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Quanto di più giusto

[Adrien ]





Nel silenzio, un sospiro.

«Si riprenderà, non è vero?»

Se lo figurava, il vecchietto, con gli angoli degli occhi tutti raggrinziti e un mezzo sorriso sulle labbra.

«Il ragazzo non corre alcun pericolo. Ha bisogno solo di un po' di riposo e... beh, di qualcuno che possa accudirlo come di dovere. Tuttavia, mi sembra che fin ora tu abbia adempiuto adeguatamente al compito: saprete prendervi cura l'uno dell'altra».

Tra i mormorii incomprensibili, uno con un certo peso: «Lo vorrei, maestro, lo vorrei davvero».

«Le convinzioni, più delle bugie, sono nemiche pericolose della verità. Si può perdonare se stessi, mia cara. Tanto più se ciò è utile a riparare il torto compiuto nei confronti di chi si ama».

Occhi bassi. Pugni stretti. Il cigolio di una porta.

Adrien serrò le palpebre di scatto, privandosi ancora una volta della vista. Non che l'abitacolo in cui si trovata fosse così interessante: solo qualche tappetino di juta steso sul pavimento, un paio di mobiletti addossati alle pareti e resti di garze sporche nel cestino lontano pochi metri da lui. Eppure aveva trovato una sorta di soave rassicurazione, nonostante lo sguardo appannato e stanco, a verificare quanto effettivamente potesse essere utile tornare a distinguere, pur nella penombra, gli oggetti nel mondo circostante. Anche solo per rimettere in ordine i propri pensieri.

Piegò l'avambraccio e lo portò a coprirgli il viso, nel momento in cui percepì i fruscii alla sua destra farsi più presenti, reali. Un ultimo quanto debole tentativo di rimandare quel che sarebbe venuto per certo.

Sapeva che lei era lì, subito vicino all'uscio. Non lo guardava, probabilmente, neanche per sbaglio.

Riusciva a percepire tutta l'ansia, la paura. Ladybug non aveva semplicemente timore di quell'ormai inevitabile rivelazione, ne era terrorizzata. Lo sapeva, l'aveva capito, visto qualcosa al di là della maschera. Metaforicamente, s'intende: dopotutto, era ancora perlopiù cieco.
La sentì muovere un passo nella sua direzione, poi un altro. Ponderava attentamente l'appoggio dei piedi nudi sul parquet.

In un certo senso poteva ben comprenderla: stava accadendo tutto molto in fretta, forse troppo freneticamente. Lui era certo dei propri sentimenti da sempre – costituivano forse una delle poche certezze della sua vita –, ma doveva ammettere che il bisogno di qualche momento per riflettere s'era manifestato. Sentiva la necessità di realizzare, ecco.

Erano alla resa dei conti. Tuttavia, ancora non aveva avuto l'ardire di rendere quella stessa affermazione un pensiero coerente, qualcosa più di una massa informe all'interno del suo subconscio. Così facendo, la piccola fiamma di speranza che ancora albergava in lui si sarebbe tramutata in un incendio devastante.

«Come stanno Tikki e Nooroo?». Non riuscì a trattenersi e parlò appena gli sedette accanto.
Lei si irrigidì, bloccandosi per un attimo come pietrificata.
Adrien trattenne il respiro.

Non andartene.

«Meglio», rispose. Sembrava che parlare le costasse una fatica immane. «Il Maestro si sta occupando di entrambi».

«Gabriel...»

«Fu me lo ha già detto. Non avrei acconsentito a stendermi, altrimenti». 

La ragazza aprì la bocca, poi la richiuse. Non c'era bisogno che parlasse, immaginava perfettamente ciò che poteva voler dirgli. «Mi dispiace», disse invece.

Quanto di più sbagliato [Miraculous Ladybug]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora