35;

213 23 7
                                    

Sono già passati tre giorni e non c'è nessuna traccia di una nuova lettera del misterioso S.
Oggi esco con Maria Lombardi e già da come mi guarda con tutte le sue amiche intorno che mangiano con lo sguardo, la cosa mi turba.
«Oggi è il grande giorno, eh?».
Ovviamente non può mancare Stefano con le sue battutine per niente divertenti. Gli do uno sguardo omicida e mi siedo al mio posto.

Le ore passano lentamente ed è la prima volta in tutta la mia vita che mi sento felice di questa cosa.
Maria non ha fatto altro che guardarmi, come se mi stesse obbligando ad avvicinarmi a lei e parlarle, ma ovviamente, non gliel'ho data vinta.
Stefano mi dice di lasciarmi andare, siccome è da un anno che non esco più con delle ragazze.
Ma a me onestamente non frega niente, questa sarà un'uscita tra amici.
Quando si fanno le 13, la campanella suona e tutti noi ci alziamo, senza badare alla professoressa che ci sta ricordando di finire di studiare la pagina 394.

«Lorenzo!», sento Maria, appena varco la soglia della classe, pronto per uscire.
Mi giro e la guardo, scocciato, «Eh?».
«Aspettami», dice, sistemandosi la tracolla della sua borsa, sulla spalla.
Annuisco e quando finisce, usciamo entrambi dall'edificio scolastico, sotto gli occhi di Stefano, Giuseppe, Salvatore e Sascha.
Spero almeno che questa qui si sia portata dietro dei soldi perchè non ho intenzione di pagarle il pranzo.
Comincia a parlarmi di un ristorante che ha visto stamattina mentre andava a scuola, perciò ci dirigiamo lì.
E io che pensavo fosse una timida.
E invece è come tutti gli altri, giudica gli studenti del primo anno a seconda di come si vestono e quando io inizio a parlare di quelli del nostro anno, dice che sono tutti dei perdenti.

«Per non parlare di Gaia Rossi!», esclama ad un certo punto, dopo aver preso un boccone di bistecca, «È fastidiosa, si crede chissà chi».
Alzò un sopracciglio, «Ma non è tua amica?», domando e lei mi guarda come se le avessi appena preso le patatine fritte dal piatto.
«Scherzi? È insopportabile!».
Finiamo di pranzare e fortunatamente lei paga il suo e io pago il mio.
Il cassiere mi guarda e sorride malizioso, «Non paga per la sua ragazza?», indica Maria con il mento, che sta uscendo fuori a chiamare sua madre.
«Non è la mia ragazza», sibilo. Ma perchè i camerieri devono impicciarsi?

Dopo aver pagato, esco e Maria ha appena finito la chiamata con sua madre.
«Ci vediamo a scuola», dico e faccio per andarmene, ma mi blocca il polso.
Cosa vuole ancora?!
«Stai percaso dicendo che il nostro appuntamento finisce qui?».
«Vuoi che ti dica la verità? Sono solo uscito con te perchè mi facevi pena e mi piaceva conoscerti di più, siccome sembravi così innocente. Ma mi sbagliavo, sei come tutte le altre. Scommetto che dopo avresti detto tutto alle tue amiche e ti saresti inventata chissà che cosa. Ma a me non importa, fai pure quello che ti pare, perchè io ho finito. A domani», sibilo a denti stretti, lasciandola scioccata da ciò che ho appena detto.
Le do le spalle e m'incammino fino a quando la sento parlare.
«Questo è perchè giudichi un libro dalla copertina!».
Mi fermo.
«Andate al diavolo», sussurro, riferendomi a Stefano e a Maria.
Ricomincio a camminare.

Casa mia è dall'altra parte della città, perciò mi tocca di nuovo spendere la mia paghetta per prendermi un biglietto per il pullman.
Attendo il mezzo di trasporto pubblico alla fermata, con le cuffiette nelle orecchie ad ascoltare la mia playlist di Spotify.
Improvvisamente qualcuno mi picchietta la spalla e io mi volto trovandomi faccia a faccia con Sascha.
«Anche tu da queste parti?», chiedo, togliemdomi una cuffietta e facengoli spazio nella panchina di acciaio.
Annuisce sorridendomi, «Già», risponde, «Non avevi mica un appuntamento con la tua compagna di classe?», domanda.
Scrollo le spalle, «L'ho piantata in asso. Non fa per me».

«Capisco..».
«Come va con Sabrina?», chiedo e lui sobbalza.
Il suo labbro inferiore trema un po', segno che non si aspettava questa domanda.
«B-bene», balbetta, «Forse ci mettermo insieme», dice e sorride a trentadue denti.
«Fortunato te che hai trovato la tipa», ridacchio e rimaniamo in silenzio per qualche minuto.
Alzo lo sguardo e vedo da lontano il tram arrivare, perciò mi alzo dalla panchina d'acciaio, seguito da Sascha.
Saliamo e timbriamo i nostri biglietti alla macchinetta. Fortunatamente è quasi vuoto, ci sono solo dei vecchietti.

