Parte 2

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Era la fine degli anni ottanta, io una ragazzina di vent'anni dai capelli scuri, i tratti mediterranei, jeans e maglietta.

La vitalità e la curiosità mi contraddistinguevano.

Ero fidanzata con un coetaneo che mi trascurava già.

Era uno sportivo, una persona attiva e dinamica, brillante e di compagnia. Forse, un po' egoista.

L'uomo con la valigetta, mio collega di lavoro, aveva il fascino indiscusso dell'uomo d'affari; macchina cabriolet, telefono cellullare portatile che sembrava una centralina antispionaggio e valigetta in pelle che acquistammo insieme in un'importante valigeria della zona, che oggi non esiste più.

Camicia a maniche lunghe anche d'estate con maniche risvoltate, occhiali da sole di marca e la giusta differenza d'età, ben dodici anni, che gli conferivano l'etichetta dell'uomo maturo e sicuro di sé.

Ripercorrendo i ricordi, il nostro fu un rapporto intellettual-platonico.

Apprendevo molto da lui, mi faceva sentire importante e speciale ed era stuzzicato dalla mia allegria e leggerezza a volte un po' troppo infantile.

Era sposato ed aveva un bambino piccolo.

A me non importava, perché comunque in quegli anni consideravo il nostro rapporto amichevole e senza secondi fini.

Mi propose di uscire una sera. Era un appuntamento ufficiale.

Lo ricordo come fosse adesso.

Vivevo in un appartamento in centro con i miei genitori ed avevo il coprifuoco per tornare a casa verso mezzanotte.

Ricordo i miei capelli scuri sciolti sulle spalle, la frangetta a coprirmi la fronte, l'abbronzatura estiva ed un vestito lungo blu e bianco a fiorellini.

Lui era lì ad aspettarmi in macchina, nella piazzetta vicino a casa.

"Hai la carta d'identità?"- mi chiese.

Certo che avevo i documenti, ma dove mi stava portando?

Per un attimo pensai a lui come il lupo cattivo ed io la facile preda sul sedile di fianco.

Mai mettere in dubbio le intenzioni di un gentiluomo! Un vero uomo non si smentisce mai.

Mi portò in CH! Era tutto ciò che continuavo a ripetere in macchina dopo aver visto i cartelli stradali e aver capito che ci stavamo dirigendo in Svizzera.

In quegli anni occorrevano i documenti per attraversare i confini e ciò che era così lontano, si presentò vicinissimo, in poco tempo raggiungibile.

Il paese più romantico del Lago di Lugano: Borgo M.

Con lui tutto era una novità, una scoperta ed io come una bambina capricciosa e volubile a scartare il regalo più prezioso, ad appallottolare la carta e ad accantonarlo provando in pochi istanti interesse per qualcosa d'altro.

Una cornice perfetta per un primo incontro: un ristorante, che per una persona da fast-food come me appariva di lusso, per lui era ordinario; del buon vino, che faceva decantare nel bicchiere da vero intenditore; del risotto servito caldo nella forma del parmigiano.

Io e lui seduti di fronte a chiacchierare, a ridere, a scherzare.

Due passi dopo cena bastarono a farmi capire quanto fosse alto ed io cosi piccolina al suo fianco e che la serata stava volgendo al termine.

Lui così rapito dai miei occhi scuri e dalle mie forme sode da dichiararsi ed io cosi saggia da riportarlo alla realtà.

Non potevamo appartenerci.

In autostrada accostò l'auto ad una piazzola di servizio e mi baciò.

Fummo interrotti dalla polizia che si accostò a sua volta per sapere se andasse tutto bene.

Ho di quel momento un ricordo molto vivido ed invece sono passati circa venticinque anni.

Ricordo anche la nostra prima volta nella sua casa milanese.

Io che gli ballavo davanti a tempo di musica, improvvisando uno spogliarello poco audace e molto acerbo e lui sdraiato sul suo lettino, che mi rimirava come fossi una dea.

Ero così preoccupata di piacergli e del suo godimento, che non riuscii a lasciarmi andare completamente e a provare io stessa piacere.

Trovai molto romantico e premuroso che cucinasse per me spaghetti aglio, olio e peperoncino prima di lasciare l'appartamento in tarda nottata.

Non ricordo molto invece del tiraemolla che ci fu tra di noi negli anni successivi.

Mi piaceva il gioco del gatto e del topo, mi lusingava farmi rincorrere, nascondermi e farmi scovare.

Lui era sempre lì, pronto ad incoraggiarmi, a coccolarmi, a consigliarmi.

Ho sottovalutato il suo ruolo in quegli anni; era per me il fratello maggiore, l'amico di fiducia, l'amante a tempo perso.

Non ero innamorata di lui quanto lui lo fosse di me.

Non ho mai preso sul serio i suoi sentimenti nei miei confronti; non credevo che avrebbe lasciato la moglie; nonostante ne fossi compiaciuta, non pensavo di meritare tutte quelle attenzioni e tutto quell'amore.

Mi ostinavo a trovare nel mio fidanzamento la strada giusta da percorrere, che mi avrebbe portato successivamente al matrimonio.

Lo abbandonai nel momento in cui aveva più bisogno di me, nel culmine della sua crisi coniugale.

Mi sono chiesta tante volte se si potesse tornare indietro e col senno di poi riprovare senza più sbagliare, oppure ricordarsi degli errori fatti ed avere la possibilità di rimediare.

Poi però mi sono anche ripetuta che non è detto ch'io abbia sbagliato nel voler perseguire la strada più tortuosa, meno semplice.

Forse era tutto già scritto o forse siamo noi stessi gli autori del testo della nostra vita.

Una pagina bianca sulla quale prende forma pian piano tutto ciò che saremo, le persone che incontreremo e le emozioni che proveremo.

Una vita senza emozioni é una brutta copia di una vita che non vale la pena di essere vissuta.

Io ho scelto la strada più cavillosa dicendo addio all'uomo con la valigetta, ai regali preziosi, ai bouquets di fiori, ai ristoranti con aragoste, tartufi, ostriche e champagne.

L'UOMO CON LA VALIGETTADove le storie prendono vita. Scoprilo ora