Correre senza fermarsi un attimo; senza badare al cuore che batte furiosamente nel petto, al sangue che pulsa velocemente nelle tue vene, alla gola che brucia ad ogni respiro e alle gambe che in ogni momento potrebbero cedere. Correre senza pensare, senza mai voltarsi.    Nella mia vita, l'ho fatto così tante volte da essere diventata un'abitudine. Ed era proprio quello che stavo facendo quella notte.                                                                                                                                         Gli alberi del bosco si innalzavano intorno a me come silenziosi guardiani, mentre i miei piedi atterravano leggeri sulle foglie secche. Nonostante il buio, io mi muovevo tranquilla, veloce. Riconoscevo ogni curva, ogni pianta, ogni oggetto. I miei occhi avevano una vista molto più acuta al buio. Schivai un arbusto pinoso nel mezzo di una radura. Ma, anche se percepivo la fatica molto meno delle persone comuni, ansimavo e i muscoli erano estremamente doloranti. Ogni fibra del mio corpo pareva bruciare. Mi nascosi dietro ad un albero di grandi dimensioni e appoggiai la schiena al tronco robusto, cercando di calmarmi. Guardai in alto il cielo nero pece  e i rami contorti che si stagliavano sopra di me come un'oscura silouhette. Strinsi con forza la spada che tenevo nella mano destra e le gemme azzurro-blu incastonate nell'impugnatura brillarono nell'oscurità. Ero pronta.                  Un fruscio e uno scricchiolio appena percepibili. Quel bestione poteva essere il doppio di me, ma non era certo più leggero. Mi sporsi dal tronco aguzzando l'udito. Le mie dita percorsero i segni sulla corteccia irregolare. La chimera era nella radura. Il pelo nero come la notte intorno riluceva d'argento alla luce della luna. Potevo contastare i guizzi potenti di quella sagoma. I suoi occhi gialli come oro liquido erano l'unica cosa luminosa di quella foresta. Era un animale immenso e maestoso. Peccato che volesse uccidermi. Sulla schiena di quell'enorme pantera, intravidi il profilo di due grandi ali menbranose. Mi rilassai facendo confluire la forza dentro di me. L'istinto prendeva il sopravvento. Ignorai le mani tremanti e il sudore sulla fronte.         La chimera cominciò a guardarsi intorno. Per un attimo, mi sembrò che i suoi occhi si soffermassero più su di me che ero completamente mimetizzata. L'animale dimenò la lunga coda ed emise un roco gorgoglio. Mi appiattii ancora di più dietro l'albero. Non volevo di nuovo fare del male, anzi a dire la verità non l'avevo mai voluto. Ma dovevo difendere me e la mia famiglia, non potevo tirarmi indietro.                         La chimera volse il capo verso un punto indistinto del bosco distraendosi. Quello era il momento giusto. Con un urlo, balzai  addosso alla creatura e la trafissi con la spada. La lama penetrò nel suo addome con estrema facilità. Per un attimo, un mio antico istinto gioì. La chimera ruggì e prese a dimenarsi. Io che ero proprio aggrappata alla sua schiena, fui scaraventata a terra. Picchiai la testa e non feci in tempo a rialzarmi. La chimera mi saltò addosso. I suoi occhi luminosi incontrarono i miei, quando un sibilo e un bruciore incredibile si propagarono dal braccio al corpo. Gridai di dolore e, con una forza sovrumana spinsi via l'animale colpendolo con un pugno sul muso. La chimera indietreggiò stordita. Io ignorando il dolore, tirai fuori dalla tasca un pugnale. Senza aspettare, mi avventai contro la chimera colpendola con l'arma al collo. L'animale ruggì di nuovo. Mi morì il cuore percependo la sua impotenza. Il sangue sgorgava a fiotti dalla ferita al collo e dalla ferita sulla schiena. La chimera mugolò e si accasciò a terra. Rantolava.

Osservai immobile quella scena, mentre il mio respiro tornava regolare e il calore che mi avvolgeva svaniva. Mi portai una mano al braccio e gemetti. Gli artigli affilati della chimera avevano lasciato tre profondi solchi nella pelle. Un rivolo di sangue caldo scorreva dalla spalla all'avambraccio. Merda. Il bruciore era davvero insopportabile. Dovevo medicare i graffi subito, prima che si infettassero o il tutto peggiorasse.                                Sciolsi il foulard scuro che fino ad allora mi aveva coperto la bocca (per limitare la presenza del mio respiro) e me lo avvolsi intorno al braccio sinistro. Dopodiché recuperai la spada che era caduta a terra. La sua lama insanguinata mi fece rabbrividire. Pulii il pugnale e me lo rimisi nella tasca dei jeans.  Un guaito sommesso. La chimera ad occhi chiusi era distesa immobile, le ali ripiegate. Mi calai di nuovo il cappuccio della felpa nera sul volto e me ne andai a passo svelto, reggendomi la spalla ferita. Dovevo svignarmela. Quella chimera, durante il suo sonnellino, si sarebbe autoguarita e quando si sarebbe svegliata (cioé in poco tempo), avrebbe di nuovo inseguito la sua preda. Cioé io.

Provai a correre, ma il dolore mi fece desistere da quell'idea. Dovevo far perdere le mie tracce. E subito. La luna illuminava quella mia fuga disperata, mentre i miei sensi erano completamente allerta. Non dovevo attirare l'attenzione, specialmente se nemica. Gli alberi si diradarono e comparve una strada asfaltata che rifletteva la luce dorata dei lampioni. Aumentai l'andatura, decisa. Seguii per un po' il ciglio della strada, finché non comparvero le prime case e un marciapiede.

Era ora. Alla mia destra, apparì un'abitazione diroccata. Percorsi il sentiero acciottolato coperto di calcinacci. Sull'unica parete integra, poggiai il palmo. Al centro, comparve un luminoso otto in orizzontale: il simbolo dell'infinito. Mi concentrai e la mia mano affondò nel simbolo. Mi mossi e attraversai la parete come fosse di acqua. Mi ritrovai nel giardino di casa mia. Finalmente al sicuro.

Fortunatamente non c'era nessuno. Mia madre era via per lavoro, mia sorella era dagli zii. La mamma non doveva sapere delle mie scorribande notturne. Aveva paura che mi facessero del male. Solo i miei zii ne erano a conoscenza, ma erano loro che mi avevano allenato.

Salii sulla quercia. Nonostante il dolore al braccio e la spada in mano, mi arrampicai sul primo ramo e via via sempre più in alto. Lo so, sono una ragazza anormale. Mi misi a cavalcioni sul ramo più grande, vicino al balcone della mia stanza. Con un salto, atterrai sulla balaustra e scesi. Aprii la porta-finestra che avevo lasciato socchiusa. Un lieve cigolio accompagnò la mia entrata, ma era un rumore troppo lieve perché un umano potesse sentirlo. La luce della luna inondava, anche lì, la camera. Spalancai le ante dell'armadio e in un fondo nascosto da alcune scatole, vi riposi la spada e il pugnale. Avrei pensato il giorno dopo a togliere il sangue secco. Mi tolsi la felpa nera e stavo per prendere il disinfettante, quando l'ennesimo pensiero mi bloccò.

Sono un'assassina? Anche se sembra strano, io non avevo mai ucciso. Le creature soprannaturali, che spesso mi attaccavano, di solito erano troppo potenti per essere ammazzate. La domanda solita era chi le mandava? Non ne avevo idea. So solo che, quando in casa ero sola, facevo un giro di ricognizione nella zona e ogni tanto trovavo veramente animali leggendari che mi stavano dando la caccia. Forse perché io ero una loro possibile cacciatrice. Fatto sta, che c'era  comunque qualcuno a cui i ragazzi speciali come me non andavano a genio. Era da quando avevo 14 anni, che mi addestravo per difendermi anche senza l'aiuto degli altri. Ed era da due anni, che contro il volere di mia madre tenevo lontani da casa nostra i mostri pericolosi. Avevo scoperto di avere una dote naturale per il combattimento. Era stata una mia iniziativa la ricognizione. Mia madre non poteva opporsi più di tanto. Era il mio destino, io ero nata per lottare. Lo avevo scritto nel DNA. Lei lo aveva sempre saputo, fin da quando aveva accolto nel suo cuore e nella sua casa un dio.

Sono una valchiria e nessuno può negare la mia natura.

A volte, odiavo essere quello che ero ma... questa ero io. Non potevo cambiare più di tanto.

Mentre stavo per entrare nel mio bagno personale, la porta si aprì di scatto.

- ICELYNN DANA FAIRWALES! COSA DIAVOLO STAI FACENDO!!!!-        Ahia, il mio nome di battesimo.

Mi voltai. Mia madre era sulla porta paonazza di rabbia. Riuscivo nel buio totale ad osservarla benissimo.

Cazzo. Sarebbe stato meglio affrontare un branco di demoni assassini.

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