Io e il corvino ci avviamo in fondo e ci sediamo.
«Che ascolti?», mi chiede ad un certo punto e io realizzo di avere ancora una cuffietta all'orecchio, con il volume basso a malapena riesco ad intuire che canzone è.
Gli porgo una cuffietta che lui infila nel suo orecchio e sorride.
«Scared To Be Lonely di Martin Garrix, eh?», alza un sopracciglio.
«Mi piace questa canzone», affermo e lui annuisce.
Rimaniamo in silenzio ad ascoltare la canzone, mentre io guardo nel finestrino del pullman, pensieroso. Parte il coro e come sempre, la voce di Dua Lipa mi fa rabbrividire.

Is it just our body?
Are we both losing our mind?
Is the only reason you're holding me tonight.
Do we need somebody just to feel like we're alright?
is the only reason you're holding me tonight 'cause we scared to be lonely?

Sento accanto a me Sascha sospirare e quando mi giro, lo colgo a guardarmi e subito abbassa il capo.
«È successo qualcosa?», domando e lui sobbalza, scuotendo il capo.
Mi è sempre piaciuto coglierlo di sorpresa, nei momenti inaspettati, fargli delle domande inopportune nei mometi sbagliati: mi diverte la sua reazione.
«Beh, onestamente sì».
Questa volta sono io ad essere colto di sorpresa. Mi guarda negli occhi.
«Non usciamo da soli da tanto tempo», afferma, giocherellando con le sue dita.

«I-io.. Mi dispiace, sono quasi s-sempre o-occupato», balbetto e lui annuisce, «Certo, anche io lo sono. Solo che.. Mi manchi», si morde il labbro inferiore.
Sento improvvisamente il mio cuore battere forte, ma che mi succede?
«In senso amichevole, o-ovviamente», si gratta la nuca imbarazzato e toglie lo sguardo dai miei occhi.
«Beh, ora stiamo uscendo insieme, no?», faccio io, ridacchiando.
Lui accenna un sorrisetto, «Già».

Finalmente il tram arriva alla nostra fermata e noi scendiamo.
Per tutto il tragitto non abbiamo fatto altro che commentare ogni canzone che ascoltavamo della mia playlist e tra chiacchiere e risate, mi sono accorto di ciò che mi sono perso in questi ultimi mesi.
Preferirei passare del tempo con Sascha che con Maria o chiunque altro. Con Sascha mi sento libero di fare quello che mi pare, ovviamente non dico che con Stefano e gli altri no.
Solo che Stefano ultimamente non fa altro che prendermi in giro e la situazione sta leggermente scivolando di mano.

Io e Sascha poi abbiamo quasi tutto in
comune e mi trovo molto bene con lui.
Non sparla come Maria, non prende in giro come Stefano, non parla solo di ragazze come Salvatore, non mi tratta come se fossi suo figlio come Giuseppe.
Lui è semplicemente Sascha.

Quando è arrivato il momento di dividersi per andare nelle nostre rispettive case, sorrido a Sascha, che mi porge la cuffietta. Metto in pausa la canzone History degli One Direction.
«Ci vediamo a scuola», dico, sorridendo.
Lui non dice niente, non sorride.
Si volta e s'incammina.
Rimango a fissarlo, confuso e sperando con tutto il mio cuore che si giri e mi saluti con il suo solito sorriso.
Deglutisco.
Una parte di me però non vuole muovere un dito o chiedergli se è successo qualcosa. Rimango lì accigliato, guardandolo girare l'angolo e sparire.


«Com'è andata quindi con quella Maria?», domanda mia madre, mentre io la osservo sparecchiare. Non si è mai lamentata del fatto che io non la aiuti in cucina e io ho comunque paura che quando sarò grande e dovrò occuparmi da solo, di non saper fare niente.
Ricordo quando ho provato a farmi del tè caldo, ho appoggiato la pentolina sul bancone e quando l'ho alzata sotto era tutto bruciato. Tutt'ora non se n'è ancora accorta, perchè l'ho coperto con una tovaglia di Jack Daniel's.
«Bene, dai», rispondo e dopo averla ascoltata spiegare cosa il suo capo le ha detto di fare domani, vado in camera mia.

—•—•—•—•—•—

Sento la sveglia suonare e non ho la voglia di alzarmi. Ho ancora sonno.
Mi rigiro ne letto e ansimo, mentre tasto con la mia mano il comodino in cerca del telefono. Lo spengo e ancora assonnato, alzo il capo dal cuscino, accecandomi dalla luminosità dell'arnese.
Mi stropiccio gli occhi e vedo un sacco di chiamate perse di Emma dalle 6 del mattino e poi un messaggio di Whatsapp.

Emma:
S. ha lasciato la sua lettera.

❝THE ONLY REASON 2.❞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora