10. 'Ci vediamo nei sogni, angelo mio'.

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Per farmi calmare, mentre preparavano mia madre per la camera mortuaria in attesa del funerale, Justin mi portò al bar dell'ospedale e mi prese una camomilla. Gli avevo più volte detto che non ne avevo bisogno, che l'unica cosa che volevo era riabbracciare mia madre, ma entrambi sapevamo che non avrei potuto fare ciò, per cui avevo acconsentito alla camomilla con doppio filtro. Da quando eravamo arrivati all'ospedale Justin non mi aveva lasciato un attimo. Era rimasto al mio fianco, mi aveva sostenuta, mi aveva fatto capire che c'era e che ci sarebbe stato. Quasi mi sentivo in colpa a non pensarlo più del dovuto e a non affrontare l'argomento che avevamo lasciato in sospeso il pomeriggio a casa sua, ma non ce la facevo ad affrontare altri discorsi. Mia madre era morta, riuscivo a pensare solo a quello.
Mio padre, dopo essersi risvegliato, aveva capito che c'era qualcosa in me che non andava e che non erano solo gli strati di lana a crearmi la pancia. Però non aveva ancora fatto domande, forse perché in passato avevo avuto problemi con l'alimentazione e poteva aver pensato che ci fossi ricaduta. Nonostante questo, fu sorpreso di rivedere Justin, di rivederlo con me per giunta. Aveva addirittura provato ad estorcergli informazioni, ma Justin aveva occhi e labbra solo per me. 

"Rimaniamo qui, questa sera?" annuii.
"Sì" dissi poi. "Non voglio restare dai miei nonni però, andremo a casa mia.." mormorai e abbassai lo sguardo verso la camomilla.
"Così mi farai vedere la tua stanza?" Justin mi prese una ciocca di capelli, me la spostò dietro l'orecchio e mi sorrise. Annuii ancora, dopodiché sospirai. "Vieni qui" mi disse poi allargando le braccia. Scesi dallo sgabello a fatica e mi avvicinai al corpo di Justin facendomi stringere dalle sue braccia. "Non so il dolore che stai provando in questo momento, ma so che sei forte e che potrai affrontarlo. Non devi farlo solo per te stessa, ma anche per il mostriciattolo che c'è dentro di te." tirai su col naso e feci per asciugarmi gli occhi con la mano, ma Justin mi precedette. "Si sistemerà tutto. Non dico che il dolore si allontanerà per sempre perché non è così, ma si affievolirà e dopo questa ferita rimarrà soltanto una cicatrice un po' dolente"
"Justin, era mia madre.." mormorai contro il suo petto. "Come farò senza di lei?"
"Sarà difficile, ma io sono qui per te, come lo è tuo padre, come lo è mia madre, come lo è Ryan o Andrew o chiunque tu conosca perché tu sei una delle ragazze più meravigliose che io abbia mai conosciuto" Justin mi prese il viso tra le mani, mi guardò intensamente negli occhi e mi accarezzò sotto gli occhi. "Adesso sta arrivando tuo papà, sta attraversando il bar. So che non è facile, ma è arrivato il momento di dirgli la verità"
"Dire a chi la verità?" chiese mio padre facendo capolino. "Vi stavo cercando, hanno preparato la mamma e possiamo vederla, abbiamo tempo fino alle otto perché poi devono mettere via il corpo per la cella mortuaria" disse papà accarezzandomi la testa. Sospirai, dopodiché annuii. "Di cosa stavate parlando?"
"Perché non andate a farvi una passeggiata?" suggerì Justin alzandosi e mettendomi una mano sul fianco.
"Ti va, bambolina?" Bambolina, mi chiamava sempre in quel modo quand'ero piccola. Lui mi chiamava 'bambolina', mamma invece mi chiamava 'zuccherino'. Justin sorrise a quel nomignolo e mi baciò la guancia sotto lo sguardo confuso e schifato di mio padre.
"Ti raggiungiamo dopo" dissi a Justin rivolgendogli un mezzo sorriso. Fece per andarsene per lasciarci soli quando lo fermai. E lo abbracciai. "Grazie" gli sussurrai all'orecchio trasmettendogli tutta la gratitudine che provavo per lui in quel momento. In risposta ricambiò l'abbraccio, mi baciò ancora una guancia e infine mi guardò negli occhi facendomi un'occhiolino. Era l'unica bellezza certa in tutto quello schifo che mi circondava.

Dopo l'abbraccio andò via lasciandomi tra le braccia di mio padre. Erano mesi che non vedevo l'uomo che mi aveva dato la vita, rispetto a come me lo ricordavo aveva qualche capello bianco in più e qualche ruga in più, ma era pur sempre il bellissimo uomo d'affari di quarantadue anni che ricordavo. Quando mi poggiò un braccio sulle spalle non mi sentii come mi sentivo quando era Justin ad abbracciarmi in quel modo, ma mi sentii amata in un altro modo: era il modo in cui si amava una figlia. Per una decina di minuti camminammo attorno all'ospedale senza parlare, ci bastava stare insieme e condividere quegli attimi strazianti che usai anche per riorganizzare le idee e trovare le parole per dirgli ciò che dovevo dirgli - non sarebbe stato affatto facile.
"Non sapevo che tu e Justin vi conoscevate" spezzò il ghiaccio mio papà una volta entrati al parco di fronte l'ospedale. Nonostante fosse tutto completamente bianco, riuscimmo a trovare una panchina asciutta e ci sedemmo lì.
"A dire il vero non lo conoscevo prima di agosto" gli dissi con voce acuta.
"Lui non viveva con il padre a Toronto?"
"Sì, ma quando tu e Pattie vi siete lasciati lui è andato a vivere dalla mamma" mormorai guardando il vuoto.
"E come vi siete conosciuti?" mi chiese poi e solo in quel momento mi girai.
"Facciamoci una promessa, adesso. Io ti prometto di raccontarti tutto e tu mi prometti di restare in silenzio ad ascoltare, senza però reagire alla fine della storia. Già non è facile per me, in questo momento, raccontarti tutto, non vorrei che cominciassi a fare cose che potrebbero farmi pentire della mia scelta."
"Te lo prometto" mio padre mi prese le mani e me le strinse, dopodiché cominciai a parlare.
"E' cominciato tutto a luglio.." iniziai.
"Ma non era ad agosto?" mi interruppe subito mio padre, lo fulminai con lo sguardo.
"Stavo dicendo, è cominciato tutto a luglio, subito dopo la scuola. Ricordi che la mamma ti aveva chiamato perché voleva avere il tuo consenso per mandarmi in discoteca con Chrystal e Danielle?" papà annuì. "Bene, è iniziato tutto quella sera. Io e le ragazze ci siamo preparate, siamo andate in discoteca e tra la folla, mi sono persa e mi sono rifugiata al bancone del bar dove ho bevuto qualche bicchiere di troppo. Non avendo mai bevuto prima, l'alcol mi ha fatto subito effetto e sono andata a ballare. Inizialmente respingevo qualsiasi ragazzo mi si avvicinava, ma dopo un po' ne è arrivato uno che mi ha completamente spiazzata. Inizialmente avevamo solo ballato, poi ci siamo baciati e poi.. sì, poi siamo stati insieme come stanno insieme due persone che sono già sposate." mio padre strabuzzò gli occhi e schiuse la bocca, ma non gli diedi il tempo per parlare. "Sì, lo so che ho sbagliato perché nemmeno lo conoscevo, però in quel momento mi sentivo così presa da lui, dalla sua bellezza, dal modo in cui mi accarezzava.. Nessuno mi aveva mai toccato in quel modo e ne sono rimasta talmente affascinata che ho desiderato molto più di una semplice carezza. Quando sono dovuta andare via mi ha dato una targhetta con su scritto una data e le iniziali del suo nome che ho sempre tenuto al collo, la levavo solo per fare la doccia e dormire. Ed io inconsapevolmente avevo lasciato lì la cintura che mi avevi regalato tu, quella con le mie iniziali. Quella penso sia stata la serata più bella della mia vita. Nemmeno la punizione che era derivata dalle ore di ritardo l'aveva rovinata. Essendo in punizione non potevo uscire per provare a riconoscere il ragazzo e, una volta finita la punizione, ho cominciato a sentirmi sempre più male. Vomitavo, ero sempre stanca, il mio umore cambiava da un momento all'altro, andavo spesso in bagno. Pensavo che fosse una semplice influenza che non voleva andare via, così un giorno mi sono finalmente decisa di andare dal medico e mentre camminavo mi sono resa conto di un fattore molto importante: era in cinque agosto e il mio ciclo era in ritardo."
"Oh mio Dio" mormorò papà portandosi una mano tra i capelli.
"Aspetta, lasciami continuare." lo rimproverai ancora sentendo il cuore battere forte. "Sono andata in farmacia, ho comprato tre test che ho eseguito a casa e tutti e tre sono risultati.. sono risultati positivi" sussurrai quest'ultima parte puntando il mio sguardo in un punto indefinito. "Papà, sono incinta" alzai lo sguardo e lo guardai cercando il suo sguardo, che però era perso nel vuoto. Gli strinsi di più la mano cominciando a sentire la pressione farsi sempre più forte. "E quando l'ho detto alla mamma lei mi ha cacciata di casa" mormorai con la voce rotta dal pianto. Quei ricordi erano più taglienti delle spade. "Mi aveva detto di venire da te, di non farmi più vedere perché non voleva che la sua reputazione potesse essere infangata da me che ero stata negligente nel fare sesso con uno sconosciuto. Però avevo paura di una tua reazione, non mi sentivo pronta a lasciare definitivamente il Canada e così avevo pensato di andare da zia Rose per chiederle un consiglio quando ho incrociato il nome di Pattie nella rubrica. Io e lei siamo rimasti in buoni rapporti e quindi l'ho chiamata chiedendole aiuto, sono andata da lei, mi sono sfogata e infine mi ha chiesto di restare da lei. Inizialmente non volevo restare, però lei ha insistito ed ho deciso di accettare l'invito. Quella stessa sera ho conosciuto Justin e credimi, non era per niente felice di avere un Jackson in casa dopo quello che avevi fatto alla madre. Inizialmente le cose tra di noi non andavano per niente bene, poi col tempo abbiamo imparato a capirci e a rispettarci grazie anche al fatto che mi aveva offerto un lavoro nel suo negozio. Col tempo mi sono praticamente innamorata di lui e ci siamo anche baciati una volta, però non abbiamo mai approfondito l'argomento perché sapevo che la nostra storia non avrebbe mai funzionato"
"E il ragazzo della discoteca?" m'interruppe nuovamente mio padre, lo guardai smorzando un sorriso.
"Certo che non sai proprio mantenerle le promesse. Adesso ci arriviamo." gli diedi un paio di buffetti sul viso e presi le sue mani prima di cominciare. "Oggi pomeriggio sono venuta qui all'ospedale a fare l'ecografia morfologica. Quando poi sono tornata, ho cominciato a rassettare casa. Sono entrata in camera di Justin e, dopo aver sistemato tutto, ho piegato delle maglie e le ho messe nell'armadio. Stavo per chiudere ma ho visto una cosa che mi ha un po' spaesata. Justin aveva la mia cintura, quella che mi avevi regalato tu. Non la trovavo da mesi e pensavo di averla rimasta qui a London, ma Justin sosteneva che era impossibile che fosse mia perché una ragazza che era stata con lui l'aveva dimenticata nel rivestirsi. Ho ricordato l'ultimo momento in cui l'avevo messa, ho ricordato il fatto che anche Justin fosse stato in quella discoteca la notte in cui ci ero stata io, ho pensato a cosa mi ricordassi di quel ragazzo e poi ho avuto una specie di flashback. Mi sono ricordata della targhetta con su scritto 01.03.1994. J.D.B. e ho fatto due più due. Justin è nato il primo marzo del novantaquattro, il suo secondo nome è Drew, il suo cognome Bieber. Il ragazzo della discoteca aveva una croce sul petto, lui aveva la stessa croce e gli stessi vestiti che ricordavo. E.."
"E quindi tu e Justin avrete un bambino" continuò mio padre al posto mio ed io, non sapendo più cos'altro dire, sospirai ed annuii.
"Non volevo dirtelo in questo modo" ricominciai a piangere e mi gettai tra le braccia di mio padre. "So che sono una delusione perché sono incinta e ho solo diciotto anni, lo so, però so anche che.."
"No, tu non sei una delusione" sussurrò mio padre tra i miei capelli. "Tu sei la mia bambina e non sarai mai una delusione" mi prese il viso tra le mani e mi guardò negli occhi. "Posso dirti che sei stata irresponsabile e che non posso fare i salti di gioia per il fatto che diventerò nonno, sopratutto in questo momento. Ma per me non sei una delusione e mai lo sarai." mio padre riprese a stringermi, mi strinse la testa sul suo petto e mi baciò più e più volte la fronte. "Justin cosa ne pensa?"
"Non abbiamo avuto il tempo di parlarne, ci ha chiamati la nonna e.. puoi immaginare"
"Già, non ci ho capito nulla nemmeno io" mormorò papà accarezzandomi la schiena. "Mi sembra molto legato a te"
"E lo è. Però non voglio che un ragazzo di ventitré anni passi la sua vita con una ragazza di diciotto anni che non ama solo perché avrà con lei un figlio. Voglio che sia lui a scegliere cosa fare e come comportarsi perché è una grande responsabilità" alzai lo sguardo verso mio padre che annuì comprensivo. "Ti va di accarezzarlo?" gli chiesi prendendogli le mani.
"È un maschietto?" mi chiese toccandomi la pancia. Un brivido mi percorse la schiena non appena mi baciò la pancia.
"Non ho voluto saperlo, il dottore me lo ha scritto su un foglietto che ha messo all'interno di una busta assieme ai dettagli dell'ecografia"
"Aspetti Justin per aprirla?"
"Aspetto di essere pronta, poi quando lo sarò chiederò a Justin di stare con me quando aprirò la busta" gli risposi. "Adesso che sai tutto, penso sia meglio andare" papà annuì e mi aiutò ad alzarmi.
"Andiamo, mia piccola grande donna" mi baciò un'ultima volta la fronte dopodiché ci avviammo insieme verso l'entrata dell'ospedale.
Mia madre era stata spostata in una delle camere vicino al pronto soccorso così ci avviamo direttamente a piedi verso la camera. Non sapevo se realmente volevo vederla, però sapevo che avrei dovuto affrontare la realtà. E la realtà era che mia madre non c'era più.
Non appena arrivammo al pronto soccorso, riconobbi gran parte dei presenti come gli amici di mia madre e i colleghi di lavoro. Mia madre era un avvocato, era una gran donna che si faceva rispettare, dal carattere sempre allegro anche se era molto severa. Sapeva farsi amare e vedere tutte quelle persone, lì per lei, mi fece battere il cuore ancora di più. Mi feci spazio tra la gente subendo tanti 'mi dispiace', tanti 'ti faccio le mie condoglianze' e tanti 'non meritava una fine simile'. E lo dicevano a me, che ero la figlia. Non appena arrivai fuori la camera dove era tenuta mia madre, mi spaventai nel sentire il pianto di mia nonna che si chiedeva il perché di tutto quello che era successo. C'era una tale agonia nell'aria, un tale malessere che cominciai a non sentire le ginocchia e la testa cominciò a girare. Fortunatamente avevo mio padre al mio fianco, perché non smise di tenermi un secondo.
"Non ce la faccio, papà" sussurrai piangendo. "Mi sento una figlia orribile, ma non ce la faccio" mi girai verso il petto di mio padre cominciando a piangere sempre più forte. "So che se entro là dentro svengo. Papà, non ce la faccio, non ce la faccio!" continuai a piangere contro il suo petto, sul suo giubbotto, tra le sue braccia.
"Non sei orribile, bambina mia" mio padre mi strinse ancora di più, anche la sua voce era rotta dal pianto.
"Mia madre è morta e non riesco nemmeno a darle l'ultimo saluto, sono più che orribile, sono un mostro" piansi ancora cercando di far rallentare il mio cuore che batteva sempre di più.
"No, la mamma lo avrebbe capito, la mamma ti avrebbe fatto compagnia se mi fossi trovato io nella sua stessa situazione e adesso è proprio ciò che farò. Starò qui con te, ti stringerò per tutto il tempo che vuoi" mio padre mi accarezzò la testa, mi baciò la fronte, mi accarezzò il viso.
"So che tu vuoi andare da lei, so che nonostante tutto le volevi ancora bene e che desideri darle un ultimo addio. Quindi va, quando Justin ti vedrà verrà lui qui" lo rassicurai provando a tenere un tono di voce relativamente normale.
"Sei sicura?" annuii. "Torno subito" mi disse poi lasciandomi.
Sospirando, mi avvicinai lentamente ad una sedia sotto lo sguardo di molte persone che volevano avvicinarsi ma che non riuscivano a trovarne il coraggio. Dopo essermi seduta, poggiai la testa al muro e fissai il mio sguardo nel vuoto più assoluto. Mi sentivo vuota in quel momento, mi sentivo persa, sentivo di star sbagliando tutto. Volevo entrare in quella stanza, ma nello stesso momento avevo paura di ciò che sarebbe potuto succedere a me. Avevo già perso mia madre, non potevo perdere anche mio figlio. Dovevo stare tranquilla, ma non ci riuscivo. Avevo paura, piangevo, stavo male, soffrivo. Provavo così tante emozioni insieme che non sapevo nemmeno io quale di queste fosse quella che predominava.
Ero così immersa nei miei pensieri e nel mio dolore, che non mi resi nemmeno conto delle persone che mi si erano avvicinate e che mi avevo fatto le condoglianze. No, in quel momento niente e nessuno mi avrebbe fatta stare meglio, solo riavere mia madre. Non mi resi conto nemmeno di Justin, che si era seduto al mio fianco e mi aveva preso la mano. Aveva capito che non volevo parlare, che volevo rimanere immersa nel mio silenzio, così aveva deciso di rispettare la mia scelta. E gliene fui grata.

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