Malafede Rossa

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Il fidato caporale Ravm si avvicinò a Casato: "Signore, ieri sono stato alla taverna, in paese. Ho origliato le conversazioni dei soldati.

Dicono che avete in mente una "spedizione" nei boschi di Malafede per sradicare quella banda. È vero?"

Casato rispose senza indugiare: "È vero, caporale. Verissimo."

Il caporale guardò incerto Casato: "Ma non avevate in mente di attaccare l'aeroporto?"
Casato ancora rispose: "E lo farò, caporale. Ma vedete, mi sono arrivati dei rapporti dagli ufficiali da campo, che mi riferiscono che convogli civili e militari a noi affiliati vengono quotidianamente attaccati lungo la via di Trigonia, e ciò blocca i nostri rifornimenti. Quindi, ho dovuto slittare con i piani. Sarà una spedizione rapida e vittoriosa, ve l'assicuro."

Di fatti L' Armata d' Italia, che era diretta verso l' aeroporto militare di Marina d' Ardea, durante il trasporto delle risorse aveva avuto diversi attacamenti da parte di un sotto raggrupamento della R.R.R. (Resistenza Rossa Romana). La quale seguendo gli spostamenti dei fascisti si era insidiato nella Riserva Naturale di Malafede, luogo perfetto per fermare le risorse di armi e viveri dell' Armata lontana dalle sedi principali nella capitale.

Casato e un suo plotone di uomini si avviarono per una perlustrazione della zona alla ricerca della base nemica.

Risalivano un sentiero che gli avrebbe portato dove erano stati segnalati alcuni degli attacchi quando d' un tratto ecco un gruppo di Rossi di Malafede, così si erano battezzati, attacarli dall' alto di una collinetta.

Casato era il mirino principale e venne ferito alla gamba. I suoi soldati si precipitarono davanti a lui, per fare una barriera ed evitare che i colpi nemici, sparati più avanti, lo colpissero.
I suoi soldati più indietro lo presero per le braccia e lo portarono via. I soldati impegnati a fare scudo erano rimasti lì, a farsi ammazzare. Casato si girò e disse: "Cosa fate lì? Vi farete ammazzare! Venite con noi, forza!"

Fortunatamente furono più veloci dei loro assalitori e riuscirono a far ritorno al forte di Villaggio Azzurro.

Una volta al forte, si fece medicare, e il governatore della città, Eugenio,
gli si avvicinò: Casato era stravaccato su una sedia di legno, col broncio, che fissava il muro, e con il braccio appoggiato sopra una cartina, nel tavolo dove era solito passare in rassegna i suoi vari documenti e i piani.

Il governatore, che manifestava sempre tenerezza e rispetto verso Casato, si mise sull'attenti e lo salutò romanamente, e poi militarmente.

"Comandante... signore, scusate la puntigliosità, ma non posso più trattenermi: dovete lasciare questo forte, e smetterla di stare sempre in prima linea. Quante volte siete stato ferito? Troppe, non avete idea di cosa succederebbe se perdessimo un condottiero come lei..."

Casato si riprese e furioso si alzò: "Quindi mi suggerite di ritirarmi in una scrivania, e guidare i miei uomini dalle retrovie? Vivere come un parassita, deliziandomi nel lusso, senza patire fame né freddo? Guidare un'intera armata senza avere un quadro generale del campo di battaglia? Essere circondato da sanguisughe e da papponi di burocrati, anziché dai miei soldati? Insomma, volete che io diventi un uomo da scrivania? Già mai! Sono un uomo da trincea, non da tavola. Mi piace dormire in una sporca e scomoda tenda, anziché in un comodo e caldo letto, come se fossi un re. No, Eugenio, non è questa la vita che voglio fare!"

Eugenio, che prevedeva la risposta di Casato, insistette: "Almeno, comandante, si ritiri dal forte e si stabilisca in città, che è più sicura."

Casato continuò: "Sono stufo di ritirarmi: Roma, Latina, Malafede ... basta! O si va avanti, o si muore nelle proprie posizioni. Ciò vale per tutti. È questa la mia volontà."

Il suo tono di voce era forte e autoritario tanto da colpire particolarmento EUGENIO che abbassando la testa, accettò le parole di Casato: "Se questo è l'ordine, signore, questo sarà rispettato: fino alla vittoria, signore!"

Eugenio si levò dalla sua vista, dopo aver salutato il suo amato comandante.

Casato non si mosse: era troppo pensieroso.
"Che cosa ha in mente Pietro? Ora cercherà vendetta, suppongo. E non avrà pietà. I miei uomini, Cristo. Devo assicurarmi che siano pronti alla ritirata, in caso di rappresaglia. Sono morte troppe persone, ma ho ancora una carta da giocare, ma dovrò sacrificare qualche picca..."

Casato si alzò e uscì dalla stanza, collocata dentro le mura del forte, e si avvicinò nella piazza centrale, dove era collocata l'asta con la bandiera: un tricolore italiano con l'aquila nera ed il fascio.

Nella piazzetta centrale, naturalmente a forma quadrata, vi erano i vari bivacchi dei soldati, che si riposavano, discutevano o mangiavano.

Casato ordinò ad un soldato che stava portando via una cassa di legno, di seguirlo e posare la cassa al centro dei bivacchi, vicino al fuoco da campo principale. Era una notte particolarmente gelida e silenziosa: si udivano solo le voci dei soldati, innocenti persone di tutte le età, giovani o vecchi, tutti maschi, vestiti con stracci, o con uniformi rattoppate e ricucite mille volte. Anche l'uniforme di Casato era logora.

Il soldato posò la cassa vicino al fuoco, assicurandosi che le fiamme non potessero raggiungerla e incendiarla, e fece salire il comandante.

"Soldati della Grande Armata d'Italia, del 15º di linea, questo forte rappresenta l'entrata per la città di Villaggio Azzurro, e noi siamo l'unica forza che si contrappone ai nemici e alle guarnigioni appostate in città. Se i nemici passano da qui, i nostri camerati nelle retrovie dovranno difendere i cittadini, e saranno quindi messi a rischio. Ed è qualcosa che non permetteremo!"

I soldati si prodigarono in un fragoroso "Mai!"
Casato continuò:
"Se le bande di criminali guidate da Pietro passano, noi, e le nostre famiglie, saremo torturati ed uccisi senza pietà. Lo permetteremo, forse?"
I soldati urlarono "No!"
"Permetteremo forse, che tutti i nostri fratelli e le nostre sorelle periti fino a questo momento, siano morti invano?"
I soldati risposero ancora una volta "No!"
"Allora, noi guideremo l'Armata fino alla vittoria! D'ora in poi, questo reggimento sarà il 15º reggimento di linea "Alla vittoria"!"

I soldati conclusero con un unanime "O la vittoria, o tutti accoppati! Viva il comandante! Viva la Nazione!"
I soldati elogiarono ad alta voce Casato, e alzarono in aria i loro fucili e i berretti, esultando, incantati da cotanto spirito guerriero, che parlava alle masse con efficacia.
Il comandante alzò il suo berretto da ufficiale in simbolo di vittoria.

Casato si ritirò nella sua tenda, e il suo umore si rinvigorì: si sentiva come se fosse stato investito di una sorta di carica divina, come se dovesse portare a termine una missione datogli da Dio in persona.






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