APRILE

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🕒Venerdì 10, 03:11

«Accidenti! Ti chiedo solo un po' di rispetto!» urlai nervosa riportando indietro una ciocca di capelli che mi cadde sulla faccia gesticolando.
«Mi stai facendo perdere tempo. Anche tu fai un caos infernale quando ti ritiri a casa la sera tardi, quindi non rompere.» sibilò a denti stretti.
Quanto ero stanca di quella situazione, veramente, non ne potevo più...
Chissà cosa stava pensando, sentendoci, l'ennesima ragazza al piano di sopra. Non che me ne importasse qualcosa: in realtà probabilmente si era anche addormentata perché era da più di mezz'ora che litigavamo, per la precisione da quando erano entrati facendo un rumore peggiore di quello d'una banda e, stanca e stressata, mi ero alzata dal divano assonnata e stonata e avevo sbottato. Lui l'aveva mandata in camera e gli aveva detto di aspettarlo, lei un po' delusa aveva obbedito.
«Io torno dal lavoro! Non torno dopo aver passato la serata in qualche posto losco a bere e a barattare prostitute con gli amici, torno stanca morta dal lavoro, dove passo otto o nove ore perennemente in piedi! Porca miseria Steven! Non ti occupi di casa, non ti ammazzi di lavoro e non ti ho mai chiesto niente, se non le solite cose per cui litighiamo da quando siamo stati incastrati in questa stupida situazione, le solite cose che tra l'altro neanche fingi di fare. Sforza quel cervelletto pigro e cerca di crescere!»
«Ehi! Anch'io lavoro per ore, anch'io torno stanco, e se una volta o due torno a casa all'orario che mi pare dopo essermi rilassato un po' non devo certo dare conto a te.» alzò la voce infervorito.
«Sì, se quella volta o due fai un rumore infernale! E sì se quella volta o due diventano anche tre e quattro a settimana!»
«Ma che vuoi, insomma? Guardi i miei di errori e non guardi i tuoi? Tu non sei da meno, sai? Certe volte torni a casa e persino i vicini si svegliano per quanto chiasso fai!»
«Ma–» mi interruppi circondandomi la testa con le braccia «Oddio, quant'è difficile!»
«Parli tu.» alzò un sopracciglio.
Presi un respiro profondo. Mi faceva male la testa.
«Puoi,» parlai piano scandendo tutte le parole con estrema lentezza nel tentativo di restare calma «per favore, evitare di fare tanto rumore, la prossima volta che ti ritiri, da qualunque posto tu stia arrivando?»
Fece per interrompermi.
«Io,» e alzai una mano per fermarlo subito «farò lo stesso, se e quando capiterà che per via del lavoro sarò costretta a tornare tardi.»
Sentii il suo sguardo addosso ma chiusi gli occhi e mi massaggiai le tempie fintanto che rispondeva.
«Ma quanto sei stupida. Devi sempre avere ragione tu, eh? Tu sei brava, ti occupi di tutto, torni stanca dopo ore di duro lavoro, nessuno che ti aiuta, non hai del tempo libero per te... proprio una martire. Beh, notizia dell'ultima ora, siamo tutti stanchi qui. Tutti i lavori sono pesanti e tu non sei né la prima né l'ultima persona sulla faccia della terra a lavorare.»
Persi di nuovo le staffe.
«Oh! Certo! Se è tanto stancante il tuo lavoro, allora com'è che hai tutta l'energia di portarti a casa una troietta diversa ogni sera e fare tanto chiasso? Eh sì, dev'essere proprio stancante tenere il culo incollato alla sedia per tante ore.»
«Prendi in giro? Vorrei vedere te seduta a riflettere su calcoli infiniti per tutto il giorno, e poi vediamo se non ti rendi conto di quanto anche la mente non si stanchi più del corpo.»
«Ah sì, e deve succedere molto spesso a te visto e considerato quanto poco sei abituato ad usarla! Ad ogni modo non hai il diritto di fare tanto rumore quando torni a casa e di dire alla donzella di turno: “non ti preoccupare, tanto dorme come un sasso” quando butta a terra la lampada ed io sono sul divano. Sì, ti ho sentito.» lo fulminai con lo sguardo e desiderai che un fulmine lo colpisse davvero.
Fece un passo avanti e mi puntò un dito contro.
«Tu sei invidiosa!» urlò.
«Che cosa?!» spalancai gli occhi incredula, certa di avere le allucinazioni.
Discutere con Steven era come avere un prurito che aumentava ad ogni grattata; peggio della puntura di una zanzara.
«Di tutte quelle ragazze, della mia vita sessuale, tu sei invidiosa! Deve trattarti proprio male il tuo ragazzo.»
A que! punto Michaela scomparve. Non seppi mai a chi o a cosa lasciai il posto, fui solo certa che era qualcosa di molto pericoloso.
«Come ti permetti anche solo a pensare una cosa del genere?» iniziai urlando e prendendo la prima cosa che avevo sottomano e lanciandogliela con rabbia contro. Era un cuscino, Steven si scansò e andò a finire sul mobiletto basso alle sue spalle spingendo a terra il vaso di cristallo che si frantumò «Non osare metter voce nella mia vita e non osar metter voce su Nick! Invidiosa io?! Ma che schifo! Preferirei morire piuttosto che desiderare la tua stessa attività con persone diverse e sconosciute ogni giorno, chissà quante malattie ti sei preso, e sai, te ne meriteresti proprio una!» urlai di nuovo prendendo un'altra cosa e tirandogliela. Questa volta fu un quaderno: fluttuò in aria aprendosi, ne uscirono tre fogli e per poco non lo presi in testa «Dio santo! Con sette miliardi di persone sulla faccia della terra io dovevo capitare obbligata a convivere proprio con l'unica che è rimasta regredita mentalmente all'età della pietra! Tu,» mi avvicinai a lui di tre passi «sei la persona più irritante, infantile, ottusa, egocentrica e arrogante che io abbia mai conosciuto! Non vedo l'ora che finiscano questi mesi d'inferno solo per non dover vedere mai più la tua immensa, enorme, stratosferica FACCIA DA SCHIAFFI!» urlai infine utilizzando tutta l'aria che avevo nei polmoni e fissandolo dritto negli occhi.
«Ah!» esclamò e fece un grande passo verso di me a sua volta lasciando così circa due centimetri tra i nostri nasi «Lo dici a me? Io non vedo l'ora che finisca tutta questa pagliacciata solo per non desiderare giorno dopo giorno di strozzarti già di prima mattina quando cominci ad urlare come una gallina spennata con quella brutta voce che ti ritrovi e non rischiare giorno dopo giorno la galera per una bambina stupida, viziata, ipocrita, egoista e pure falsa quale sei!» mi urlò nelle orecchie sostenendo il mio sguardo.
Mi alzai in punta di piedi e allungai il collo solo per averlo di fronte e non sentirmi così sovrastata dalla sua altezza.
«Stronzo.» sillabai a denti stretti con la testa che mi pulsava.
«Troia.» rispose di rimando.
Ci fulminammo a lungo reciprocamente.
Discutere con lui era, tra le altre cose, come il cane che cerca di mozzicarsi la coda.
Ma come ci ero finita in una situazione del genere? Iniziavo a domandarmi se per quella casa ne fosse valsa davvero la pena.



Un coinquilino in affittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora