GIUGNO

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🕟Venerdì 12, 16:41

Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì e Venerdì.
Cinque giorni.
Erano passati cinque giorni dall'ultima volta che lo avevo visto. 
«Io vado al lavoro, ci vediamo.» aveva detto tranquillo come sempre lunedì mattina prima di uscire di casa. Però poi non era più rientrato, nel pomeriggio, o alla sera, né il giorno dopo.
Era già successo che fosse stato diverso tempo via di casa o senza che io lo avessi incontrato, ma in quelle occasioni  mi ero sempre accorta della sua esistenza dal letto o il divano disfatti, dall'odore del caffè o del suo profumo rimasti impregnati nell'aria della casa chiusa, o dalle pentole nel lavandino o gocciolanti, o dall'asciugamano bagnato appeso alla vasca nel bagno, insomma, da piccole tracce personali che lasciava per tutta casa. Ma da lunedì non c'era stato un solo piatto sporco o gocciolante, non un asciugamano bagnato, niente odore di caffè e non una piega sul divano. Era tutto sempre perfettamente in ordine come lo avevo lasciato io prima di uscire di casa.
I primi giorni non ci avevo fatto neanche caso ma a quel punto iniziavo sinceramente a farmi due domande. Come dovevo comportarmi? Dovevo preoccuparmi seriamente? Come lo rintracciavo se non avevo neanche il suo numero?
Di colpo l'idea di non parlare mai e non conoscersi non mi sembrò più tanto brillante.
Dovevo chiamare la polizia? O forse mi stavo facendo tante paranoie per nulla? Probabilmente era rimasto a dormire a casa di qualche amico, o di qualche ragazza, ma mi sembrava strano che non mi avesse almeno avvisato prima, non un biglietto, non un indizio... Ma d'altronde perché farlo? Poteva fare quel che voleva senza dovermi dar conto, come d'altronde era sempre stato.
E se era successo qualcosa di grave?
Dio mio.
Iniziai a sperare che da un momento all'altro non mi arrivasse la polizia a casa o qualche suo parente per dirmi che era successo qualcosa di grave, che magari fosse rimasto vittima di qualche incidente, qualche rapina in qualche negozio, o in banca, o nell'ufficio poteva esser entrato qualche pazzo...
“Smettila.”
Mi sedetti sul divano e mi abbracciai gli stinchi poggiando la testa sulle ginocchia; sperai che aver pensato quelle disgrazie non fosse servito a gettargliele addosso.
Cosa potevo fare? Perché non ero stata più furba prima? 
Cosa potevo fare?
  
   
 

 
🕠17:39

Avevo distrutto l'angolo della felpa a forza di mordicchiarlo nervosamente senza neanche rendermene conto così, infine, bagnato e distrutto, lo lasciai andare.
In quel momento sentii un movimento fuori dal portone e alzai di scatto la testa, lo sguardo e l'udito in direzione dell'ingresso. Sentii bene le chiavi che entravano nella serratura e giravano; lo scatto della serratura che si apriva.
Velocissima scattai in piedi e in meno di un secondo ero lì sotto e aprii il portone.
«Steven!» esclamai preoccupata prendendogli il volto fra le mani e guardandolo in faccia per assicurarmi che non fosse un'immagine della mia mente. Iniziai a sentire un dolore atroce nei fianchi, lungo la schiena e dietro le gambe per via del cambio repentino dopo tanto tempo nella stessa posizione.
«Mio Dio, ma che fine hai fatto? Non sapevo cosa fare, stavo per chiamare la polizia, che ti è saltato in mente? Ho pensato di tutto, persino–» mi fermai di colpo guardando la sua espressione impassibile e stanca. Triste.
Mi guardava come se non mi vedesse o come se stesse guardando un oggetto inanimato. Mi accorsi che era da un po' che non si faceva la barba, al tatto prima che alla vista.
«Ehi... Che succede?» c'era qualcosa che non andava. Lo lasciai libero e si tolse lentamente la giacca. 
Si passò con stanchezza una mano sulla faccia e rispose serio come non lo avevo mai visto.
«Niente.»
Era apatico. Spento. Vuoto.
Si trascinò fino al salotto e si sedette di peso sul divano dove passò nuovamente una mano sulla faccia e si abbandonò sulle ginocchia con la testa fra le mani.
Era successo qualcosa di grave. Più grave di un licenziamento. Ma non avevo idea di cosa fosse, e sicuramente non avrei insistito a chiedere.
Non mi piacque per niente vederlo così. Cosa potevo fare?
Andai in cucina e misi su l'acqua per la camomilla; fintanto che bolliva guardavo dalla porta della cucina le sue spalle curve immobili.
Avevo paura di come mi sarei mossa, nel caso in cui avesse avuto una reazione negativa, magari aggressiva e se ne sarebbe andato di nuovo di casa.
Non volevo pensasse lo assillassi con la mia presenza, ma dovevo fare qualcosa, era palese che non stesse bene e se io ero lì forse un compito ce lo avevo dopotutto. Non potevo ignorare tutto.
Certo, la camomilla non era un rimedio, ma magari lo avrebbe tranquillizzato un po'. Magari.
La feci doppia e concentrata e poi gliela portai ancora bollente.
«Bevi,» dissi piano porgendogliela mentre gli posavo una mano sopra le spalle «ti aiuterà un po'.»
La prese con estrema lentezza e la tenne in mano, quasi non curante del fatto che bruciava.
Rimasi seduta accanto a lui per un paio di minuti pensando a qualcosa che potessi dire o fare per aiutarlo ma alla fine mi rassegnai e optai per lasciarlo un po' da solo: forse era l'unica cosa che voleva ed io ero di troppo.
Quindi mi alzai e in silenzio me ne andai al piano di sopra. Entrai in camera e mi stesi sul letto, sinceramente preoccupata. Cosa poteva essere successo? Cosa poteva abbattere così tanto un uomo come lui? Il tipo spavaldo, arrogante e pieno di sé che si era sempre dimostrato, che fine aveva fatto? Dov'era adesso che gli serviva?
Era la prima volta che mi trovavo ad assaporare l'amaro sapore dell'impotenza ed era orribile. Odiavo sentirmi così inutile.
Steven non mi era mai piaciuto, era vero, e non eravamo mai andati d'accordo, ma da quando negli ultimi tempi avevamo iniziato a sforzarci di più... beh, era diverso. Non eravamo amici, ma una disperazione tale non l'auguravo neanche al mio peggior nemico.
Però almeno era a casa, e per ora tanto bastava a farmi tirare un sospiro di sollievo.
Avevo appena socchiuso gli occhi quando un urlo squarciò il silenzio e qualcosa precipitò rumorosamente a terra causando il forte rumore tipico di una rottura.
Balzai in piedi giù dal letto e mi precipitai lungo le scale ma a metà strada ci fu un altro urlo e un altro oggetto che si ruppe sul pavimento.
Quando arrivai alla fine delle scale trovai la lampada accanto al divano rovesciata per terra, il vetro a coppa rotto e poco più in là alcuni cocci della tazza che gli avevo portato poco prima e del liquido per terra. A metà strada, chino sulle ginocchia, le spalle di Steven ansimanti.
Mi spaventai ma non esiti ad avvicinarmi.
«Ehi...» mormorai quando gli fui accanto, inginocchiata accanto a lui. Guardandolo meglio notai che del sangue gli aveva sporcato la guancia e stava amcora continuando a fuoriuscire.
«Oddio, sei impazzito?» esclamai spaventata prendendogli il volto per guardare meglio e accorgermi che c'era ancora il vetro conficcato dentro.
Feci una smorfia involontaria immaginando il dolore mentre lui era impassibile.
Non mi guardava nemmeno. Era come se non fossi lì, o come se non ci fosse lui.
«Dai, vieni.» lo tirai su e lo trascinai per braccio fino al bagno dove accesi la luce e lo spinsi a sedere sul bordo della vasca. Presi il kit medico e la mia pinzetta per le sopracciglia.
«Scusami.» disse quasi in un sussurro mentre pulivo la ferita dal sangue. Il dolore lo aveva fatto rinvenire, forse?
«E di cosa?»
«Non ti volevo spaventare.»
«Ti riferisci a questi giorni o alla povera tazza?»
«Entrambi.»
Tirai piano fuori il vetro con la pinzetta. Era il vetro bianco e opaco della lampada che fece un delicato tin quando lo lasciai cadere nel lavandino. Per fortuna non era molto profondo ma l'idea che potesse lasciare delle schegge mi spinse a decidere di andare ad un pronto soccorso appena si fossero calmate un po' le acque.
Sospirai e scossi la testa.
«So che i nostri rapporti fanno schifo, ma se vuoi parlare io ci sono.»
Per tutta risposta ebbi del silenzio ed io continuai a "medicare".
«Mia sorella è morta.» disse dopo qualche minuto ed io rimasi di ghiaccio.
Aveva una sorella...”
«Sono stato a casa sua in questi giorni. L'ha ritrovata il marito.»
«Quando è successo?» osai chiedere.
«Quattro o cinque giorni fa. Tra la domenica e il lunedì mattina.»
Ci fu una lunga pausa.
«Come...» andai per chiedere ma mi fermai.
«Non lo so.» concluse lui «Dicono che durante la notte è successo qualcosa, forse un attacco di panico che, a quanto pare, sembrava fossero piuttosto frequenti ultimamente, ed è morta soffocata, ma... non lo so.»
«Qualcosa non ti convince?»
«No. Mi sembra troppo assurdo. Oppure, non lo so, non mi–» si interruppe a denti stretti. 
«E suo marito non se n'è accorto?»
Fece una smorfia.
«Ed è qui la parte peggiore: Al è un paramedico ma domenica aveva il turno di notte.» si fermò e chiuse gli occhi scuotendo piano la testa «Milioni di giorni durante il corso degli anni, e proprio quel dannato giorno lui doveva avere il turno di notte. Io–» si fermò e batté un pugno contro la vasca «Aveva solo trent'anni.» ma la voce gli si bloccò in gola.
Una lacrima spuntò fuori e scivolò giù, ma non sapevo se per la situazione o per il dolore causato dal disinfettante sulla ferita. In ogni caso era buona cosa purché si sfogasse.
«I vostri genitori come stanno?»
«No, loro... Mia madre è morta tantissimo tempo fa e mio padre si è risposato da cinque anni e ha cambiato nazione. Comunque non è mai stato molto presente. Siamo sempre stati solo io e lei. Rose era come una madre per me, lei è tutta la mia famiglia.» un'altra lacrima scivolò giù indiscreta e lui scosse la testa e strinse forte le palpebre «Beh, lo era.»
Stringeva nervosamente il bordo della vasca con le mani al punto che le nocche gli divennero bianche.
Non lasciava trasparire troppe emozioni mentre a me veniva da piangere per lui, solo ad aver sentito la storia. Com'era possibile pensare di rimanere soli senza la propria famiglia? Cos'è l'uomo da solo? Un solo pilastro non reggeva un grattacielo.
«E adesso... Cosa credi che farai?»
Riaprì le palpebre e i suoi occhi lucidi e verdi trovarono i miei e mi guardarono per un momento attraverso due fessure.
«Che cosa dovrei fare? Non posso prendermela con nessuno! Non posso cercare giustizia, con chi dovrei lottare? Con madre natura? Cosa mi resta da fare?»
Mi morsi un labbro.
Che domanda stupida...
«Io– Vedrai che... Insomma–» non sapevo cosa dire «Non sei solo, Steven. Hai tanti amici e...» “Cosa?” mi domandai pungente.
La verità era che non sapevo cosa dire e nell'ignoranza rischiavo di dire le cose sbagliate.
«Mi dispiace molto per tua sorella.» dissi infine.
Come potevo, proprio io, pretendere di dirgli che non era solo? Non sapevo niente di lui, di chi fosse o di chi frequentasse, un'affermazione del genere sarebbe stata giustamente detta da un amico, da una fidanzata, da un altro parente... ma dalle mie labbra non poteva sembrare altro che una frase fatta. Una stupida frase fatta.
«Anche a me.» disse senza tono distogliendo lo sguardo.
«Vorrei poter fare qualcosa, esserti... non lo so, d'aiuto in qualche modo. Vieni da me, se hai bisogno di parlare, io ci sono. O per qualsiasi altra cosa, insomma, non mi tirerò indietro.» dissi e questa era la cosa più vera, onesta e sicura che potessi dire e fare sul serio. Applicai l'ultima goccia di disinfettante che lasciò la ferita pulita e poi lo asciugai via con un batuffolo d'ovatta.
Lui continuò distrattamente a scuotere impercettibilmente la testa, lo sguardo perso nel vuoto.
Gli carezza delicatamente la guancia sana in un gesto incontrollato e sospirai.
«Dai, vieni.» lo circondai con le braccia sebbene il dislivello facesse sì che la sua testa mi arrivasse alla pancia. Dapprima un po' dubbioso, successivamente si rilassò abbandonandosi contro di me.
Sembrò più strano a me che a lui forse, ma non me ne importava nulla: potevo essere la peggior persona sulla faccia della terra, ma non ero insensibile o indifferente ed in un momento del genere avrei abbracciato anche un mio eventuale carnefice; perché qualche volta ne avevano bisogno tutti.

🕙Venerdì 26, 21:58

«Dai che sta cominciando!» gridai rannicchiata sul divano con la mia coppa di patatine rustiche.
Avevo voluto provare a noleggiare un DVD e dopo avergli chiesto che film gli piacevano mi ero buttata su Fast and Furious 7 sebbene il fatto che ci fosse il numero sette mi faceva dedurre che ce ne fossero altri sei prima di quello e che non conoscendogli probabilmente avrei avuto difficoltà a seguire la trama. Tuttavia le recensioni ne parlavano molto bene.
Arrivò con la sua coppa di popcorn al burro e si sedette di fianco a me.
«Mi dici che film è?» chiese per l'ennesima volta. Volevo fargli una sorpresa e sperare che fosse gradita.
«Ora inizia e lo vedi, per cinque secondi altri non rovinerò la sorpresa.»
Alzò gli occhi al cielo e il film iniziò.
Bastò che uscirono le scritte perché ne riconoscesse il font e dicesse: «Ah, come mai? Ti piace?»
Mi strinsi nelle spalle.
Non volevo sapesse che non ne avevo mai visto uno prima, né che l'avessi preso per lui nello specifico, così dissi con indifferenza: «Dicono che è bello, volevo vedere se avevano ragione.» iniziando a sgranocchiare una patatina.
Annuì e si concentrò sullo schermo e sui popcorn.
Erano passate due settimane da quel brutto avvenimento, a mio avviso peggiore di quando finii in ospedale io, e le cose andavano sempre meglio. Parlavamo di più, avevo cominciato a fargli più domande e a conoscerlo a piccole dosi, inoltre cercavo di passare più tempo con lui perché avevo paura che si sentisse solo. Stavo solo attenta a non essere troppo appiccicosa talvolta ed evitare l'effetto contrario ma finora lui non si era mai lamentato perciò dedussi di star facendo bene il mio lavoro.
Più d'un paio di volte lo avevo trovato fermo, assorto nei suoi pensieri con lo sguardo nel vuoto, qualche volta con gli occhi lucidi, e allora ero stata costretta a rendermi conto che era impossibile che superasse in fretta la perdita di sua sorella e tornasse a stare bene come se nulla fosse accaduto dall'oggi al domani, ma non sopportavo di vederlo così e dovetti ammettere che fu la cosa più fastidiosa di tutte con cui avevo dovuto convivere fino a quel momento. Comunque, anche in quelle occasioni avevo provveduto, andando ogni volta da lui per inventarmi il mondo pur di distrarlo ma era davvero difficile esserci sempre ed io non potevo pretendere nulla.
Ad ogni modo il nostro era un rapporto strano.
Non era bello, ma neanche brutto. Non sembrava un "work in progress" ma neanche in una posizione di stallo.
Non eravamo amici, ma forse lo stavamo diventando. Sicuramente sarebbe stata l'amicizia più strana che avessi mai avuto.
C'era da scavare molto in lui, prima di raggiungere il suo vero carattere e ancora non sapevo se volevo scavare ma per il momento ero lì e volevo solo che stesse quanto prima meglio.

🕧00:24

«Chi è Paul Walker?» chiesi quando lessi la dedica alla fine del film. Alzò la testa dalla mia spallina e mi guardò con le sopracciglia inarcate.
«Come chi è Paul Walker?»
Lo guardai di rimando e mi sentii a metà tra l'offeso e quella consapevole di aver appena fatto una gaffe. Ma non sapevo davvero chi fosse.
«Il ragazzo biondo del film, Brian... Davvero non lo sai?»
«Mh-mh. >> scossi la testa.
Nascose un sorriso e mi rivolse uno sguardo che avrei definito divertito e un po' inquisitorio.
«Tu non hai mai visto nessuno di questi film, vero?»
Lo guardai colpevolmente dritto negli occhi e attesi un istante.
«Mh-mh.»
Ma alla fine lui rise e... Fu bello vederlo ridere.
«Perché l'hai preso allora?» continuò.
Mi strinsi nelle spalle.
«Hai detto che ti piacevano i film d'azione e di corsa...»
Alzò appena il sopracciglio, di nuovo.
«E l'hai preso per me?»
«No... volevo capire cosa ci trovi di tanto bello.» dissi con forzata disinvoltura e mi alzai in piedi sgranchendomi tutte e duecento-quante-cavolo-erano le ossa.
Rimase un istante a guardarmi dal basso con un mezzo sorrisetto velato. Poi distolse lo sguardo e si alzò a sua volta.
«L'attore è morto l'anno scorso mentre giravano le scene, infatti da un certo punto in poi hanno dovuto fare al computer per ricostruire il suo volto, un po' si vedeva. E ironia della sorte è morto schiantandosi a trecento all'ora con una Porsche mentre guidava un amico. Un vero peccato.» spiegò e si sgranchì anche lui.
L'aria mi si bloccò a metà strada tra la trachea e lo sterno a quelle parole.
Dire che rimasi di sasso era oltremodo riduttivo. A momenti piangevo per quanto ci rimasi male.
Non solo per l'attore –che fu un brutto colpo a sapersi così–, ma anche perché... quanto ero scema!
Milioni di film d'azione o di corsa ed io dovevo prendere proprio quello dove c'era un personaggio che era morto nella realtà? Avevo visto trecento pagine di recensioni su quel film e neanche una che avesse fatto riferimento all'attore. O forse non ci avevo fatto caso io?
Quanto sei stupida!mi rimproverai impietrita lì davanti “Davvero una scelta arguta per distrarlo dalla morte di sua sorella! Ottimo lavoro!”
«Tutto bene?» mi chiese guardandomi.
«No.» risposi demoralizzata e scioccata «Sono una stupida.»

Un coinquilino in affittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora