Inverno e nuovi arrivati

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L'inverno dei miei 6 anni fu uno dei più abbondanti di cui abbia ricordo.
La neve aveva cominciato a scendere lieve per poi avvolgere, nel giro di pochi giorni, tutta Firenze in un bianco mantello.
Camminando per le strade sembrava che la nostra città fosse coperta da una tovaglia bianca di lino ma i fiorentini non se ne curavano.
Nonostante il freddo la vita in città continuava come sempre.
Nelle strade e nelle vie si vedeva già qualche pupazzo di neve o dei fortini improvvisati creati dai bambini, qualcuno che spalava la neve davanti l'uscio di casa e dai camini saliva un fumo bianco che arrivava a mischiarsi al bianco delle nuvole in cielo.
In casa nostra furono accesi tutti i camini e noi bambine, insieme a Jacopo, ne approfittammo per fare un'epica gara a palle di neve in giardino.
Costruimmo i nostri fortini e alla fine vincemmo io, Jacopo e Matilde, anche se alla fine tutti e cinque eravamo bagnati fradici ed infreddoliti.
Nostra madre, dal canto suo, ne approfittò per cucinare da sé biscotti, pani, e cibi caldi da distribuire ai poveri della città.
"Con l'avvicinarsi del Santo Natale dobbiamo essere tutti più buoni verso il prossimo". Diceva.
Ed aveva ragione, peccato che fosse una delle poche che si curasse dei poveri, mentre il resto delle nobili madonne fiorentine si degnava solo di mettere due spiccioli nel cesto delle elemosine.
Ho sempre ammirato mia madre dal quel punto di vista.
Per Natale fu allestito nel salone principale un grande e maestoso albero dalle decorazioni squisite e scintillanti alla luce delle candele.
Noi bambine lo ammiravamo estasiate ma non lo potevamo toccare.
Tutta la casa fu decorata con agrifoglio e vischio e fu allestito anche un presepe.
Mi veniva in mente il racconto di San Francesco, che aveva inventato il primo presepe e che aveva evocato con la forza del suo amore Gesù Bambino nella mangiatoia di Greccio davanti ai cittadini esterrefatti.
Quando ero molto piccola credevo di poterlo fare anch'io.
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Pochi giorni prima di Natale, precisamente il 13 dicembre, mia madre ebbe le doglie.
Era il suo quinto figlio e si sperava che fosse un maschio, l'erede di Folco Portinari, dopo quattro femmine le quali non potevano ereditare il potere di famiglia.
Nonostante ciò nostro padre ci volle sempre bene e ci definiva: "le piccole gioie serafiche di famiglia".
Serafica io?! Io glielo lasciavo credere, ma lui sapeva benissimo che ero agguerrita e un maschiaccio, così come ho lasciato credere a Dante che ero una creatura celeste scesa dal cielo.
Poi ve l'ho detto: che mi paragoni pure all'incarnazione vivente di un angelo, tanto appena cambio via lo mando cordialmente a quel paese senza che mi veda.
Ad ogni modo, mia madre ebbe le doglie il 13 e noi bambine fummo mandate nella sala giochi, la nursery, come la chiamavano e la chiamano gli inglesi, per non disturbare.
Ma mentre le mie sorelle si intrattenevano su cavallucci a dondolo e con bambole di pezza io guardavo fuori dalla finestra.
Sul vetro vi erano ghirigori di brina meravigliosi e fuori Firenze era un mare bianco.
D'un tratto la mia attenzione fu attirata da qualcosa in movimento: era tricolore e si era fermato davanti alla finestra.
Aprì la finestra e sorrisi, incurante degli spifferi d'aria gelida che entravano.
Davanti a me vi era una gattina di pochi mesi, bianca, rossa e nera e con due grandi occhi verdi.
Miagolava in modo delizioso e adorabile.
"Bice chiudi la finestra!". Esclamò Gemma e Berta corse allarmata verso di me.
"Ma ti vuoi ammalare?!". E la mia balia chiuse la finestra.
Io feci in tempo a prendere in braccio la gatta e gliela mostrai.
Le mie sorelle si avvicinarono e l'espressione di Berta si addolcì.
"Che bella Bice!".
"È una cucciola!".
"Mi piace il suo pelo!".
Io la lasciai andare sul pavimento e la gattina esplorò il nuovo ambiente intorno a sé miagolando allegramente.
"Come la chiamiamo?". Domandò Cesca.
Ci riflettei un po' sù. "Mmh... Siamo in inverno ma che ne pensate di Ciliegia?".
Le ciliegie erano il frutto preferito di tutte e quattro e quando c'erano ne facevamo scorpacciate.
Concordammo tutte.
Passammo le ore successive a giocare con Ciliegia finché nostro padre non comparve sulla porta.
Sul suo volto trasparivano gioia e altri sentimenti che non avrei saputo definire: nostra madre aveva per caso dato alla luce l'ennesima sorellina?
"Bambine, venite a vedere i vostri fratellini".
I nostri fratellini? Avevamo finalmente un fratello?
Con queste domande dentro entrai insieme alle altre in camera di mamma.
Lei ci sorrise, ci abbracciò e ci baciò.
Era stanca ma sempre bella: con i lunghi capelli corvini che le ricadevano liberi sulle spalle.
Poco distante dal letto stava una culla illuminata da un raggio di sole e accanto stava seduta Berta, con in braccio un fagottino bianco.
Ci avvicinammo.
"Piccole mie, salutate la vostra nuova sorellina Celeste". Ci disse scoprendo la coperta e svelandoci il visino di una bimba addormentata.
"E il vostro fratellino Elia". E scoprì la copertina che stava nella culla, svelandoci nostro fratello.
Elia, Elia, Elia....
Mi ripetei questo nome in testa.
Elia e Celeste, Celeste, Celeste.
Voltandomi sorrisi a nostra madre e lei ricambiò il mio sorriso.
Aveva finalmente adempito al suo compito: dare alla luce un erede maschio per la casata.
Comprendevo la sua gioia.
Per festeggiare la nascita dei nostri nuovi fratellini fu organizzato un grande banchetto e per l'occasione donammo un secondo nome a Ciliegia:
Ciliegia Celeste, in onore alla nostra nuova sorellina.
Nostro padre fece grandi offerte alle chiese e ai poveri della città e noi bambine sgattaiolavamo nella nursery per ammirare i gemelli.
Erano rosei, piccoli e adorabili.
Mi dispiaceva solo per Elia: essere l'unico maschio in mezzo a un mare di femmine non sarebbe stato affatto facile!


Nota Autrice
Non ci sono fonti storiche, sappiamo che Folco Portinari aveva sei figlie ma ho presupposto anche qualche figlio maschio, visto che all'epoca se non c'era il patrimonio passava al parente maschio più vicino e perciò la presenza di un figlio maschio era indispensabile.
Vi ricordo che i nomi dei fratelli e della balia di Beatrice sono inventati visto che non sappiamo come si chiamassero.
Alla prossima!

Il diario segreto di Beatrice PortinariDove le storie prendono vita. Scoprilo ora