Chapter Three: Mess (3)

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La sua vita era stata rivoltata sottosopra da un giorno all'altro. Fino a poco prima di udire quelle parole, era stato ancora lo scienziato di Black Hat, il più grande villain che fosse mai esistito, una posizione ambitissima che era il Dottor Flug Slys a ricoprire con un silenzioso orgoglio, non qualcun altro. E ora... ora temeva per la sua vita, ora aveva paura di perdere la sua vita, e di non poter far niente per impedirlo.
Le notti erano insonni e le giornate erano stressanti, ogni qualvolta sentiva qualcuno avvicinarsi al laboratorio il suo respiro si inceppava dolorosamente e il suo intero corpo si tendeva come una corda sul limite di sfilacciarsi. Non importava fossero 5.0.5 o Demencia, il suo organismo reagiva sempre e comunque in quel modo finché uno dei due non compariva sulla soglia. Rare volte, era bensì Black Hat a fare il suo ingresso nel laboratorio... e l'aria, a quel punto, diveniva puroacido bruciante nei suoi polmoni.
Qualunque cosa stesse facendo, che fosse avvitare un bullone o miscelare sostanze chimiche in un'ampolla, Flug continuava a farla con un'automatica, metodicaprecisione, mentre i suoi sensi si proiettavano tutti sulla figura del suo capo, sulla consapevolezza della sua presenza, sul frusciare delle sue vesti e del cliccare dei tacchetti delle scarpe... tutti suoni che non potevano rivaleggiare col chiassoso battere del suo cuore angosciato ed impaurito.
Quando Black Hat se ne andava, spesso dopo aver scambiato poche parole con lui, lo scienziato si concedeva il lusso di sollevare la busta per asciugarsi il viso, cercando di regolarizzare il suo stesso respiro, mentre il malsano sollievo di averla scampata ancora una volta gli bagnava i sensi in ipertensione. Il suo stomaco rimaneva sempre un po' annodato su sé stesso al termine di ogni visita, nodo che se era ora di pranzo o cena gli faceva passare l'appetito, che se era orario di riposo gli faceva ronzare il cervello sotto mille pensieri spasmodicamente agitati. Riprendere il lavoro dove lo aveva lasciato diveniva ogni volta sempre più difficile,costantemente più difficile.
Aveva paura di morire, non si vergognava nemmeno ad ammetterlo, o a dirlo ad alta voce qualora fosse da solo - e quella realtà diventava ancora più vivida quando quella confessione senza filtri lasciava le sue labbra tremule. E Flug non voleva morire, ma non poteva esattamente sperare di lasciare la villa indisturbato, Black Hat sarebbe andato su tutte le furie, lo avrebbe rincorso in capo al mondo, e una volta trovato - ed era certo che lo avrebbe trovato, perché nessuno poteva sperare di nascondersi per tutta la vita da Black Hat - lo avrebbe torturato spietatamente, e avrebbe indugiato nella tortura quanto più gli aggradava. A Flug non dispiaceva quando erano altri a divenire oggetto del divertimento del suo capo, m-ma lui... non voleva divenire lui stesso oggetto di quel sadismo agghiacciante, privo di una pietà che sarebbe stata inutile da invocare; Black Hat non aveva pietà per i suoi nemici e ne riservava ancora meno ai traditori.
Aveva paura di morire, e si stava scervellando per trovare un modo per scampare ad un destino che poteva diventare prossimo da un secondo all'altro.
Ed il punto di rottura era infine giunto prima di quanto credesse.
Stavano filmando una pubblicità per un nuovo prodotto, la presentazione stava andando bene, ma al momento della dimostrazione, nell'esatto momento in cui Black Hat aveva iniziato la dimostrazione, l'invenzione aveva avuto un malfunzionamento considerevole.
E l'ira dell'Eldritch non aveva tardato a scuotere l'aria del laboratorio.
« FLUUUG! DANNATO INCOMPETENTE! »
Flug sentì un paralizzante brivido lungo tutta la schiena in quel frangente e non badò alle risatine di Demencia, o al rannicchiarsi impaurito di 5.0.5.; badò solo all'incedere minaccioso, inevitabile, del più potente villain dell'universo, di cui si era attualmente attirato addosso le ire.
Oh no, o-oh no.
« S-signore i-io- io p-posso spiegare- »
In un battito di ciglia, Black Hat fu su di lui e gli artigliò il bavero del camice, i suoi piedi molli finirono a toccare terra solo con le punte.
« Spiegare COSA, Flug? Io vedo solo te e la tua solita inutilità espressa qui al suo massimo grado! »
I-inutilità? No, no, non poteva essere, Black Hat non stava mica p-pensando-!
« S-signore, l-la p-prego-! »
« Osi ancora ribattermi Flug? Vuoi MORIRE per caso?! »
Flug spalancò gli occhi, ogni centimetro del suo campo visivo traballante era occupato dall'espressione incollerita di Black Hat. L'occhio visibile dell'Eldritch era iniettato di rosso, un riflettersi di rubino si era rispecchiato sul vetro del monocolo, le zanne sporgevano da quelle labbra inumane come rasoi.
Il sacchetto divenne una scatola che non faceva filtrare ossigeno e Flug tremò incontrollatamente, i denti affilati del suo capo così pericolosamente vicini al suo viso avrebbero potuto strappargli la carne dalle ossa in un solo morso ed emanavano un inquietante alone verdastro a causa della saliva.
Un estenuante e lungo brivido gli attraversò la schiena, gli intirizzì la pelle e lo raggiunse in viso, dove le lacrime si accumularono in un attimo all'interno dei suoi occhialoni.
" Mi vuole uccidere. "
Quel pensiero era stato la goccia che aveva fatto traboccare il suo vaso di contenimento, riempito fino all'orlo dopo tutte le volte che credeva di aver avuto salva la vita, ma che ora poteva solo strabordare, perché il fato lo aveva finalmente raggiunto - e lo aveva fatto con la promessa di un dolore che aveva solo voluto rimandare e rimandare e rimandare ancora.
La paura si tramutò in terrore e Flug spinse con tutte le sue forze contro la presa delle mani di Black Hat.
Il demone miracolosamente lo lasciò e lo scienziato si ritrovò carponi a terra, in iperventilazione, le mani che a malapena lo reggevano da quanto tremavano - ma il resto del suo corpo non fu altrettanto impreparato.
Le sue gambe si mossero in autonomia, lo fecero filare via fuori dal laboratorio e giù nel corridoio, i piedi che a stento toccavano terra. Doveva fuggire, Black Hat lo voleva uccidere, lo avrebbe ucciso, lo avrebbe fatto sicuro, e lui non sapeva dove scappare, non sapeva come salvarsi, n-non c'era modo di s-salvarsi.
Aveva cercato di non fare passi falsi, aveva oh così disperatamente cercato di rendersi di nuovo indispensabile agli occhi del suo superiore, ma era stato tutto inutile, tutto i-inutile. Inutile come la sua solita i-inutilità...
Si era lasciato cadere a peso morto sulle sue ginocchia ad un certo punto, incurante di dove si trovasse, di dove il suo corpo in preda al panico lo avesse portato.
Respira, respira, respira - ma a cosa sarebbe servito respirare, quando aveva probabilmente fatto infuriare il suo capo per quella che era la volta decisiva, per quella che era la volta fatale? La volta fatale, la volta fatale, la volta in cui quegli artigli gli avrebbero tirato fuori le interiora, la volta in cui quei tentacoli lo avrebbero fatto a pezzi, la volta in cui il suo genio non lo avrebbe aiutato a salvarsi.
Una folata di vento, che gli gonfiò il camice e si infiltrò tra i suoi vestiti fino a gelargli la pelle sudaticcia, lo rese finalmente consapevole di dove si trovava: il tetto della magione.
Flug si strinse addosso i suoi indumenti da lavoro, con le mani che scavavano in profondità nei suoi avambracci, le lacrime che stavano bagnando le guance ed appiccicavano la carta al suo viso. Tutto ciò che poteva ormai fare era aspettare l'arrivo del demone, sperare che Black Hat non sarebbe stato dell'umore per prolungare le sue sofferenze.
Una parte dentro di lui protestò contro quel pensiero: non voleva morire in questo modo, non voleva morire soffrendo come un cane! Non era dignitoso andarsene così, non era dignitoso lasciare che fosse Black Hat a decidere del suo destino!
Ma non aveva molto tempo, non aveva più tempo.
Si alzò in piedi, raccogliendo le ultime forze rimastegli in corpo per avvicinarsi al limitare del tetto. Le uniche risorse che poteva utilizzare in un luogo del genere era l'altezza e la velocità di caduta del suo corpo. Forse era per questo che i suoi piedi lo avevano portato lì, forse perché inconsciamente aveva già deciso cosa doveva fare.
Un'altra folata di vento lo scosse non appena abbassò la testa, a fissare il giardino sul retro della magione che si estendeva sotto di lui. Erano... q-quanti metri potevano essere? Una cinquantina? Una settantina? Di meno? Da quell'altezza ogni cosa a livello del terreno gli sembrava piccola, piccolissima, minuscola. Aveva pilotato aerei in grado di giungere ad altezze molto più elevate di questa e aveva osservato decine di paesaggi senza mai sentire un principio di vertigini stringergli lo stomaco. M-ma adesso... adesso le sue caviglie erano divenute di gelatina, il suo stomaco sembrava essergli finito in gola, le lacrime sfocavano una vista già annebbiata e nauseata.
Era alto, e-era troppo a-alto... non poteva saltare, non riusciva a muoversi.
Lo scienziato piangente incassò la testa tra le spalle, seppellendo il viso nei suoi spessi guantoni. Nemmeno la prospettiva di una minore, quasi nulla sofferenza sembrava convincerlo a fare neanche un passettino.
Era finita.
Lui era finito.
« FLUG! »
Oh no, oh no, no no no nononono, lui non era pronto, non era p-pronto, NO-
Un tentacolo si avvolse fulmineo attorno alla sua vita e Flug strillò atterrito, il terreno gli mancò da sotto i piedi e venne strattonato all'indietro.
« No! N-no, no, no, mi lasci, mi lasci la p-prego, mi lasci vivere! »
Flug non aveva nemmeno prestato attenzione al tono con cui il suo nome era stato pronunciato, o neanche a come il tentacolo che lo stava reggendo non stesse applicando più della pressione necessaria a reggerlo adeguatamente e vincere il suo disordinato dimenarsi.
Quando l'appendice lo lasciò, l'inventore crollò a terra, mormorando suppliche incoerenti e sempre più prive di un senso logico man mano che i secondi scorrevano... e nulla era ancora successo.
Fu allora che Flug si accorse che qualcosa sembrava essere fuori posto in quella situazione, tanto fuori posto da lasciargli una sensazione di estraniamento lungo la schiena... la stessa sensazione che provi quando qualcuno ti sta fissando intensamente da un discreto margine di tempo.
Lo scienziato abbassò timorosamente le mani e con un timore ben più considerevole sollevò il capo: Black Hat lo stava osservando in silenzio dall'alto della sua rispettabile statura, le sopracciglia erano severamente calate sui suoi occhi in una percepibile confusione, le sue labbra leggermente sporgenti evidenziarono ancora di più il suo anomalo stato d'animo.
Flug sbatté gli occhi, strizzando le palpebre per schiarirsi la vista appannata. Non c'era più rabbia in quell'espressione, non c'era nemmeno una furia sanguinaria ad agitarsi all'interno degli occhi del demone, e lo scienziato si trovò in uno stato di inaspettato smarrimento nel notare l'assenza di entrambe.
« Flug, ma che diavolo...? » Gli domandò Black Hat con un vago sentore di sconcerto, davanti a cui Flug non seppe come reagire. Doveva essere lui quello che aveva il diritto di esternare una simile esclamazione, ma restò invece pietrificato nell'ammutolito silenzio che stava ostentando ormai da qualche secondo.
L'appena visibile confusione sul volto del suo superiore si irrigidì in uno dei suoi soliti cipigli, eccetto che non era il suo solito cipiglio; vi era una strana sfumatura a differenziarlo dai suoi simili, una sfumatura che Flug non colse completamente per quanto era sottile ed estranea sul viso inumano di Black Hat.
« Alzati, Flug. »
Lo scienziato ebbe un brivido quando la voce lievemente gorgogliante del suo capo lo distrasse da quel loro fissarsi.
Chinò d'istinto la testa, rattrappendosi un poco su sé stesso mentre un consistente timore si stava ancora agitando come una trottola impazzita all'altezza del suo petto. Non sapeva cosa stesse succedendo, non aveva assolutamente idea di cosa stesse succedendo, la sua mente da un accatastarsi di pensieri di morte e dolore era divenuta un muro bianco e anonimo.
« È un ordine. »
Flug tremolò leggermente, costringendosi comunque a rimettersi in piedi. Il suo respiro usciva a singhiozzi appena udibili dalle sue labbra e le sue dita erano come attaccate coi chiodi ai suoi avambracci. Era ora, era qui che Black Hat lo avrebbe ucciso, qui, in piedi come un condannato a morte, tutto perché lui non aveva avuto il coraggio necessario per salvare quel poco di dignità che ancora gli restava.
Una mano gli venne posata sulla schiena, quasi al centro delle scapole, e l'inventore sobbalzò distintamente, sopprimendo a stento un urletto intimorito. Si stupì allora di vedere il demone in piedi al suo fianco, con un silente comando nel suo sguardo di iniziare a camminare, rinforzato dal contatto di quella mano.
Flug deglutì piuttosto rumorosamente, il tremare delle sue labbra venne nascosto dalla carta del sacchetto stropicciato ed inumidito. Doveva obbedire, doveva soloobbedire, non c'era altra scelta che potesse prendere; la sua unica possibilità di scelta se l'era già giocata, lasciata già sfuggire in un momento di codardia, didebolezza.
Si lasciò condurre via da Black Hat, mantenendo il capo basso e il suo singhiozzare ridotto al minimo.
Scesero dal tetto in religioso silenzio, senza guardarsi l'un l'altro una volta di più.


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