Da quando abbiamo attraversato quei due lembi di terra, che si avvicinano pericolosamente come due innamorati in procinto di baciarsi, abbiamo visto solo acque blu profondo. La luna è nata cinque volte e le stelle hanno ruotato sopra le nostre teste per centinaia di notti. Ieri il cielo si è incupito durante la sera e ha poi sfuriato e pianto per tutta la nottata: forse mi ha portato i pensieri di Penelope. L'ho abbandonata con l'intenzione di farlo questa volta, a differenza della mia partenza per Troia, perché non ne potevo più. Ero stanco, stanco di vivere in quella monotona reggia, dove si svolgevano banchetti tutti uguali, con sempre le stesse pietanze e i noiosi commensali, davanti alla solita coppa di vino scuro servito da un anonimo servo. Non riuscivo più a desiderare le labbra di Penelope, incoronate di rughe e avvalamenti, così come gli occhi, un tempo vivi e luccicanti, ora illuminati di sola gelosia e circondati di solchi e grinze.

Mi pento di averla lasciata ancora, ha un cuore puro e non merita solitudine, ma io non merito nemmeno di rimanere senza il mio sustentamento. Ho sbagliato, lo riconosco, quandi mi sono abbuffato di nuove scoperte. Ora cercosolo la bevanda più sublime: forse la mia sete sarà saziata.

Da cinque mesi abbiamo passato le Colonne d'Ercole e il mare appare sconfinato. I giorni sono sempre uguali. L'unico cambiamento da quando siamo salpati sono gli astri: ora non riesco più a trovare le solite costellazione che apparivano nella volta celeste e la stella  polare è affogata tra le onde da giorni.

La luna si è accesa cinque volte da quando ho arringato i miei uomini. Dopo tutti i pericoli passati non si poteva rinunciare a tale avventura: gli uomini non sono nati per vivere come bestie, la loro natura  ricercare la conoscenza. Hanno ascoltato le mie parole di vecchio e abbiamo oltrepassato i confini del mondo.

Sto guardando il mare, adesso, roseo per la luce dell'alba dopo il temporale, seduto a poppa, dove il sole sta sorgendo. Improvvisamente mi sento chiamare. All'orizzonte è comparsa un'enorme montagna, che si erge solitaria al centro del mare. E' ancora molto lontana, ma dovremmo raggiungerla prima del pomeriggio perché il vento soffia forte.

Non è ancora mezzogiorno che, mentre ci dirigiamo verso la gigantesca roccia, vengo destato dai miei pensieri da un grido di uno dei miei marinai. Lo raggiungiamo in fretta e seguiamo il suo dito puntato. E capiamo. Un vortice bianco e spumoso è poco lontano da noi, proprio nel mezzo della nostra rotta, e risucchia le acque con potenza. Spingo via il timoniere per prendere il controllo della nave con una spallata. Ruoto il timone con tutta la forza che ho in corpo per invertire la nostra direzione, ma non serve. Il vortice è così grande che, qualunque virata eseguissi, la nave ci finirebbe dentro. Tornare indietro è impossibile. Il vento soffia impetuoso spingendoci verso il mulinello, come se ci stesse accompagnando, tenendoci per mano, verso la nostra Morte.

Ecco: siamo stati catturati, e giriamo, giriamo, giriamo. Gli uomini gridano, si tengono stretti allanave. Alcuni pregano urlando il nome di Poseidone, altri mi rimproveno l'idea idiota con tutto il fiato che hanno in gola. Ma io non sento nemmeno. Le parole di Penelope rimbombano nella mia testa: odio ammettere che aveva ragione.

La nave si ribalta, fiamo in acqua, mentre balliamo questa strana danza con il mare e facciamo piroette e aondiamo e risaliamo in superficie. Provo a tenermi a galla nuotando per sottrarmi a questo ballo mortale ma ormai sono nel centro del vortice. "Morirai!", mi disse Penelope.

E affogo.

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