16. Su una scala da uno a dieci

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«Il soggetto A si avvicina con fare disinvolto al soggetto B. La postura diritta, i capelli ben pettinati, i passi sicuri: tutto ci lascia intendere che abbia calcolato ogni singolo dettaglio, che si sia addirittura esercitato.
Il soggetto B sembra non notare la sua presenza. Continua a rivolgere il suo sguardo, con ostentazione, in un punto opposto rispetto a dove si trova il soggetto A.
Ma notiamo la sua posizione: andatura rigida, si muove appena; stretta ferma sulla tracolla della borsa, un chiaro segno di agitazione; finge di parlare con delle compagne, quando è evidente che non le ascolti sul serio. Tutto quello che vuole è rendersi ingenua agli occhi del soggetto A, il quale, convenzionalmente parlando, non è tenuto a credere che la sua mossa fosse già stata calcolata dal soggetto B.»

«Mh, Shyla?»

«Ma ecco che l'approccio ha inizio: si scambiano un paio di parole, probabilmente inerenti allo stato psicologico e fisico in cui attualmente il soggetto B si trova – aspetti di cui, ad ogni modo, il soggetto A non è realmente interessato; qualche risatina da parte del soggetto B, che però sembra ridere più che altro per via dell'agitazione; un paio di commenti generici sui compiti.
Ma ecco che avviene: il soggetto A chiede al soggetto B di uscire.»

«Shyla, seriamente, cominci a spaventarmi.»

«E, ovviamente, il soggetto B accetta. Mh, ottimo» concluse Shyla, annotando le ultime cose sull'agendina di cuoio che aveva tra le ginocchia.

«Si può sapere che diamine hai fatto e, soprattutto, perché?» domandò Michelle, guardandola stranita.

«Li ho osservati. Volevo capire alcune cose sui comportamenti sociali, e devo dire che questi due soggetti sono stati utili: si sono comportanti esattamente come altre due coppie precedentemente analizzate, ciò significa che gli andamenti sono sempre gli stessi. È come se nessuno riuscisse a seguire quel poco di cervello che ha, bensì si lascia guidare solo ed esclusivamente dai dettami sociali. Patetico» rispose lei, riponendo con cura l'agendina nella borsa.

«Ma non è carino che ce li chiami "soggetto A" e "soggetto B", Shyla» osservò Hagrid, riponendo una teglia di biscotti davanti a loro.

Era pomeriggio presto. Un mercoledì, per l'esattezza.
Un giorno particolare, perché, finalmente, dopo una settimana di pioggia incessante, sembrava che il cielo si fosse preso una pausa dai tuoni e i fulmini e li avessi rimpiazzati con un sole piacevole.

Perciò, i Lonely Hearts Club avevano pensato bene di andare a trovare Hagrid, che da poco tempo aveva posizionato un'enorme panchina di legno nei pressi del suo orto.

"Enorme" non era un'iperbole: in quella panchina ci sarebbero stati comodamente in dodici, sebbene Hagrid avesse affermato di trovarla leggermente stretta.

Ad ogni modo, i quattro avevano adorato quella panchina sin da subito: Tyler se ne stava sdraiato a testa in giù, con le lunghe gambe distese sul muretto della capanna; Michelle se ne stava a gambe incrociate, spezzettando distrattamente dei fili d'erba non ancora ricoperti da brina; Ethan aveva la schiena appoggiata al muretto, le gambe ben distese e le mani in tasca; Shyla ostentava una postura composta, diritta.

«Se è per questo» aggiunse poi Michelle, «Non è nemmeno carino fissarli.»

Shyla scosse il capo, come esasperata, «Li nomino A e B perché sto esaminando delle coppie: può trattarsi di due maschi, due femmine o un maschio e una femmina. Sono semplicemente generica.»

«E non hai alcun interesse nel sapere come si chiamino, ma solo nel registrare i loro comportamenti, da brava psicopatica» concluse Ethan.

Shyla gli rivolse un'occhiataccia, «Non sono psicopatica... mia madre mi ha fatto controllare.»

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