1

36 2 2
                                    

Sara Lucenti osservava la Piramide Cestia oltre i vetri appannati della finestra della sua camera da letto.
Le gocce di pioggia scivolavano lungo la liscia superficie del vecchio vetro con qualche traccia di vernice, segno evidente di una verniciata recente.

Appoggiò la sua mano dalle dita affusolate sopra al freddo marmo del davanzale.
La voglia di spalancare quelle finestre era tanta. Come del resto la voglia di scendere per strada e straziare il silenzio di quelle vie con un grosso urlo che veniva dal più profondo del suo cuore.

La delusione che portava in sé era tanta, troppa.
Sospirò. Era da 3 anni ormai che riceveva solo delusioni da suo fratello Giacomo il giorno del suo compleanno. Non poteva farci niente, però. D'altronde se avesse potuto farci qualcosa l'avrebbe già fatta, no?
E poi lei chi era nel mondo nel poter rimediare a questo genere di cose? Nessuno.

Probabilmente la maggior parte del mondo dubitava anche solo della sua esistenza. Lei era solo una nullità in questa terra enorme.

Ed era una nullità anche come si sentiva in quel momento. Contava almeno quell'anno sulla presenza del suo fratello adorato al suo quindicesimo compleanno.

Una lacrima le rigò il suo volto stanco e triste.

Lanciò un ultimo sguardo sofferente alla piramide, poi si girò e prese la sua giacca impermeabile. Aveva promesso a sua madre di andare a comprare delle cose dal cinese sotto casa. Della roba per cucinare, come le chiamava Sara.
Lei non sapeva cucinare nulla a parte le crêpes. Quelle erano il suo forte. Le faceva proprio bene.

Uscì dal vecchio palazzo e venne investita da un'ondata di gelo. L'inverno si stava avvicinando e di sicuro Sara stava già invidiando le sue amiche rinchiuse in casa come topi sotto alla calda aria condizionata.
Si strinse nell'impermeabile in cerca di un po' di caldo, un po' di sollievo.

Una folla di gente infreddolita si accalcava alla fermata del bus, in attesa di qualche autobus ritardatario.
Sara aveva sempre amato osservare le persone. Era per la sua indole curiosa.

Alzò gli occhi verso il cielo. Grigie nuvole si stagliavano sopra la sua testa castana bagnata da una fitta pioggerellina autunnale.
Roma era coperta anche da una coltre di nebbiolina, cosa piuttosto insolita e rara.

Entrò a grandi passi nel negozio di casalinghi.
Subito venne investita da un ondata di colore che stonava palesemente col triste tempo autunnale.
Gli oggetti sporgevano dagli scaffali e sembravano quasi voler fare a botte per cadere a terra prima delle altre.
Comprò il necessario e uscì dal piccolo bazar.

Il freddo la investì nuovamente.
Nella mente di Sara si insinuò una buona tazza di caffè fumante. Era proprio ciò che le serviva. A parte la presenza del suo Giacomino.

Sospirò nuovamente avvicinandosi alle strisce per l'attraversamento pedonale.
Non portava il cappuccio alzato e a differenza degli altri non correva a ripararsi il prima possibile da quelle fastidiose gocce d'acqua che insistevano nel piombare giù dal cielo, anzi. Lei camminava come se niente fosse e sembrava proprio che quella pioggia non la infastidisse. Gli occhi vitrei e lucidi fissavano la strada di fronte a sé.
Non si curava delle occhiatacce della gente che la vedeva così indifferente di fronte a quell'abbondare di pioggia.
A lei l'acqua la tranquillizzava. Una cosa piuttosto rara.
Ormai non si curava più di ciò che la gente pensava di lei. L'avevano spesso classificata come "strana", sfigata, ma in realtà lei aveva solo il coraggio di essere ciò che era. Cosa che invece molti adolescenti della sua età non erano in grado di essere. Non aveva paura di risultare come una macchia di sporco su una maglietta di un bianco candore.

Si dovevano omologare alla massa che seguiva delle stupide tendenze passeggere, come dei cani che seguono il bastone che il padrone gli lancia. Dopo il gioco diventa ripetitivo e noioso. Perciò lei non seguiva la massa. Per non diventare noiosa.
E diventare noiosa era la sua più grande paura.

Entrò a piccoli e svelti passi in casa, cercando un po' di sollievo di fronte alla stufetta della sua stanza.
Si alzò da terra per posare le mani sul tiepido termosifone che si stava appena accendendo, tirando sù col naso.
Si sfregò le mani intorpidite dal freddo e vi soffiò all'interno, poi si affacciò alla finestra, come di consueto quando non sapeva cosa fare. Notò due strane figure all'angolo della strada immerse nella foschia.
Erano vestite con una maglietta a maniche corte e dei bermuda cerulei.
Abbigliamento abbastanza insolito per quella grigia e tenebrosa giornata.

Sara alzò le spalle pensando che fossero due dei tanti fulminati che giravano per le vie di Roma, soprattutto nel suo quartiere.
Voltò lo sguardo verso l'orologio: 17:32, tra 3 minuti sua madre avrebbe staccato dal lavoro e sarebbe tornata a casa a festeggiare la sua figliola.
Poi rivolse i suoi occhi marroni ai due strani individui che però parevano non esserci più.

La pioggia continuò a scendere sempre più intensamente, appannando i vecchi vetri.
Sara cercò con lo sguardo ancora quelle due strane figure, ma un po' per la pioggia incessante, un po' per i vetri appannati, non riuscì a notarli.

Ma se si acuiva la vista si potevano intravedere due figure vestiti in abbigliamento estivo azzurrino, fissare ardentemente una ragazzina dai capelli castani e gli occhi dello stesso colore dei suoi capelli e la carnagione olivastra che guardava verso l'angolo della strada incuriosita in cerca di qualcuno.

Spazio autrice
Buongiorno! Mi chiamo Giulia e amo scrivere e questa è una storia a cui tengo davvero tanto. (Forse è l'unica che porterò a termine)
E niente spero che vi piaccia. Lasciate tante stelle e commentini

Le cronache dell'ordine di PoseidoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora