Capitolo 1 -Brian

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Ho un mal di testa atroce. Apro gli occhi a fatica e mi ritrovo in una stanza in ospedale. Per un secondo mi prende il panico, ma poi appena noto Tancredi su una poltrona verde muschio vicino a me, mi tranquillizzo. Cosa diavolo ci faccio in ospedale? Mi sforzo di ricordare cosa possa essere successo, mentre l'odore pungente di disinfettante mi brucia nelle narici. Allungo il collo per guardare in che stato sono: ho un braccio ingessato, una specie di macchina di ferro attacca all'anca e sono pieno di fili. Dopotutto non sento tanto male. Faccio un respiro profondo e cerco di ricordarmi.
*Flashback*
Basta, sono stufo di questa storia. Il pensiero che Beatrice non mi voglia mi uccide. Dopo il mio patetico tentativo di riconquistarla alla festa di fine scuola, ho deciso di lasciar perdere. Fuori di me esco da casa sbattendo la porta e prendendo le chiavi della macchina dalla tasca dei pantaloni, mi dirigo a passo svelto da essa. Forse sono troppo arrabbiato per prendere decisioni, forse la mia mente è annebbiata dall'alcool. Ne ho bevuto a quantità industriali pur di dimenticare lo suo nome, ma non è successo. Ho quasi dimenticato il mio, ma il suo ricompariva nella mia mente ad ogni battito del cuore. Salgo in macchina e chiudo la portiera con un sonoro tonfo. Mi tremano le mani, mentre le sbatto violentemente sul volante. Inserisco la chiave e parto. Manca poco e sono a casa di Beatrice. Ho deciso: la lascio. In realtà non se neanche se sia stata lei a lasciare me. In tal caso potrei dare la colpa della mia dimenticanza all'alcool.
Sono quasi arrivato, la strada a quest'ora di pomeriggio è praticamente libera. Mi squilla il cellulare. Frustrato lo cerco nella tasca della giacca che ho sopra il sedile del passeggero. Tasto all'interno: un accendino, un pacchetto di sigarette mezzo vuoto, un mazzo di chiavi. Accidenti, deve essere dall'altra parte. Mi sporgo ancora un po', cercando di tenere una mano salda sul volante e guardando sia la strada sia la mia giacca. Ecco, ci sono quasi. Una macchina mi suona, ops, ho sbandato. Sento gli auricolari ed... eccolo! Sento con la punta delle dita la cover pelosa che mi aveva regalato Beatrice. Dio Santo, quella ragazza è dappertutto. Lo prendo in mano e riporto lo sguardo sulla strada, troppo tardi sfortunatamente. Faccio in tempo a leggere "Tancredi" sullo schermo e poi sento il rumore del mio parabrezza in pezzi. Non essendomi allacciato la cintura sono stato catapultato fuori. Sento i vetri dentro le braccia, le gambe e sulla faccia. Bruciano. Non posso muovermi, non posso parlare. Mi sento in trappola. L'ultimo nome che la mia mente elabora è sempre lo stesso: Beatrice.
*Fine flashback*
Apro gli occhi di scatto ed urlo, cercando di divincolarmi. Delle braccia possenti mi tengono fermo per le spalle.
«Brian, calmo! Calmati!» riconosco la voce, ma non riesco a svegliarmi dal trance in cui sono entrato. Beatrice, il telefono che squilla, Beatrice, io che sbando, Beatrice, l'incidente, Beatrice, io che vengo catapultato fuori dalla mia macchina e ancora il suo nome. Mi sto distruggendo da solo. Questi pensieri mi passano continuamente nella mente, finché sento una voce diversa. Poi un luce fortissima mi viene puntata negli occhi.
«Brian, ciao, sono il tuo medico. Hai avuto un brutto incidente, ma ora stai bene.» queste parole mi portano alla realtà e riesco a calmarmi. Apro gli occhi e trovo Tancredi alla mia destra, insieme al dottore. Alla mia sinistra ci sono due infermiere. Una di loro sta per farmi un'iniezione. «No, no, niente sedativo, sembra essersi calmato.» dichiara il dottore, che ha il nome scritto sul camice, ma che non riesco a leggere. Vedo un po' sfuocato. La graziosa infermiera esce dalla stanza, seguita dalla sua collega. «Ascolta Brian, devi stare fermo, hai una specie di tutore qui nell'anca, vedi?» indica quella cosa che spunta dalla mia pelle. «Te la sei rotta in due pezzi, questo serve per farla saldare adeguatamente.» non dico niente, mi limito a guardare Tancredi. Ha due grosse occhiaie sotto gli occhi ed i capelli sparati in aria. Sembra che non dorma bene da un po'. «Riesci a parlare?» mi passa nuovamente la luce negli occhi. «Nessun danno celebrare, sembrerebbe.» mi guarda, aggiustandosi gli occhiali sul naso. « Riesci a dirmi ciao?» aspetta un attimo, mentre mi guarda. Devo davvero dire ciao? Mi sembra un po' stupido. Apro la bocca, sicuro di me, ma non esce nessun suono. Mi inizio ad agitare. Come mai non riesco a parlare? «Riprova.» Tancredi mi si avvicina e mi tiene la mano. Non l'ho mai visto così, sembra spaventato, ancora più di me. Vorrei tanto dire che non sono una femminuccia e che riesco a farcela da solo, ma non penso di riuscire a dire così tante parole. Mi concentro sulla mia lingua, tentando di farla andare nella direzione giusta.
«Ci..» il dottore mi guarda con convinzione. «Ciao.» dico soddisfatto. Tancredi emette un grugnito di felicità, mentre credo che cerchi di trattenere le lacrime di gioia. Ci tiene davvero così tanto a me? Probabilmente anch'io farei così se fossi al suo posto.
«Perfetto.» il dottor Sarteccol, riesco a leggere ora, mi da una pacca sulla spalla. «Segui con gli occhi il mio dito.» faccio come mi dice. Poi si alza dal mio letto ed esce, soddisfatto. Tancredi mi guarda un attimo, poi si china sopra di me e mi abbraccia.
«Brutto stronzo, mi hai fatto spaventare troppo.» mi dice, asciugandosi le lacrime. «Sei stato portato in ospedale d'urgenza e sei stato in condizioni critiche per un sacco di tempo. Hanno deciso di metterti in coma farmacologico..» lo guardo sperduto, mentre mi racconta come sono andate le cose. «Avevi un tubo enorme in gola» mi indica un punto del mio collo che non riesco a vedere «e sembravi morto. Ti giuro, se fossi morto..» non finisce la frase e mi mette una mano sulla spalla. «Ti ho chiamato io, la colpa è mia.» dice, quasi sussurrando.
«Io.. io ho risposto.» dico piano.
«Volevo dirti che sono nati i gemelli.» sorrido inconsciamente. Due piccoli teppistelli. Devo vederli il prima possibile. Adoro i bambini. Mi indica la testa. «Hai male?» faccio segno di no. «Hai subito un lungo intervento. Avevi un'emorragia.» alzo le sopracciglia.
«Quanto... quanto tempo..» non riesco a parlare bene, ma sembra capirmi ugualmente.
«Oggi è il diciassettesimo giorno.» strabuzzo gli occhi alle sue parole. E Bea? Come sta? Mi sforzo per dirlo, ma non riesco. «Ah, e prima che tu venga colto impreparato, c'è anche tua madre. È andata a prendere da mangiare al bar.» faccio segno di no con la testa, sempre più veloce. «Tranquillo, le dirò che devi risposare.» chi ha avuto l'insana idea di invitare mia madre? La vedo sì e no tre volte l'anno a Natale. Mi da una pacca sulla spalla. «So che non è il momento più adatto, ma..» mi guarda di sottecchi, mezzo girato di schiena, pronto per uscire. «Beatrice chiede sempre di te, vuole vederti.» non dico niente. Mi immobilizzo completamene, solo il cuore ha accelerato il ritmo. Non faccio nulla. «Capito. Stammi bene amico. Io vado a casa dai miei bimbi.» sorride orgoglioso ed esce. Fa così strano sentirglielo dire.

Spazio autrice
Lo so che avevo detto che avrei aspettato a scrivere il seguito di "His Smile", ma proprio non ho resistito! Ho tante idee in testa e volevo scriverle. Questo è il primo capitolo, spero che vi piaccia.
Un bacione😍
-Vale🌸

His Smile 2 - Il nostro per sempreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora