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Ciao!
Mi presento, sono (t/n) (t/c). Ora vi racconterò la mia storia.
Mettetevi comodi e sgranocchiate qualcosa.
Pronti?
Ecco la storia della mia vita...

Avevo 18 anni appena compiuti, vivevo ancora con i miei e stavo risparmiando un bel po' per avere una casa tutta mia.
Lavoravo al bar del Village Shopping Center, catena di negozi vicino a dove abitavo.
In quella cittadina si sentiva spesso parlare di omicidi che collegavano tutti ad un solo ed unico killer.
Squartava le sue vittime e incideva su di loro un sorriso, come per lasciare la sua firma.
Nessuno era tranquillo, però non potevamo fare a meno di restare lì.
Chiudevamo le finestre, avevamo gli antifurto ovunque ed il telefono sempre a portata di mano per chiamare la polizia.
Ed è così che inizia la storia, tutto da quel giorno...

-'Giorno.- Dissi ancora assonnata ai miei, che come al solito erano in conflitto reciprocamente.
-'Giorno.- Mi risposero contemporaneamente.
-Che hai intenzione di fare oggi?- Chiese mia madre, come se non sapesse già la risposta.
-Il solito. Scuola, pranzo, compiti e cena. Oggi non vado a lavoro, pomeriggio libero.
-Allora a stasera.- Disse mio padre, senza contatto visivo, seduto a tavola leggendo il giornale.
Sospirai.
-Io vado.
Aprii la porta d'ingresso ed uscii chiudendomela alle spalle.
Non sopportavo la mia famiglia.
I miei sin da quando ero piccola litigavano e mettevano in mezzo anche me. Papà picchiava mamma e lei picchiava me. Le cose poi sembravano essersi calmate, ma comunque si notava la tensione nell'aria.
Presi il pullman per andare a scuola, un liceo molto apprezzato dalle mie parti e di conseguenza pieno di figli di papà e leccaculo.
Mi sedetti da sola in un posto vicino al finestrino guardando la serie di case passarmi davanti agli occhi.
-Guardate chi c'è, (t/c)! Allora cara, ancora ad ascoltare quella roba?- Joey Smith, non la sopportavo. Una volta mi sorprese ad ascoltare musica nel cortile della scuola, mi prese le cuffie di mano e criticò in modo offensivo ciò che stavo ascoltando. La classica puttanella della scuola senza cervello, lei è una delle persone più infantili che abbia mai conosciuto.
-Ma ciao Joey, sì sto ancora ascoltando la mia "orrenda musica". E tu invece? Occupi ancora l'ultimo bagno per la tua scopata giornaliera?
-Dovresti farlo anche tu, sai? Almeno dai un po' di vita a quella vecchietta là sotto.
Le mostrai la miglior faccia sarcastica da "wow, complimenti, che bella battuta" e se ne andò a sedersi sui posti in fondo con la sua banda di oche starnazzanti.
Dopo un po' arrivammo a scuola e tutti gli studenti si divisero tra le varie classi.
Andai nella mia, la 5B, con alla prima ora filosofia.
Più il tempo passava e più mi sentivo strana.
Sentivo dei sussurri alle mie spalle, un ronzio nelle orecchie, sentivo tutto il mio corpo tremare dai brividi ed il sudore freddo e la voglia di prendere qualcosa, quella cosa, dal mio zaino.
Cercai di calmarmi, almeno di resistere fino al suono di fine lezioni.
Per mia fortuna quel momento non tardò ad arrivare ed io potei schizzare fuori dalla classe e finalmente godermi la solitudine nel cortile della scuola.
Aprii il mio caro ed amato zaino e presi le cuffie, il telefono e quella cosa:
Il pugnale che qualche sera prima avevo preso dalla cucina.
Considerati i tanti omicidi avevo deciso di portarlo sempre con me per autodifesa. Mi faceva stare più tranquilla nonostante fosse un'idea a dir poco malsana, come se fossi una malata di mente idiota convinta di poter salvare il mondo con un coltellino da formaggi.
Ma allora non sapevo che cosa sarebbe successo quella dannata sera...
Ero ancora sul muretto del cortile, ascoltando la mia canzone preferita; maneggiavo il pugnale immedesimandomi in un piccolo eroe che combatteva contro un mostro, io e la fissa per gli anime.
Improvvisamente passò davanti a me Joey con il suo gruppo, ridendo e scherzando di non si sa che cosa.
Appena li notai nascosi il pugnale dietro la mia schiena col cuore in gola.
-(T/c), che ci fai ancora qui?- Chiese lei ridendo.
-Stavo per chiederti la stessa identica cosa.
Proprio in quel momento alle spalle del gruppo notai una figura, nascosta dietro gli alberi, dalle fattezze umane ma molto più alta e dal volto completamente bianco.
Le voci nella testa iniziavano a girare sempre di più e stavo per perdere il controllo.
-Senza parole (t/c)? Sarà che hai un cazzo di traverso? Visto, non è poi così male.
Mi girai verso Joey, con tutti i suoi amici che lanciavano frecciatine.
-Probabilmente starà pensando a come fare il suo prossimo pentacolo.- Disse uno ridendo.
-Sarà che si è ricordata che ha lasciato le lamette in bella vista.- Affermava un'altra, sempre ridendo vicino alle sue compagne.
-Almeno non sono così zoccola da farmi mio padre, non come te Joey. Tu ti faresti chiunque.- Lo ammetto, questa era davvero cattiva. Tempo prima avevo sentito parlare dei ragazzi sulla sua storia: Joy subiva abusi sessuali da quando era nella prima fase della pubertà dal padre alcolizzato, solo più tardi era andata a vivere dalla ricca sfondata madre ed il suo patrigno. Probabilmente era a causa del suo passato che saltava da un uomo all'altro senza mai nulla di affettivo in mezzo. Però non ho mai provato pietà per lei e mai la proverò, odio quando le persone si comportano male nei confronti di una persona finché non scoprono qualcosa di triste su di essa.
Joey smise di ridere e si arrabbiò moltissimo. Fece partire un ceffone che mi colpì così forte che lasciò il segno delle 5 dita stampato sulla mia guancia sinistra.
Fu un attimo, nel mentre che il colpo bruciava il ronzio si fece sempre più forte e l'autocontrollo andò al diavolo.
Le voci in testa continuavano a dirmi "colpisci".
Un secondo, neanche il tempo di respirare che presi il pugnale e tagliai la spalla sinistra di Joey.
Il sangue schizzò sulla sua maglietta ed una gocciolina colpì anche il mio volto.
Era lì, mi fissava con gli occhi spalancati, tenne ferma la mano sulla sua ferita inflittale da me.
Rimase a bocca aperta finché una sua amica non la smosse.
-Su, andiamocene. Questa è una pazza...
Girarono i tacchi e se ne andarono via.
Il brusio cessò, le voci scomparvero e con loro anche la misteriosa figura.
Mi sedetti sul muretto, avevo ancora il pugnale stretto in mano. Poggiai i gomiti sulle ginocchia ed abbassai la testa. Mi resi conto di cosa fosse successo ed iniziai ad avere un attacco di panico.
Uno di quelli che non potevo fermare. L'unica cosa che feci fu quella di respirare profondamente, con il battito cardiaco accelerato ed il sudore freddo che correva lungo la schiena.
La gola si fece secca ed iniziai a tremare facendo cadere il pugnale a terra.
Mi misi le mani nei capelli ed iniziai ad emettere un suono simile ad un ringhio, cosa che facevo ogni volta che cercavo di trattenere la rabbia.
Quel giorno tornai a casa a piedi, non presi il bus, e mentre camminavo mi sentivo sempre più fuori di me. Non sapevo perché l'avessi fatto, ma ogni volta che mi istigava mi veniva voglia di strozzarla con le mie stesse mani.
C'era mancato poco a sgozzarla, se non fossi stata seduta l'avrei colpita alla gola uccidendola.
Tra i tanti pensieri e le varie preoccupazioni arrivai a casa.
Presi le chiavi ed aprii la porta.
Mi ritrovai davanti mio padre incazzato nero.
-Perchè sei arrivara tardi? Sono le 16, è possibile che il bus abbia ritardato di due ore!?
Dalla cucina sentii mia madre urlare nei confronti di mio padre.
-Smettila di prendertela con tua figlia!
-Sta zitta donna!
Raggiunse mia madre lasciandomi campo libero.
Con la consapevolezza di un litigio in arrivo da parte dei due, corsi in camera mia sbattendomi la porta alle spalle.
Non avevo affatto fame in quel momento, volevo solo stare da sola in santa pace.
Presi le cuffie e misi ad alto volume la canzone più dura che avevo.
Tra le varie melodie che passarono mi addormentai, sperando che al mio risveglio tutto fosse più calmo.
Mi risvegliai intorno alle 22, avevo dormito per un bel po'. La sera precedente non ero riuscita a dormire per i troppi incubi.
Sentii un tonfo ed un rumore di vetri rotti provenire da un'altra stanza; sobbalzai nel letto pensando alle possibili varianti di ciò che, ormai, era certo. Presi il pugnale per qualsiasi evenienza e corsi verso la cucina scoprendo che i miei stavano per l'ennesima volta litigando.
Mio padre aveva lanciato un bicchiere verso mia madre che, per schivarlo, si era buttata a terra.
Io ero davanti alla porta, ad assistere ancora una volta a quell'orrore.
Avevo gli occhi sgranati, ero a bocca aperta, osservavo inerme la scena di un uomo che offende la moglie tirandola dai capelli.
Iniziai a parlare con un tono di voce così bassa da sembrare che parlassi con me stessa.
-Basta, smettetela. Non litigate più. Vi prego...
Il ronzio si fece ancora più forte e le voci mi dicevano "fallo".
FALLO!
-ORA BASTA!!!!
Iniziai con mio padre, gli saltai addosso ed iniziai a pugnalarlo al petto ripetutamente finché non si mosse più.
Girai la testa di scatto verso mia madre e corsi verso di lei, che intanto aveva avvertito la polizia.
Le feci un taglio netto, proprio sulla gola, facendo schizzare il sangue ovunque.
La lama del pugnale era ricoperta di sangue, come le pareti ed il tavolo della stanza. Mi accorsi che delle ciocche dei miei (l/c) capelli erano zuppe di quel liquido color cremisi.
Caddi in ginocchio a terra lanciando via la mia arma, colpendo il contatore sul muro. La luce di conseguenza se ne andò e solo la luna piena di quella maledetta nottata mi illuminò.
Avevo gli occhi sbarrati, le mani e la felpa intrisi di sangue.
I corpi dei miei genitori ormai irriconoscibili giacevano sul pavimento totalmente sporco.
Sul volto di mia madre ancora un'espressione di terrore.
Ritornai in me.
-Non ci credo anf...l'ho fatto anf davvero anf anf...- Rimasi con gli occhi totalmente sbarrati davanti allo spettacolo raccapricciante che io stessa avevo creato.
Tra i vari affanni sentii delle mani che lentamente applaudivano ed una risata a rompere il silenzio...

Little Killer - Jeff The Killer X Reader (Creepy X Reader)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora