Prologo

153 7 0
                                    

Era una sera orribile. Se fino una settimana prima il tempo era stato soleggiato, ora i venti stavano portando nuvole cariche di pioggia, e sembrava quasi che Zeus in persona avesse deciso di annegarli una volta per tutte. Alex Lanning aveva appena parcheggiato la sua RAV nel portico, all'asciutto. Entrò nella sua immensa casa, comprata con i soldi dei genitori, e cercò l'interruttore della luce, premendolo una volta trovato. Non accadde alcun mutamento nella fredda e buia casa. Alex imprecò. Doveva essere sicuramente saltato l'impianto elettrico, probabilmente a causa di qualche fulmine. Iniziò ad agitarsi; lui non era mai stato capace di far ripartire i circuiti elettrici, anzi, non si era mai interessato in questioni che prevedessero il fatto di dover lavorare con le proprie mani. Lui era il direttore di un'importante ditta di costruzioni, non poteva abbassarsi in lavori del genere. Prese il telefono e compose il numero del suo elettricista di fiducia, quello che si era occupato della sua casa, che conosceva fin da bambino. Chiamò: appena sentì la familiare voce di Harry si tranquillizzò un po'. "Ciao Harry! Con questo tempo orribile mi è saltato l'impianto elettrico, potresti venire a dargli un'occhiata?" "Certo, dammi un quarto d'ora e sono da te!" Chiusero la chiamata; parlare con Harry lo aveva tranquillizzato, ma ora che era di nuovo solo, si sentiva inquieto, oppresso dal buio e dal silenzio della sua immensa casa vuota, e ora gli pareva di sentire un certo freddo, umido e bagnato. Ora che ci pensava bene, si era accorto di una corrente fredda provenire dal piano superiore: pensò subito ad una finestra aperta. Ma certo! Si disse, la finestra del bagno era mezza rotta, ed erano ormai tre mesi che doveva farla riparare. Maledicendosi mentalmente avanzò verso le scale che portavano al piano superiore, aiutandosi con la luce del telefono e aggrappandosi come meglio poteva con entrambe le mani alla ringhiera. La corrente si faceva sempre più fredda e umida, mentre un senso di inquietudine si faceva strada strisciando lentamente dentro Alex, fino a tramutarsi in paura. C'era qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato, ma non riusciva ad identificarlo, e ciò non faceva che aggravare lo stato dei suoi nervi, già ridotti a pezzi. E mentre saliva le scale un gradino alla volta, si ritrovò a pensare (senza sapere come) alle facce delle persone della comunità che aveva distrutto, che aveva costretto ad andarsene per poter edificare in un ottimo territorio. Alcune volte, la sera prima di addormentarsi, ripensava ai volti scarni e solcati dalle rughe e dalla fatica, che lo guardavano con odio. In fondo lui li aveva costretti ad andarsene, e per giunta senza un soldo; aveva imbrogliato tutti. Aveva convinto il tribunale che erano degli abusivi, che lì non ci potevano stare. Anche se non era vero. Ma quelli erano dettagli. Nella sua mente rivide la faccia di un vecchio, secco e avvizzito come una prugna, che teneva stretta una giovinetta sui 16 anni, con dei penetranti occhi azzurri e dei capelli lunghi e fluenti, dello stesso colore del grano. I loro occhi esprimevano rabbia e disgusto, e il vecchio aveva addirittura osato sputargli sulla sua nuova giacca: a quel punto, i collaboratori di Alex gli avevano rifilato delle bastonate, mentre la ragazzina urlava e scalciava per aiutare il vecchio. Quando smisero di bastonarlo, il vecchio abbracciò forte la piccola; prima di andarsene con gli altri, lei lo aveva guardato con uno sguardo così profondo e così carico di disprezzo che Alex vacillò per un attimo. Dalla sua bocca erano uscite due parole sibilate a denti stretti: "Ti odio." Poi si era voltata e, sempre stretta al vecchio, se ne era andata. Alex era arrivato in cima alle scale. E aveva paura. Anzi, era terrorizzato. Le sue emozioni si erano intensificate, e lui non aveva più il controllo su sé stesso. E c'era qualcosa che non andava, qualcosa di tremendamente sbagliato, mentre si avvicinava alla porta chiusa del bagno. Per la prima volta in vita sua fece un segno della Croce, ed entrò in bagno.

Fu lì che Harry lo trovò, dopo aver scavalcato il cancello di casa ed essere entrato attraverso la porta socchiusa. Alex era riverso a terra, supino, di un pallore mortale, un pugnale piantato nel suo petto spinto fino all'elsa, e gli occhi spalancati per la sorpresa. E Harry urlò, un urlo inumano, lacerante, straziato dal dolore e dallo sgomento.

La casa di Alex era in un luogo appartato, per cui quando la polizia venne a prelevare il corpo, non ci furono i soliti capannelli di vicini curiosi. Quella mattina non pioveva più, ma il terreno era fangoso e l'aria umida, profumata di pioggia. Il corpo della vittima era stato portato in laboratorio per l'autopsia, mentre gli agenti stavano interrogando la persona che aveva trovato il cadavere di Alex Lanning, Harry Fitzgerald. E lui, Gabriel Milton, arrivato da appena due mesi, veniva già coinvolto in un caso così strano. Infatti (ed era stato proprio lui a scoprirlo) vicino al corpo di Lanning era stata trovata una rosa nera. I suoi colleghi avevano ipotizzato che l'assassino fosse mosso dalla rabbia, poiché il pugnale era stato spinto fino all'elsa, ma non era totalmente fuori di sé, infatti aveva colpito una volta sola e con precisione, ed evidentemente era abbastanza lucido da non lasciare tracce o indizi, a parte la rosa nera. Quello poteva essere un dettaglio estremamente importante. Le rose nere erano rarissime in natura, e magari attraverso esse sarebbero potuti risalire all'assassino. Ormai avevano interrogato innumerevoli volte Harry, e la sua versione era stata confermata dalla madre con la quale viveva: inoltre l'ora del decesso stimata dagli addetti coincideva con il momento in cui era partito di casa. Era già il secondo omicidio del misterioso assassino. E due erano le rose nere che gli agenti avevano trovato.

La Rosa di HalfetiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora