Arvieer tornò all'accampamento con le vesti strappate e la pelle graffiata dai rami e dai rovi a cui non aveva prestato attenzione durante la fuga.
Era scosso e portava le pelli in mano, ma della carne non c'era alcuna traccia.
<cos'è successo?> domandò con scocciatura il generale lanciando uno sguardo folgorante alla mano vuota
<l'ho gettata alla bestia> rispose con disinvoltura Arvieer. A lui non piaceva essere al centro dell'attenzione ed era solito trattare i problemi con un atteggiamento quasi di arroganza,come un pavone.
<hai gettato il nostro pranzo a un puma bianco?> chiosò il generale sgranando gli occhi per la disinvoltura del suo commissionario
<o gettavo quelle carni o la bestia avrebbe pranzato con me> sentenziò Arvieer sempre col fare arrogante.
Il generale se ne andò adirato ma la cosa non scosse minimamente Arvieer.
In fin dei conti erano mercenari cosa mai poteva aspettarsi?
Si ritirò nella sua tenda.Più tardi a notte inoltrata si svegliò con il cuore che gli martellava nel petto, aveva la fronte ricoperta da un velo impercettibile di sudore e io suoi occhi azzurri brillavano come stelle, riflettendo la luce delle torce.
Era stato uno dei suoi soliti incubi, che lo assillano da quando era bambino dopo l'accaduto dei genitori.
Non ci fece caso e tornò a dormire.La mattina seguente di certo non poteva dirsi riposato ma almeno rispetto al giorno prima si sentiva già più in forze, afferrò la sua spada dall'angolo della tenda e com'era sua consuetudine fare ogni mattina, la lucidò.
Una volta messa la spada nel fodero e appesa al fianco, uscì dalla tenda.
Una coltre di nubi copriva il sole e in lontananza si sentivano tuoni.
Una sacerdotessa era stata chiamata all'accampamento per dare una mano ai feriti.
Non era un daeva ma Arvieer si sentì subito incuriosito, in fondo non c'era molta differenza tra maghi e sacerdoti in quelle terre.
Il vento iniziò ad alzarsi e dal terreno volavano mucchi di polvere che si sollevavano nell'aria e appannavano la vista.
Successivamente un boato assordante squarcio l'aria.
La tempesta era iniziata.
Arvieer subito se ne ritrovò coinvolto. Il compito dei maghi era quello di proteggere gli abitanti e le persone in generale da cose da cui un comune guerriero non poteva proteggerli.
Andò al centro dell'accampamento e con i suoi incantesimi cercò di deviare le raffiche di vento ma erano troppo forti,il vento impazzava e la pioggia scrosciava insistente.
Un ramo volante lo colpì alla tempia e perse i sensi.
Pochi secondi dopo, quando Arvieer si risvegliò,nonostante avesse la vista appannata vide china su di lui una bellissima ragazza, che teneva le mani,ricoperte da una flebile luce bluastra,tra i suoi capelli chiari. La ragazza aveva una chioma dorata come il sole e gli occhi blu come zaffiri.
<sto bene posso farcela!>esclamò Arvieer cercando di non far trasparire alcuna goccia di dolore dalla sua faccia.
<era una brutta ferita> disse con formalità la ragazza,nonostante avesse le guance rosse, probabilmente per il contatto fisico.
Arvieer non ci fece caso.
Il vento fuori dalla tenda ululava. Un rumore spezzò il silenzio e qualcosa di grosso cadde sulla tenda.
Arvieer fu lesto pronunciò delle parole incomprensibili e uno scudo dorato li ricoprì.
Si ritrovarono fuori, in mezzo al vento e alla pioggia, tra i fulmini e tra i detriti volanti che si trascinava la tempesta.
Arvieer si alzò e provò a terminare quello che doveva fare all'inizio.
Mentre lui deviava le raffiche di vento la sacerdotessa, una volta ripresa del tutto, si alzò e iniziò a deviare i fulmini.
I suoi incantesimi assomigliavano di più a preghiere che a veri e propri incantesimi. Ma in fondo stava riuscendo perfettamente nel suo intento quindi a chi importava.
Alla fine i due riuscirono a proteggersi con successo dalla tempesta.
Stanchi e affaticati si sedettero sulla terra bagnata
<mi chiamo Callien> disse la sacerdotessa con un filo di voce e accennando un sorriso
<Arvieer> rispose il mago con una voce stanca e provata.
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La storia di un Daeva
Fantasyun giovane Daeva, su cui poggierà il destino di un mondo che sta cadendo a pezzi, dilaniato da millenni di guerra e avidità.