NOVEMBRE

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🕑Domenica 8, 01 : 59

«Shh, fa piano.» sussurrò lui.
«Perché? Cosa mi nascondi?» rispose eccitata lei con lo stesso tono di voce.
«Non voglio svegliarla.»
«Allora sbrigati a portarmi su un letto.»
Si baciavano, si cercavano, nel buio mi sembrava la figura di una persona che cercava di sdoppiarsi, come succedeva in quelle scene raccapriccianti dei film di fantascienza in cui la creatura era sempre ricoperta di qualche liquido colloso, gelatinoso e, se il regista era delicato di stomaco, anche trasparente.
Mi si rivoltò lo stomaco.
Non per la scena del film, per loro.
Era notte, inverno e nella stanza di un primo piano, perciò c'era abbastanza silenzio da sentire l'appiccicaticcio delle loro labbra in continuo movimento, attacca–stacca, attacca–stacca...
Poi finalmente trovarono le scale e salirono di sopra.
“Bleah.”
Mi voltai e schiacciai la faccia contro il cuscino per impedirmi di vomitare.
Era la terza volta quella settimana. Ma dove le trovava tutte quelle ragazze?!
La prima volta –poteva essere stato il sabato prima, intorno alle due o le tre– entrando a casa aveva "accidentalmente" chiuso con violenza il portone e poi urtato la pianta di fianco al divano, proprio sopra la mia testa. Il vaso di ceramica aveva traballato e infine aveva roteato in tondo finché non si era degnato di fermarlo.
Stavo per alzarmi e sbottare, o prenderlo in giro, ma poi avevo sentito la voce di una ragazza prima ancora della sua presenza e avevo deciso di restarmene stesa e non far figure. Feci finta di nulla finché come da routine poi non se ne salirono di sopra.
Non sapevo perché mi avesse infastidito l'idea di mettermi a far polemica o anche solo mettermi in mezzo in quel momento. Avevo pensato che starmene a ignorarli fosse più saggio, come probabilmente avrebbe fatto un coinquilino maschio. Tra maschi non si andavano in quel posto a vicenda, a meno che non ci fosse qualche particolare disputa, ma era piuttosto raro.
No, per lo più loro si stimavano l'un l'altro, si sostenevano, si scontravano i pugni e si chiamavano "fratello".
Probabilmente mi stavo trasformando in un maschio, stavo per diventare il suo amico e nel giro di qualche giorno mi sarei congratulata con lui per il numero massimo di ragazze portate a letto nel giro di una settimana.
«Sette in sette,» avrei detto compiaciuta seduta sulla sedia con le gambe stravaccate e un braccio poggiato sul tavolo dove tenevo la birra «sei un grande. Ehi, qualcuna con cui non ti diverti più passala a me.» avrei aggiunto.
Rabbrividii.
Per carità, che schifo.”
In verità mi domandavo più che altro perché. Perché aveva ripreso a portare le ragazze a casa?
Aveva finito di farlo... O forse si era preso solo una pausa.
Forse io l'avevo risvegliato.
Una volta mi chiesi se prima di scapparsene di casa baciasse anche loro come aveva fatto con me un paio di volte fuori dal letto.
Successivamente mi chiesi perché me lo stessi chiedendo.
Insomma, cosa mi importava? Non ero gelosa, non ero assolutamente gelosa. Gelosa di chi?! Gelosa io? Ma per favore! Era un sentimento che non avevo mai provato in vita mia, mai, neanche con Nick, figuriamoci se cominciavo adesso con Steven...
No. Poteva fare quello che voleva, assolutamente. Ed io potevo fare altrettanto. Eravamo liberi, entrambi, da impegni, regole e sentimenti.
E non era forse questo il bello del gioco?
  
   
   
🕖Lunedì 9, 07:10

«Steven! Hai finito?» sbottai fuori dalla porta del bagno. Era lì dentro da un'ora.
«Puoi entrare!» gridò.
Inarcai le sopracciglia sorpresa lì per lì, ma poi pensai che il bisogno di lavarmi almeno la faccia era troppo impellente per stare a domandarmi. Così entrai e lo trovai a torso nudo e gambe scoperte, soltanto alla vita aveva un asciugamano, dalla lunghezza alquanto discutibile. Si pettinava davanti allo specchio situato appena sopra al lavandino.
Ignorai i brividi di alcuni ricordi che evocò ed i ricordi stessi.
«Sei sempre peggio, possibile che ogni volta devi tirarti a lucido e rifarti nuovo?» dissi spingendolo un po' di lato per potermi piegare sul lavandino e lavarmi il volto «Tanto sei sempre lo stesso.»
«Parli tu? Perché ti trucchi se tanto la faccia è quella?»
«Per favore... Ma a parte tutto, io» sciacquai «sono una ragazza,» strofinai con il sapone «ho i capelli lunghi, devo fare la ceretta, le sopracciglia, il baffetto,» sciacquai di nuovo «idratare la pelle. Tu devi solo lavarti.»
«Dove è scritto?»
«Hai ragione,» dissi tirando via l'ultima parte del sapone «dimenticavo che tu sei più donna di me, signor Narciso.»
«Pff.» roteò gli occhi e nascose un sorriso.
Allungai una mano a prendere l'asciugamano.
«Dov'è l'asciugamano?» chiesi trovandolo vuoto.
«Oh.» disse svitandoselo dai fianchi «L'avevo preso io.»
Lo guardai sottecchi, con le palpebre basse, mordendo una guancia dall'interno nella speranza di non arrossire. «Tienitelo. Prendo il mio.»
«Come vuoi.»
«Ora smamma, devo farmi la doccia io.»
«Se vuoi ti lascio l'asciugamano.» scherzò ammiccante.
«No guarda, tienilo pure, non vorrei che ti si traumatizzassero le parti basse quando esci di qui.» Nascose un sorriso e scosse la testa guardandomi.
«Sparisci.»
   
    
    
   
    
🕕Martedì 10, 18:02

Un coinquilino in affittoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora