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Quanto di più confuso

[Adrien]





Buio.

Tentò di articolare qualcosa, una qualsiasi parola nata dal movimento delle proprie labbra, con scarsi risultati.

Oscillazione di un corpo, terreno assente sotto i piedi.

Dischiuse le palpebre, cercando, non senza molte difficoltà, di mettere a fuoco la situazione.

Una mano, dita mosse a fatica.

Forzò la vista per osservare le piccole goccioline d'acqua che pendevano dai polpastrelli, poi lasciò ricadere mollemente il palmo sul ventre. Davanti a lui, gli era parso di vedere lo spettro di qualche palazzina ingrigita.

Avrebbe voluto chiedere cosa stesse succedendo, non era abituato a sentirsi tanto confuso. Eppure, semplicemente, non poteva. Forse, rifletté, con un piccolo sforzo, ci sarebbe riuscito. Eppure, semplicemente, non ne aveva voglia. Come quando si sta per addormentarsi, in un limbo di dormiveglia consapevole e sogno: capiva confusamente ciò che stava accadendo, ma non vi partecipava; la mente era attiva, il corpo si rifiutava di collaborare.

Emise un lamento, poggiando il capo sulla superficie bagnata accanto la quale doveva trovarsi, mentre una fitta lancinante si propagava dal basso ventre fino al collo.

Serrò i denti con uno schiocco secco, nel vano tentativo di non urlare, e, mentre il sapore viscoso del sangue inondava il palato, Chat Noir portò una mano a tamponare la ferita.

«S-Siamo quasi arrivati. Davvero, Chat», singhiozzò una voce familiare.

Allora c'era davvero qualcuno, lì accanto a lui? Non se lo era immaginato, quel qualcuno a cui importava di lui?

Buio. Dolore: improvviso, micidiale.

Strinse un pugno al petto, artigliando la stoffa leggera della maglia per non gridare. Distrarsi, doveva distrarsi in qualche modo. 

Paradossalmente, gli tornò alla mente la lezione di storia che, poco tempo prima, la professoressa aveva assegnato in occasione della verifica. Se non ricordava male, i monaci shaolin avevano sempre sostenuto che il dolore fosse solo una mera questione mentale e che quindi potesse essere controllato. 

Passò un lembo del costume tra il pollice e l'indice, cercando di analizzarlo, e una nuova fitta si fece sentire. Ringhiò.

In quel preciso istante, ne avrebbe avute di cose da dire, agli accoliti. Nessuna, era certo, avrebbe confermato la loro assolutamente errata e priva di senso ipotesi.

Che poi proprio ai monaci shaolin sono dovuto andar a pensare?

«Ci siamo. È vicino». Di nuovo la voce. Vi si concentrò, studiandone ogni più piccola variazione: tutto pur di non pensare.

«Ce la faccio. Devo farcela».

Questa volta, il tono aveva assunto una marcata sfumatura di supplica.

Sporse appena un braccio nella direzione del suono, dilaniato da quella sofferenza appena percepibile e, nel farlo, entrò in contatto con un tessuto. Leggero, aderente. Non era solo l'effetto della pioggia, sotto la quale qualunque cosa bagnata diviene appiccicosa. Sembrava fatto su misura, di un materiale simile al lattice, forse allo spandex. Era per caso stato salvato da Superman? Probabilmente no. 

Quanto di più sbagliato [Miraculous Ladybug]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora