02. Qui si va di male in peggio.

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Mi sentivo vuota, incredula, incapace di ragionare e di trovare una soluzione. Le lancette dell'orologio scorrevano, mia madre sarebbe presto tornata da lavoro ed io non potevo di certo mentirle su una cosa del genere. Mi trovavo di fronte ad un bivio, dovevo prendere una decisione e accettarne le conseguenze. Conseguenze che potevano rivelarsi catastrofiche conoscendo mia madre.

Era una malata dell'ordine, amava dettare regole e farle rispettare. Era un po' come il presidente Snow e i Pacificatori di Hunger Games. Snow dettava le regole. I Pacificatori facevano in modo che queste regole venissero rispettate e se una persona osava disubbidire le conseguenze erano amare. Ed io ne avevo viste davvero di tutte i colori. Avevo paura di ciò che mia madre avrebbe potuto farmi, avevo solo diciotto anni e non avevo un lavoro o altri appoggi. La mia famiglia paterna era in California, anche mio padre lo era. Non che a lui avessi mai detto una cosa simile, avrebbe ucciso prima me e poi il ragazzo che mi aveva messa incinta. Peccato che non sapessi chi fosse. I miei nonni materni, invece, erano proprio come mia madre e, per il semplice fatto che mia madre aveva divorziato, ci avevano abbandonate. Avevo solo una zia materna, zia Rose, che però doveva accudire a Zio Matt che in un incidente aveva perso le gambe. Non potevo chiedere aiuto a lei, aveva già troppi problemi.
Ero sola, dannatamente sola. E avevo paura.

Mi passai una mano tra i capelli e guardai ancora i tre test di gravidanza che erano risultati positivi. Sarei diventata madre e cosa avrei assicurato a mio figlio? La mia stessa vita non era sicura, era già il cinque agosto e non sapevo ancora in che college andare o che svolta dare alla mia vita. Come avrei potuto prendermi cura di un bambino, andare a lavorare, provvedere alle spese, comprare da mangiare e fare sia il padre che la madre, da sola?
Era una battaglia già persa in partenza.

Sospirai e mi alzai dal pavimento freddo del bagno adiacente alla mia camera. Gettai nel cestino i test e mi preparai psicologicamente ad affrontare mia madre che sarebbe arrivata in tre minuti esatti. Era una maniaca del controllo, anche dell'orario.
Quando la porta di casa si aprì, sobbalzai e cominciai a sudare freddo. Dovrei dirglielo subito o dovrei aspettare dopo cena? Dovrei dirle che so chi è il padre, o raccontarle la verità? Dovrei spiegarle che ho intenzione di tenerlo e combattere contro il suo pensiero sull'aborto?
Non sapevo cosa dire, cosa fare. Avevo paura della sua reazione, paura che potesse mettermi in punizione a vita o che peggio, mi obbligasse ad abortire. Ed io odiavo assolutamente l'aborto.
"Sono a casa!" urlò mi madre dal salotto e sospirai.
"Tre, due, uno.."
"Tesoro, tutto bene?" mia madre entrò con la sua solita puntualità in camera mia guardandomi con i suoi occhioni neri e grandi.
"Sì, bene" farfugliai. "Però devo parlarti" le dissi abbassando lo sguardo.
Mia madre non rispose, si limitò a sedersi sul letto al mio fianco. Era seria, non l'avevo mai vista così seria in vita mia. Non sapevo se quello era o meno il momento giusto per dirle la verità, ma sapevo che più tempo avessi aspettato più la situazione sarebbe peggiorata.
"È una cosa importante?" mi chiese, senza un briciolo di emozione. Annuii.
"È più che importante. A dire il vero, non so neanche se dirti o meno questa cosa. Perché so il tuo punto di vista e le tue punizioni e.."
"Afrodite, va dritta al punto. Sai che odio i giri di parole e che esigo che tu sia schietta e diretta." l'indice di mia madre, puntato contro il mio petto, non ammetteva repliche.
Rimasi a fissare i suoi occhi neri per un paio di secondi, forse per addolcirla o per sapere se era o meno arrabbiata. Volevo cogliere ogni suo sentimento, volevo sapere a cosa stava pensando. Ma purtroppo non ero Edward Cullen e non leggevo nella mente, potevo solo formulare ipotesi. E la mia ipotesi era: è arrabbiata nera. Mi passai una mano tra i capelli e chiusi gli occhi sospirando, dopodiché mi feci coraggio e parlai.
"Sono incinta" sbottai senza pensarci due volte. Pensavo di sentire la mia guancia in fiamme a causa di uno schiaffo, o di sentire le sue urla e le sue solite lezioni di vita. Ma non fu così.
"Che cosa?" sussurrò incredula, quasi quanto me. Non avendo il coraggio di guardarla negli occhi così annuii semplicemente continuando a tenere lo sguardo basso. "Dimmi che non ho sentito bene, Afrodite. Dimmelo!" si alzò dal letto e continuò a puntarmi il dito contro. Io invece restai con lo sguardo basso e gli occhi chiusi. Mi vergognavo di me stessa. "Afrodite Jackson, adesso mi devi delle spiegazioni e penso che questo sia il minimo. Cosa diamine vuol dire che sei incinta?!" questa volta urlò ed io, spaventata, alzai lo sguardo.
"Vuol dire che ho fatto sesso con un ragazzo e che adesso sono incinta! Questo vuol dire mamma, questo!" alzai anch'io la voce e mi passai le mani tra i capelli, portai le ginocchia al petto e cercai invano di far tornare al proprio posto le lacrime che stavano cominciando a scendere dai miei occhi.
"Hai fatto sesso con un ragazzo? Il tuo ragazzo?" mi chiese, scossi la testa. "Non è il tuo ragazzo?" scossi ancora la testa.
"Non so chi sia" sussurrai con la voce rotta dal pianto e il cuore diviso in due.
Mia madre non rispose. Rimase ferma, immobile, al suo posto, senza emettere alcun suono. Sembrava sconvolta, allibita, forse anche delusa. Ed ero stata io a deluderla. Non ero mai stata la figlia che desiderava avere, non ero mai stata tanto brava e intelligente, ubbidiente e rispettosa. Avevo un carattere talmente ambiguo che mi portava ad essere spavalda con le persone con cui avevo confidenza, ma insicura col resto del mondo. Cercavo di ubbidire e di portare rispetto, ma quando sentivo che veniva intaccata la giustizia allora rispondevo portando 'disonore' a mia madre di fronte ai suoi amici. Ero strana, forse un po' troppo sulle mie, troppo chiusa nella mia bolla, nel mio mondo (im)perfetto.
E proprio per questo la realtà aveva deciso di farmi un brutto scherzo facendomi ricordare che esiste, e che non sempre è dalla mia parte.
"Non pensavo che fossi anche una sgualdrina oltre che una figlia irresponsabile.." sussurrò mia madre. Spezzandomi il cuore in quattro, perché era già diviso in due. Non riuscii a non dar peso a quelle parole e non riuscii a non dar peso nemmeno ai suoi successivi gesti. Da sotto al letto, mia madre prese le due valigie che spesso usavamo per le vacanze e, con uno scatto, le aprì.
"Cosa stai facendo?" le chiesi guardandola aprire tutti i cassetti della mia cassettiera e il mio armadio.
"Questa è la volta buona che te ne vai da tuo padre, non voglio che nessuno sappia cosa sei diventata portando disonore a me! Me, che ti ho cresciuta con tutto l'amore che potevo darti!" mi urlò contro. E fu impossibile non piangere.

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